26.7.18

Il mistrettese. Un “mimo siciliano” di Francesco Lanza


Il mistrettese, quando tornò per la vicenda, la casa ch’era vuota la trovò adornata d’ogni cosa, e se ne faceva le meraviglie.
— Moglie mia — domandava — o chi v’ha fatto questo letto di re, con la testiera che mi ci posso veder dentro ?
E lei:
— Compare don Bastiano me l’ha fatto, perché voi ci possiate riposare.
— E bravo compare don Bastiano! — diceva lui gongolante. — E questo tavolo e questo cassettone con tutto il ben di Dio che c’è dentro?
— O non ve lo dico? compare don Bastiano.
— E bravo compare don Bastiano, che davvero non me l’aspettavo! E queste seggiole, e questi santi, e queste bocce di vetro che se le tocco si rompono, e cotesti pendagli che avete agli orecchi, e sembrate la Madonna dell’Aiuto?
E lei:
— Compare don Bastiano, marito mio, che voi non potevate e ci ha pensato lui.
In quella s’udì un vagire dal letto, e la donna corsavi ne tornò subito con un fantolino attaccato alla poppa gonfia come una zucca.
— E cotesto, o che è? — domandò lui meravigliato.
— Non lo vedete che è? il vostro figliolino.
E lui, sgranando gli occhi:
— O chi ve l’ha fatto, che io non cero?
— Compare don Bastiano, marito mio, per non dare a voi il fastidio, eh’eravate al monte.
— Ba' ba’, ba’; — esclamò lui, abbuiandosi — adesso compare don Bastiano comincia a farmi perdere la paziènza. O tutto lui fa, e io che sono, un cetriolo.
Ma più lo guardava quel figliolino, e più gli pareva di suo gusto; e presolo in braccio lo vezzeggiava con festa, e guardandolo alla lunga, faceva ammirato.
— E bravo compare don Bastiano, che l'ha fatto tutto somigliante a me che sono su pa', per non far perdere la stirpe.
La moglie intanto non sapeva come levarselo d'attorno a causa del compare, e per un conto o per un altro sempre se ne sbrigava quant’era il bisogno; e lui come una pasqua.
Compiuta finalmente la vicenda, il mistrettese si calzò, si mise la bisaccia sulle spalle e se ne tornò al monte, pasciuto e riposato; ma giuntovi si ricordò di non aver baciato per l’ultima volta il figliolino ch’era tutto suo pa’, e di corsa rifece la strada.
Arrivò ch’era notte, e la porta era chiusa; e dentro la moglie si divertiva col compare.
— Tùp, tùp, — bussò lui — o moglie mia, apritemi che dimenticai di baciare per l'ultima volta il figliolino.
Quella di rimando che se ne andasse, che il figliolino dormiva e a svegliarlo non si sarebbe quetato più, e lui:
— O se si sveglia, voi gli date la poppa e ci s’addorme di sopra come un papa.
Ma quella di no, che ad aprire la porta c’era freddo e il figliolino avrebbe preso aria; e lui:
— E voi fatemelo almeno baciare dalla gattaiola, quanto ci arrivo col muso, e i’ me ne vo.
La moglie scese dal letto ch’era nuda e andata alla porta si mise con una natica alla gattaiola; e gli faceva:
— Spicciatevi a baciarlo, che piglia freddo.
— O la carnuccia tenera; — diceva lui estasiato, e non finiva più di sbaciucchiare.
In quella alla donna, per la positura, scappò un ventolino di dietro; e gli arrivò tutto sul muso, tra un bacio e l’altro; e lui, asciugandosi la bocca con la mano :
— Ooooh, il figliolino gli pute il fiato, e pensateci voi, moglie mia, che restate qua.
E se ne tornò al monte.

Mimi e altre cose, Sansoni, 1946

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