I fantasmi amano le case.
In virtù della loro immateriale struttura, forti di una gamma
variegata e mutevole di notturni poteri, potrebbero tranquillamente
scorrazzare per strade e vicoli, infestare piazze, parchi e musei.
Invece, senza alcun dubbio, preferiscono l’anonimato ingannevole
delle comuni dimore, occultano volentieri le loro micidiali trappole
nelle ombre dei solai e delle cantine, sdegnando l’aria aperta.
Il timore superstizioso
che circonda le tenebre del cimitero è privo di fondamento. La
minaccia si annida astutamente dove meno la si aspetta, in quella
casa che sappiamo rappresentare una chiara proiezione dell’Io, fra
le mura che dovrebbero marcare confini invalicabili e dividere il
regno dell’incertezza e del pericolo sempre in agguato da quello
della rassicurazione e del controllo sull’ambiente circostante.
Sincerarsene non è difficile. Basta accendere la televisione,
preferibilmente in ora tarda, per imbattersi con eloquente frequenza
in villette suburbane che celano dietro una facciata ridente la
propria sinistra realtà, o, al contrario, in architetture gotiche
che dichiarano subito quanto sconsigliabile sia il frequentarle.
Non è tutto: la haunted
house, la casa stregata o maledetta, è forse il luogo
dell’horror meno toccato dal sovvertimento introdotto venti anni fa
da George Romero con la sua Notte dei morti viventi e portato
poi alle sue estreme conseguenze nei romanzi di Stephen King e Peter
Straub. A prima vista, la casa infestata segna un’inconsueta linea
di continuità attraverso l’immaginario maledetto.
Se prendiamo una delle
prime grandi ghost stories moderne, Il giro di vite di
Henry James, troviamo tutti i tratti principali poi puntualmente
ripresi e rielaborati nella letteratura spettrale centrata intorno
alla casa. Una quasi idillica apparenza scossa in crescendo da segni,
prima impercettibili poi sempre più invadenti, di una presenza
estranea, disomogenea e distruttiva. Il radicamento della maledizione
in un avvenimento passato, il suo carattere di proiezione
cronologica: passioni, delitti e orrori, proprio per la loro forza
emotiva, non si lasciano cancellare dal trascorrere del tempo,
sfidano le barriere della morte e degli anni, si ostinano a
condizionare la vita di chi si imbatte nelle loro invisibili tracce.
L’ambiguità, infine,
tra orrori naturali e sovrannaturali: se a provocare la tragedia, nel
Giro di vite, siano davvero i fantasmi dei due tragici amanti
morti poco prima dell’inizio del libro o se, invece, sia solo la
follia della benintenzionata istitutrice a dare presenza agli spettri
fino a provocare il disastro, resta incerto. James non si preoccupa
di sciogliere l'enigma, ma in ogni caso è certo che fuori da quella
casa, senza i ricordi di cui sono piene quelle stanze e quei
corridoi, niente succederebbe.
Non diversamente, un
secolo più tardi, in Shining, variante sul tema di Stephen
King (qui si tratta infatti un albergo maledetto, abitato però da
una sola famiglia, in modo da ripristinare il modello originale), il
passato proietterà la sua ombra sulla vicenda in due modi distinti e
complementari. Da un lato la biografia del protagonista Jack,
l’infanzia rimossa e passata con un padre pazzo e violento,
condizionerà, una volta eliminata la rimozione, ogni suo gesto.
Dall’altro l’albergo stesso, dove ogni stanza è stata testimone
di atrocità, è marchiato dalla sua stessa storia. L’orrore - il
tentativo di Jack di assassinare moglie e figlio, forse ancora di più
il progressivo sostituirsi della personalità del padre alla sua -
conseguono direttamente dal corto circuito tra il passato del
protagonista e quello dell’albergo che lo ospita.
King, come James prima di
lui, sa perfettamente che il vero orrore non va cercato oltre le
dimensioni del terreno, perché è ben radicato nella realtà di ogni
giorno: nelle fobie e nelle frustrazioni della istitutrice vittoriana
di James, nella brutalità ottusa di un padre folle, che peserà
inevitabilmente ma ingiustamente sulla vita del figlio, in King.
Diversa è solo la formula con cui i due arrivano al medesimo
risultato.
Per James la chiave è
l’ambiguità, facilitata dalle sue ricerche stilistiche sul «punto
di vista», il lasciare aperte varie interpretazioni. Per King, che a
prima vista sembra voler esplicitare tutto, compiacendosi anzi negli
effetti granguignoleschi, il trucco consiste invece nel far derivare
il sovrannaturale direttamente dalla normalità, in modo che il primo
sia insieme conseguenza e proiezione macroscopica della seconda.
E il modello non è
dissimile, anche se mefio studiato e perfezionato, in decine di altri
esempi possibili.
Nel film di Spielberg e
Hooper Poltergeist,
dove è la profanazione di un cimitero indiano l’antica colpa da
cui deriverà l’incantesimo maligno che grava sulla linda casetta
middle-class della famiglia protagonista. Nel romanzo di Peter
Straub La casa dei fantasmi, un omicidio commesso in gioventù
da tre dignitosi e ormai attempati signori, è la porta per cui passa
una vera e propria invasione di fantasmi. La casa è qui quasi un
fortilizio avanzato, una testa di ponte, come già nel caso del primo
Dracula, quello di Bram Stoker, in cui il trapasso dal gotico al
moderno è illustrato con lo spostarsi del conte e delle sue
bare-letto dal castello transilvano della prima parte alle case di
Londra.
Ma se il modello
inaugurato da James è di gran lunga il più frequentato e il più
fertile, proprio in virtù della sua inesauribile capacità di
rendere conto della quotidianità, un altro percorso, visionario e
puramente delirante, corre al suo fianco.
Lo si può fare risalire
a Poe, o più specificamente a Lovecraft. Nei lugubri racconti del
solitario di Providence di case dannate ce ne sono alcune: da quella
di La casa delle streghe allo studio-abitazione di Il
modello di Pickman, in cui il geniale e maledetto pittore Pickmam
trova nei mostri inimmaginabili che ne popolano le cantine i modelli
adatti alla sua arte splendida e raccapricciante. Ma anche le streghe
del primo racconto, così familiari nel New England che fa da sfondo
a tutta l’opera di Lovecraft, sono in realtà la facciata
paradossalmente rassicurante che copre ben altre nefandezze: quelle
degli «altri dei», degli alieni dalle forme orride al di là di
ogni immaginazione, del male assoluto rappresentato dalle varie
divinità di provenienza ignota a cui è dedicata l’intera
produzione matura dello scrittore di Providence.
Anche in questo caso, la
formula ha subito poche variazioni negli ultimi deenni. Il modello
di Pickman è una confessione, una chiave di lettura valida per
l’intera opera di Lovecraft come per quella di tutti suoi epigoni:
dal Sam Kaimi del ciclo cinematografico La casa allo Stuart
Gordon di Reanimator e di From Beyond, per citare due autori recenti.
In tutti questi casi, come per Pickman, la ricerca è puramente
artistica, surreale e visionaria.
I mostri che escono a
frotte dalla baracca di campagna della Casa 1 e 2 non possono
spaventare, proprio perché sono eccessivi, proprio come i
fantasmagorici mostri di Lovecraft, nel loro rutilante disgusto, non
potrebbero mai inquietare e turbare con la stessa forza dell’allusivo
James o del sociologico King. L’horror e qui puro espediente, e per
questo la casa, anche quando sia posta al centro della narrazione,
non arriva mai ad acquistare una sua identità forte, a farsi
inanimata protagonista, come nello Shining di King o nelle infinite
versioni letterarie e cinematografiche della mitica Hill House.
E, del resto, come
evitare il parallelismo tra le tante case dove alligna una magica
dannazione, e quelle in cui una disperazione non minore viene
prodotta ogni giorno dai meccanismi patogeni della vita familiare: la
casa del Family Life di Ken Loach, o quella agghiacciante del
Diario di Edith nel bellissimo libro di Patricia Highsmith.
Senza cercare troppo lontano, l’horror moderno continua a
imbattersi nelle case, perché, anche nella realtà, esse rendono
ancora conto dei massimi orrori della vita quotidiana.
Nello sconvolgimento che
ha riscritto negli ultimi decenni i codici dell’horror, la casa ha
dunque rappresentato un’area di persistenza e conservazione. La
spiegazione va forse cercata nel suo aver costituito, fin dal secolo
scorso, un luogo quanto mai moderno, nel suo aver segnato un momento
di anticipazione rispetto al resto della topografia Spettrale
Fin dall’inizio, già
con il gotico Dracula la collocazione delle forze del male
nella borghesissima «abitazione» rompe con le regole imperanti
dell'horror esotico e immaginifico. La rivoluzione di Romero e King,
lo spiazzamento del mostruoso da una dimensione lontana ai percorsi
della vita a ogni giorno, la sua ibridazione con l'analisi della
contemporaneità e con l’abbraccio di vere e proprie istanze
politiche, spesso molto radicali, è già tutta contenuta in potenza
nell'emergere della dimora urbana o suburbana come sede propizia allo
scatenarsi di forze e pulsioni segrete, quanto mai opposte rispetto a
quella sbandierata e rispettabile tranquillità.
“il manifesto”, 31
agosto 1989
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