11.7.18

La “compagna”. Tre donne per l’uomo ateniese (Eva Cantarella)

José Garnelo y Alda, Aspasia e Pericle
Dice Demostene che l’uomo ateniese poteva avere tre donne: la moglie (damar o gunè) per avere figli legittimi; la concubina (pallakè) «per la cura del corpo», vale a dire per avere rapporti sessuali stabili; e, infine, l’etéra, hedonès heneka, ovverosia per il piacere. Questa «tripartizione» delle funzioni femminili nel rapporto con l’uomo (di per sé estremamente sintomatica della strumentalità del rapporto uomo-donna), pone peraltro alcuni problemi, determinati dalla necessità di delimitare i confini del ruolo di concubina. Nella consuetudine quotidiana, infatti, il rapporto con la pallakè (che, a volte, era accolta addirittura nella casa coniugale) era sostanzialmente identico a quello con la moglie, ed era sottoposto a una regolamentazione giuridica che da un canto imponeva alla concubina l’obbligo della fedeltà, esattamente come se fosse una moglie (da cui derivava il diritto di uccidere «legittimamente» il suo amante, previsto, come sappiamo, dalla legge di Draconte), e dall’altro riconosceva ai figli nati dalla concubina alcuni diritti successori, sia pur subordinati a quelli dei figli legittimi.
Contrariamente a quanto spesso si è affermato, peraltro, questo non significa che il diritto ateniese autorizzasse la bigamia, come taluno sostiene, citando una frase di Diogene Laerzio. Scrive Diogene, in effetti, che gli ateniesi «a causa della scarsità di uomini, desideravano aumentare la popolazione e approvarono una legge secondo la quale un uomo poteva sposare una donna ateniese e avere figli da un’altra». E anche recentemente la frase è stata considerata una prova del fatto che il diritto ateniese, sia pur temporaneamente e in circostanze eccezionali, avrebbe ammesso la bigamia. Ma, a ben vedere, la frase significa una cosa ben diversa. Più precisamente, significa che gli ateniesi riconobbero ai figli nati fuori del matrimonio un certo status. In altre parole, riconobbero e regolarono giuridicamente l’esistenza delle concubine, accanto alle mogli, ma in posizione diversa da queste, stabilendo una precisa gerarchia fra i due diversi rapporti stabili che l’uomo poteva avere.
Ma la gamma dei possibili rapporti che un uomo ateniese poteva avere con le donne non si esaurisce qui. Oltre alla moglie e alla concubina, infatti, egli poteva avere anche una terza donna che, pur non essendo legata a lui da un rapporto stabile, non era neppure, tuttavia, un'accompagnatrice occasionale: e questa terza donna era l’etéra.
Più educata di una donna destinata al matrimonio, l’etéra, destinata, invece, «professionalmente» ad accompagnare gli uomini nei luoghi nei quali moglie e concubina non potevano seguirli, era una specie di rimedio, organizzato da una società di uomini che, avendo segregato le donne, riteneva tuttavia che la compagnia di alcune di esse potesse rallegrare le attività sociali, gli incontri fra amici, le discussioni che le mogli, oltre a non dovere, non erano comunque in grado di sostenere.
Ed ecco quindi l’etera, la terza donna, alla quale l’uomo remunerava un rapporto (anche sessuale) che, pur non essendo esclusivo, non era neppure meramente occasionale. Una «compagna» dunque (perché questo è il significato di «etéra») alla quale l’uomo chiedeva (e pagava) una relazione in qualche misura gratificante anche sotto il profilo intellettuale; e, quindi, del tutto diversa sia dal rapporto con la moglie sia da quello con una prostituta.

Da L'ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nella antichità greca e romana, Editori riuniti, 1981

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