Si scambiavano le mappe
in privato, erano schizzi approssimativi, ci si orientava più che
altro per passa parola. Anche le attrezzature erano fatte in casa:
occhiali da saldatore per i ghiacciai, piumini con piume di galline
per i sacchi a pelo, materassini con l’isolante da edilizia,
ramponi copianti dai cataloghi di prodotti sportivi occidentali.
Nient’altro che l’ordinario esercizio di bricolage esistenziale
per i compagni dell’est. Anche il cibo veniva accantonato poco per
volta: barattoli di salsiccia, stecche di müsli, uva passa e noci…
Erano come degli
iniziati, il gruppo che si chiamava «Unerkannt durch Freundesland»,
movimento all’aria aperta, ragazzi e ragazze della Germania Est che
passavano l’estate in Unione sovietica senza un visto valido.
Scivolando clandestinamente attraverso le maglie burocratiche di un
sistema tanto arcigno quanto grottesco, stolido e impenetrabile
eppure fragile e popolato da un’umanità stralunata, ben lontana
dalla conquista del comunismo «elettrificato» promesso da Lenin, ma
quasi sempre disponibile a superare l’obbligo di vigilanza
staliniano nei confronti dell’estraneo.
L’Urss appariva
una promessa d’avventura, un Far East sconfinato e misterioso
Con questo Alpinisti
illegali in Urss, a cura di Cornelia Krauss e Frank Böttcher,
l’editore Keller aggiunge un altro volume a una originalissima
serie di reportage di viaggi «controvento» alla scoperta degli
abissi della Russia, passati e presenti. Qui si racconta di ragazzi e
ragazze (poche) con la passione dell’alpinismo, una di quelle
attività non ben classificabili nel codice socialista perché
portatrice di incontrollabile e pernicioso individualismo.
L’alpinismo non figurava nella Berliner list degli sport
ammessi.
L’alpinismo clandestino era diventato una forma di dissidenza negli Anni 80
Fatto sta che per i
ragazzi della Germania Est andarsi a cacciare «nella baracca più
grande del campo socialista» era un modo di evadere da quel mondo di
«visi desolati che parevano sempre prossimi alla fustigazione»,
come scriveva Johan Gottifreid Seume.
Sembrerà certo
paradossale per chi viveva nella galera della DDR andarsi a cacciare
nel gulag sovietico, ma interdetto l’ovest, l’Urss appariva una
promessa d’avventura, un Far East sconfinato e misterioso. Una
natura incontaminata, le vette di 4-5 mila metri che non trovavano in
Germania Est: Caucaso, Pamir, Siberia orientale, Kamcatka. La
fratellanza della grande patria socialista assicurava un «visto di
transito», occorreva cavarsela con il russo, viaggiare mimetizzati,
evitare altre comitive, mai la bandiera DDR: era come vivere in una
società segreta, le relazioni di coppia subordinate a quelle di
assoluta fedeltà con gli amici.
Stalin aveva incoraggiato
l’alpinismo come eroica lotta socialista contro la natura
inospitale. Ma tutto aveva preso una piega burocratica: le
attrezzature venivano distribuite dallo Stato, le spedizioni
regolate, proibite quelle private, gli incidenti erano considerati
conseguenza dell’egoismo di marca occidentale cui veniva
contrapposto l’alpinismo sovietico collettivista.
Per i ragazzi della
Germania Est che si allenavano scalando palazzi e comignoli in città
l’alpinismo clandestino in Urss era dunque diventato una forma di
dissidenza, specie negli anni 80, quando molti presero
consapevolmente le distanze dallo stato «operaio e contadino»:
l’arrampicata divenne allora un’elitaria massima di vita.
I racconti di viaggio
della raccolta costituiscono una collezione di strepitose avventure,
attraversando l’Urss poteva (può) succedere di tutto: essere
derubati da una timidissima e graziosa ragazza nel vagone letto
diretto in Crimea, trovare escrementi umani nella tazza del tè,
viaggiare con un morto seduto sul sedile posteriore dell’auto,
ubriacarsi con il capo della polizia che ti ha appena arrestato,
incontrare nel Caucaso Adele Nagel, un tempo prima ballerina del
Bolshoi, poi deportata con la famiglia di origine tedesca. E capita
anche di trovare aperta la via per scalare l’Elbrus (il monte più
alto d’Europa, 5.642 metri, altro che il Bianco) grazie a banali
fogli di carta intestati al quotidiano “Turbine Potsdam”
ricoperto da timbri di inchiostro colorato e firmati con nomi di
fantasia: Müller, Meier, Schulze. Erano il lasciapassare, i
sovietici adoravano i timbri.
Nella vita on the
road ti derubavano e ti ubriacavi con i poliziotti
Il programma «Unerkannt
durch Freundesland» terminò nell’estate dell’89, a poche
settimane dalla caduta del muro. Di quei giorni resta la
testimonianza di un ventenne di Oberhof, Turingia, che aveva
falsificato un invito mai ricevuto ed era arrivato in Pamir, a 5 mila
km dalla Ddr e a 7 mila metri dal livello del mare: «Dalla nebbia
emerge un busto di Lenin, dal punto oltre il quale non si può più
salire: di fronte a noi un bastione di pietra e ghiaccio, il Picco
del Comunismo. Il piacere dell’arrampicata nella sua forma più
nobile. Siamo liberi».
Tuttolibri La Stampa,
Numero 2103, 7 luglio 2018
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