8.7.18

Arrampicatori. Quando i giovani della Ddr partivano per scalare il Picco del Socialismo (Cesare Martinetti)


Si scambiavano le mappe in privato, erano schizzi approssimativi, ci si orientava più che altro per passa parola. Anche le attrezzature erano fatte in casa: occhiali da saldatore per i ghiacciai, piumini con piume di galline per i sacchi a pelo, materassini con l’isolante da edilizia, ramponi copianti dai cataloghi di prodotti sportivi occidentali. Nient’altro che l’ordinario esercizio di bricolage esistenziale per i compagni dell’est. Anche il cibo veniva accantonato poco per volta: barattoli di salsiccia, stecche di müsli, uva passa e noci…
Erano come degli iniziati, il gruppo che si chiamava «Unerkannt durch Freundesland», movimento all’aria aperta, ragazzi e ragazze della Germania Est che passavano l’estate in Unione sovietica senza un visto valido. Scivolando clandestinamente attraverso le maglie burocratiche di un sistema tanto arcigno quanto grottesco, stolido e impenetrabile eppure fragile e popolato da un’umanità stralunata, ben lontana dalla conquista del comunismo «elettrificato» promesso da Lenin, ma quasi sempre disponibile a superare l’obbligo di vigilanza staliniano nei confronti dell’estraneo.

L’Urss appariva una promessa d’avventura, un Far East sconfinato e misterioso
Con questo Alpinisti illegali in Urss, a cura di Cornelia Krauss e Frank Böttcher, l’editore Keller aggiunge un altro volume a una originalissima serie di reportage di viaggi «controvento» alla scoperta degli abissi della Russia, passati e presenti. Qui si racconta di ragazzi e ragazze (poche) con la passione dell’alpinismo, una di quelle attività non ben classificabili nel codice socialista perché portatrice di incontrollabile e pernicioso individualismo. L’alpinismo non figurava nella Berliner list degli sport ammessi.

L’alpinismo clandestino era diventato una forma di dissidenza negli Anni 80
Fatto sta che per i ragazzi della Germania Est andarsi a cacciare «nella baracca più grande del campo socialista» era un modo di evadere da quel mondo di «visi desolati che parevano sempre prossimi alla fustigazione», come scriveva Johan Gottifreid Seume.
Sembrerà certo paradossale per chi viveva nella galera della DDR andarsi a cacciare nel gulag sovietico, ma interdetto l’ovest, l’Urss appariva una promessa d’avventura, un Far East sconfinato e misterioso. Una natura incontaminata, le vette di 4-5 mila metri che non trovavano in Germania Est: Caucaso, Pamir, Siberia orientale, Kamcatka. La fratellanza della grande patria socialista assicurava un «visto di transito», occorreva cavarsela con il russo, viaggiare mimetizzati, evitare altre comitive, mai la bandiera DDR: era come vivere in una società segreta, le relazioni di coppia subordinate a quelle di assoluta fedeltà con gli amici.
Stalin aveva incoraggiato l’alpinismo come eroica lotta socialista contro la natura inospitale. Ma tutto aveva preso una piega burocratica: le attrezzature venivano distribuite dallo Stato, le spedizioni regolate, proibite quelle private, gli incidenti erano considerati conseguenza dell’egoismo di marca occidentale cui veniva contrapposto l’alpinismo sovietico collettivista.
Per i ragazzi della Germania Est che si allenavano scalando palazzi e comignoli in città l’alpinismo clandestino in Urss era dunque diventato una forma di dissidenza, specie negli anni 80, quando molti presero consapevolmente le distanze dallo stato «operaio e contadino»: l’arrampicata divenne allora un’elitaria massima di vita.
I racconti di viaggio della raccolta costituiscono una collezione di strepitose avventure, attraversando l’Urss poteva (può) succedere di tutto: essere derubati da una timidissima e graziosa ragazza nel vagone letto diretto in Crimea, trovare escrementi umani nella tazza del tè, viaggiare con un morto seduto sul sedile posteriore dell’auto, ubriacarsi con il capo della polizia che ti ha appena arrestato, incontrare nel Caucaso Adele Nagel, un tempo prima ballerina del Bolshoi, poi deportata con la famiglia di origine tedesca. E capita anche di trovare aperta la via per scalare l’Elbrus (il monte più alto d’Europa, 5.642 metri, altro che il Bianco) grazie a banali fogli di carta intestati al quotidiano “Turbine Potsdam” ricoperto da timbri di inchiostro colorato e firmati con nomi di fantasia: Müller, Meier, Schulze. Erano il lasciapassare, i sovietici adoravano i timbri.

Nella vita on the road ti derubavano e ti ubriacavi con i poliziotti
Il programma «Unerkannt durch Freundesland» terminò nell’estate dell’89, a poche settimane dalla caduta del muro. Di quei giorni resta la testimonianza di un ventenne di Oberhof, Turingia, che aveva falsificato un invito mai ricevuto ed era arrivato in Pamir, a 5 mila km dalla Ddr e a 7 mila metri dal livello del mare: «Dalla nebbia emerge un busto di Lenin, dal punto oltre il quale non si può più salire: di fronte a noi un bastione di pietra e ghiaccio, il Picco del Comunismo. Il piacere dell’arrampicata nella sua forma più nobile. Siamo liberi».

Tuttolibri La Stampa, Numero 2103, 7 luglio 2018

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