L'articolo che segue,
utile e informato, fu pubblicato nelle pagine dei libri dell'Unità
trent'anni or sono, in occasione del ventennale capitiniano, mentre
il Pci, aprendosi un po' ecletticamente a varie e non omogenee
correnti di pensiero, stava celebrando, con la guida di Occhetto, un
congresso che lo avrebbe fatto diventare “nuovo” poco prima di
sciogliersi. Non stupisce pertanto la sottintesa autocritica di
Zanrdo per conto dei comunisti, colpevoli di aver sottovalutato ed
emarginato un'importante esperienza di pensiero e azione come quella
di Capitini. Infastidisce, peraltro, il residuo settario che si può
leggere in qualche omissione, in una in particolare, relativa
all'intellettuale italiano più vicino a Capitini, non citato
nell'articolo e invece citatissimo nei rapporti dei questurini.
(S.L.L.)
Aldo Capitini (a destra) con carlo Ludovico Ragghianti e Walter Binni |
1. Il Centro studi Aldo
Capitini e l'Istituto per la stona dell'Umbria contemporanea hanno
voluto opportunamente ricordare Capitini, a vent'anni dalla morte.
pubblicando i documenti del fascicolo che su di lui la Questura di
Perugia tenne tra il 1930 e il 1968, unitamente ad alcuni dei
documenti del suo fascicolo personale conservato presso la Scuola
Normale di Pisa («Uno schedato politico, Aldo Capitini» ,
Editoriale Umbra). A ricavare illuminazione sono non tanto le idee di
Capitini, quanto alcune vicende della sua vita, e la «filosofia
schedatoria» non solo della Pubblica sicurezza fascista, ma anche di
quella repubblicana.
2. Capitini, che era nato
a Perugia nel 1899, frequenta tra il 1924 e il 1929, laureando e poi
perfezionando, la Scuola Normale di Pisa. Nel 1930. Gentile, che era
allora direttore di questa e che almeno in quegli anni, dal punto di
vista politico-culturale, agiva con notevole larghezza di vedute, lo
fa nominare segretario della Scuola, per quanto Capitini appaia già
proprio nel 1930 nello «Schedario sovversivi», quasi sicuramente
per la sua opposizione al Concordato del 1929. Ma nel 1933, con
indignazione di Gentile, rifiuta di iscriversi al partito fascista; e
cosi deve tornare a Perugia a vivere di lezioni private e di stenti.
Da allora, viene «vigilato»: spostamenti, incontri, attività,
pubblicazioni, corrispondenza. Nel 1933-34 si intensificano i suoi
rapporti con vari intellettuali antifascisti toscani e anche di Roma
(Calogero) e di Bologna (Ragghiarti, che allora vi abitava), in
Toscana, fra gli altri; l'italianista Attilio Momigliano, con il
quale si era laureato; Luigi Russo, che nel 1936 lo presenterà a
Croce quasi come un suo scolaro; Tristano Codignola; Raffaello Ramai;
Enzo Enriquez Agnoletti; Cesare Luporini. Nell'aprile 1933 il
Prefetto di Pisa lo segnalava a quello di Perugia come «ghandista»;
è però probabilmente in questi primi nuovi anni perugini che legge
davvero Ghandi e, preparato da autori «suoi» come Francesco e il
Mazzini umanitario, ne comprende la grandezza. In quegli anni il
mondo degli uomini pareva un mondo nel quale, essenzialmente, si
doveva perseguire fini di parzialità e di forza con mezzi di forza,
Capitini sceglie la liberazione universalistica, di ciascuno, la
convivenza pacifica, solidale, unificata, di tutti, da perseguirsi
con mezzi nonviolenti. Si fa anche, a tanto giunge la sua coerenza
nonviolenta, vegetariano. Guarda a un superamento del fascismo
tramite la non collaborazione nonviolenta. Nel 1937, come scrive al
Questore di Perugia quello di Napoli (che faceva controllare e
copiare la corrispondenza di Croce), è il «soprascritto oppositore
senatore Benedetto Croce» che aiuta Capitini a pubblicare presso
Laterza il primo libro, Elementi di un'esperienza religiosa,
libro importante, e nel profondo ben poco crociano, con il tema
esistenzialistico della nostra finitezza, beninteso di una finitezza
che ha da essere «apertura» al «tu», agli altri.
Nella prima metà del
1942, la schedatura è fittissima e ampia. Giunge a maturazione quel
progetto di nuova società che va sotto il nome di liberalsocialismo,
e sì allarga e compagina la convergenza, specialmente ma non solo di
intellettuali, intorno a questo progetto. Di ciò, Capitini è un
protagonista, Dal febbraio al maggio 1942 è in carcere alle Murate
di Firenze, appunto perché implicato nel «movimento
liberalsocialista». Condivide la cella con Guido Calogero. Dal
maggio al luglio 1943 è di nuovo in carcere a Perugia per «attività
antinazionale», nel quadro degli arresti di molti antifascisti cui
il regime procedette nel primo 1943. Alla polizia, nella confusione
del secondo 1943, sfugge che nel settembre Capitini è a Firenze al
Congresso del Partito d'azione: come si sa, d'altra parte, egli non
accetta di aderire al Partito; guarda sempre a una umanità corale,
integrata, di ciascuno e di tutti. e si sente a suo agio nel
dinamismo fluido e aperto di un movimento, e non in un partito, con
le regole che questo non può anche non implicare. Fra il 1944 e il
1948 si dedica molto, anche se con successi modesti, ai Centri di
orientamento sociale: appunto a esperienze di movimento, sforzandosi
di sollecitare la gente debole a sapere dire i suoi problemi e a
Intendere i problemi del Paese, Nel 1946 viene reintegrato come
segretario della Scuola di Pisa. Alla richiesta avanzata a nome della
scuola da Luigi Russo, allora direttore, che fosse nominato
vicedirettore, il ministero della Pubblica istruzione si oppose
seccamente. A Pisa riesce ad avere anche l'incarico di Filosofia
morale all'Università. Ma alla cattedra, di Pedagogìa, arriverà
tardi, nel 1956: era persona di opposizione La sede universitaria
sarà Cagliari, la distanza da Perugia gli imporrà un prezzo
notevole in termini di salute, già da tempo malferma. Ma sempre,
instancabilmente, tiene conferenze e promuove iniziative; e sempre
contro la guerra, contro i blocchi, contro il cattolicesimo
istituzionalizzato e monarchico. Nel settembre 1961 organizza la
prima «Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei
popoli». Nel fascicolo poliziesco c'è l'articolo che Lucio Lombardo
Radice scrisse sull'Unità del 19 settembre 1961, Un uomo che può
aprire la marcia. Solo nel 1965 sarà chiamato all'Università di
Perugia: in tempo per svolgervi appena tre corsi prima di morire. Il
29 ottobre 1968 il Questore di Perugia, con «Riservata -
Raccomandata - Doppia busta», informa la Direzione generale della
Pubblica sicurezza che «il nominato in oggetto è deceduto in
Perugia in data 19.10.1968». E cosi si poteva chiudere il fascicolo
Aldo Capitini.
3. Una sola
considerazione fra le molte che dovrebbero essere (atte sulla
«filosofia» della Pubblica sicurezza. La schedatura fascista di
Capitini si comprende. Essa in ogni modo si conclude nel luglio 1944,
Ma nell'agosto 1948 il Questore di Pisa, chiedendo informazioni a
quello di Perugia sul segretano della Normale, la riavvia. Perché?
Non è solo questione di vischiosità burocratica, di attività
continuistica. Inerziale. Di fatto, non viene più schedato il
Capitini antifascista. La questione, a me pare, sta in ciò: nella
cultura politica dei nostri Questori repubblicani c'era, palesemente
per condizionamento dei gruppi politici e sociali più chiusi, una
certa ipotesi di Italia. Un'ipotesi, a quanto emerge dai documenti
raccolti in questo libro, basata su una sorta di triangolo di
«valori»: mettere fuori causa la partecipazione politica della
gente e la sinistra, estirpare ogni tendenza all'«antiguerra», al
pacifismo, alla nonviolenza; costruire uno Stato cattolico e non
laico. A contrastare questi «valori» Capitini non aveva la forza e
la capacità del nostro partito. Egli, contro questi, lotta solo, non
sufficientemente appoggiato neppure da noi, con radicale
intransigenza, per valori utopicamente antitetici. Ecco la sua
anomalia. Ma lasciamo la parola ai documenti, che sono più eloquenti
di ogni commento. Nell'agosto 1948 il Questore di Perugia risponde a
quello di Pisa ritenendosi autorizzato a dire, nientemeno, che
Capitini è «simpatizzante delle sinistre» e critico della
«religione cattolica». Un maresciallo di Perugia, nel marzo 1949,
comunica al suo Questore che Capitini «è elemento sinistroide
contrario alla guerra... spietato critico della religione
cattolica... capo» dell'«Associazione di resistenti alla guerra aut
Movimento degli obiettori di coscienza», e che «non gode di buona
estimazione nel pubblico per le sue idee da squinternato». Nel
novembre 1949. il Questore di Pisa scrive che Capitini «capeggia in
questa città, da oltre un anno, il Centro di orientamento sociale
che, con carattere anticlericale, tende alla riforma religiosa. Non
svolge però nessuna apprezzabile attività, né fa seria
propaganda». E continua. «Sono qui appena due o tre gli
intellettuali che dimostrano di interessarsi alle teorie di Capitini,
il quale, poi, dagli altri pochi intellettuali che lo conoscono,
viene schernito e additato come colui che vuole riformare la
religione servendosi di vecchie zitelle e di preti spretati». Nel
luglio 1950, si noti l'anno, il Questore di Cremona, in riferimento a
una lontana richiesta del Questore dì Perugia dell'Italia di Salò
(aprile 1944), chiede di sapere se Capitini è ancora un ricercato.
Nel dicembre 1958, il Questore di Perugia pensa di dovere riferire al
ministero dell'Interno che Capitini «fece parte della Associazione
italiana di resistenza alla guerra e della Federazione italiana
antimilitarista, e nel 1949 tentò di costituire in questa regione il
Movimento obiettori di coscienza, raccogliendo l'adesione di una
quindicina di persone che successivamente si allontanarono... Egli,
nel suo continuo desiderio di emergere e allo scopo di elevarsi dalla
mediocrità e costituirsi un seguito, nel 1952 si fece promotore in
Perugia del Centro di coordinamento internazionale per la
nonviolenza, del Centro di orientamento religioso... e della Società
vegetariana italiana... Queste iniziative, come le altre da lui
tentate, non suscitarono il benché minimo interesse in questa
popolazione e lo stesso Capitini non consta che abbia un seguito
apprezzabile, essendo noto per la sua megalomania». Nel dicembre
1958 Capitini tiene a Modena, nella «casa della Gioventù comunista»
una conferenza su Discuto la religione di Pio XII, un libro
che aveva pubblicato presso Parenti nel 1957; il locale Questore si
sente in diritto di chiedere al ministero dell'Interno, su Capitini,
«dettagliate informazioni, specie in linea politica». Nel maggio
1966, si noti ancora la data, il Questore di Bologna chiede a quello
di Perugia informazioni su Capitini in quanto, insieme ad altri, si è
incontrato in un albergo in questa città «con il prof. Favilli
Giovanni fu Giuseppe, direttore dell'Istituto di patologia generale
dell'Università di Bologna, noto esponente dell'Anpi e consigliere
del Comune di Bologna per la lista del Pci».
Diverse domande si
pongono. È ammissibile che la politica della Repubblica schedasse
Capitini? E che, come si sa e come l'ultimo passo citato mostra,
schedasse i comunisti? Capitini era per la gente e per la sinistra;
era contrario alla violenza; era contrario a una religione di Stato.
E ammissibile che nelle nostre Questure non si volesse così
fermamente e ottusamente che lo Stato diventasse laico, che il
movimento nonviolento crescesse, che la gente e la sinistra
contassero di più? È ammissibile che funzionari della Repubblica
abbiano costume, come risulta chiaramente da alcuni dei passi che ho
citato, di trattare un cittadino, un uomo, con tanta stupidità
crudele, con compiaciuto e brutale disprezzo? Un uomo che dette tanto
a ciò che il Paese stava diventando in meglio e a ciò che dovrebbe
diventare. Un uomo che non sapemmo capire abbastanza. Ma che,
soprattutto i più giovani di noi ma anche i non più giovani,
abbiamo imparato a capire; abbiamo imparato a capire l'altezza del
suo messaggio di nonviolenza e di attenzione alla gente, a tutti, a
una società in cui ciascuno sia libero, sovrano, solidale.
“l'Unità”, 21
dicembre 1988
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