In Rulli di tamburi per Rancas, lo scrittore latino-americano Manuel Scorza ha narrato come un giorno i poverissimi abitanti di un villaggio peruviano, trovando una moneta per terra nella piazza la lasciassero lì per giorni, tornando a scrutarla e ad interrogarsi sul suo significato. Nessuno la raccolse e osò appropriarsene; il Sindaco ordinò comunque al popolo di non toccare la moneta. Dopo qualche giorno, passò di lì un ricco dottore, la adocchiò, la raccolse, se la mise in tasca e se ne andò. E' la condizione in cui si trovano miliardi di persone che si vedono scippare beni da coloro che godono di una posizione di forza per poterlo fare, favorita dall'ineguaglianza sociale e dalle sue sponde politiche.
John Locke il teorico dello Stato liberale, ne avrebbe gioito, ritenendo la disponibilità dei beni un segno della volontà divina. Del resto difendeva in un sol colpo proprietà, parlamentarismo e enclosures, le recinzioni dei campi aperti, che hanno portato alla distruzione degli usi civici e dei beni comuni, ma anche alla rivoluzione industriale, nei termini in cui il socialismo l'ha descritta e combattuta. A quel tempo c'era ancora la possibilità di accedere a visioni diverse del mondo.
La sottrazione dei beni comuni
La sottrazione dei beni comuni alle cittadinanze e alle comunità è una pratica che ha ottenuto un impulso poderoso dagli anni Novanta. E' stato un processo inesorabile, parallelo all'infiacchimento delle democrazie e alla rinuncia al confronto paritario tra visioni diverse - e politiche - dei destini individuali, collettivi e del pianeta, a vantaggio del dominio di fatto di lobby finanziarie detentrici di potere reale a tutti i livelli della scala territoriale. Oggi ci occupiamo di acqua, non dobbiamo tuttavia rimuovere la riduzione a merce - sotto gli occhi di tutti e sotto i piedi di ciascuno - di altri beni comuni materiali e immateriali.
La persona e la dignità, con la tratta degli organi, degli esseri umani e di bambini, sono scomparse dalla scena dei valori assoluti e inalienabili.
La città e la comunità, sviluppatesi per interazione di scambi simbolici e merci, si sono ridotte a identificarsi con quest'ultime. Gli spazi pubblici sancivano la natura della città come bene collettivo. Sono stati chiusi o privatizzati.
Il paesaggio e la bellezza erano beni comuni, e in luoghi dove si vedeva sorgere il sole si sarebbe dovuto continuare a veder sorgere il sole. Gli spazi demaniali sono stati via via alienati ai privati o messi sul mercato.
La cultura era un bene comune, e avrebbe dovuto rimanerlo maneggiando con cura un settore che è intrinsecamente associato all'identità e alla reputazione collettive.
Non è più un bene comune l'istruzione; non è più pubblica, e quel che rimane della "cultura generale" o è asservita a merce o è livellata sui meccanismi di riproduzione sociale per cui il reddito di cui godiamo è, in proporzione, quello a disposizione dei nostri padri.
L'emancipazione sociale, fondata sulle pari opportunità, non è più percepita come un diritto fondamentale, ma come ingenuo velleitarismo.
Non è più bene comune la politica, da quando i partiti democratici hanno prosciugato il terreno dei valori e dei principi, istruendo classi dirigenti al compromesso cinico, inclini a costituirsi in lobby e hanno partecipato della dimensione più deplorevole della mercificazione del tutto.
La privatizzazione dell'acqua cos'è in fondo se non il trasferimento al privato, deciso dalla politica, di quote consistenti di cittadini che si trasformano in clienti? Più si dissolve la percezione della dimensione comune dei beni fondanti una civiltà, più si rafforza lo status di sfruttati o di clienti, dipende da dove si vive. Sfruttati che non hanno voce o clienti che non hanno mai ragione, dovendo trovare le proprie ragioni nella politica che però muore con la morte dei beni comuni e pubblici. E anche per la democrazia suonano a morto le campane.
L'acqua, la vita e la corruzione
Nel rapporto 2008 di Human Rights Watch, dedicato alla violazione dei diritti nell'economia globale, è scritto: "I diritti sociali ed economici, relativi ai bisogni fondamentali di tutti gli individui, inclusi cibo, acqua, incolumità personale, assistenza sanitaria, vestiario, istruzione e dimora, sono stati profondamente intaccati dagli interessi del business."
L'accesso all'acqua è uno dei settori in cui l'impatto è più devastante poiché incide a sua volta su tutti gli altri fattori vitali. Negli anni Novanta, una controllata di Enron (compagnia statunitense per l'energia), la Dabhol Power Corporation, dopo aver comprato terreni in India, vi ha gestito interi bacini idrici lasciando a secco interi villaggi. Le sollevazioni delle popolazioni locali sono state puntualmente represse e occultate dai media. In Nigeria, un'impresa petrolifera ha sistematicamente danneggiato raccolti e inquinato l'acqua potabile. La situazione è destinata ad aggravarsi in seguito al massiccio interesse delle multinazionali finanziarie per i terreni agricoli africani; li comprano a prezzi stracciati per riconvertirli alla produzione di biomasse funzionali al mercato delle energie alternative nei Paesi già ricchi. “Der Spiegel” lo ha definito "nuovo colonialismo". Con una certa usualità si insinua anche il razzismo, come quello che colpisce la popolazione Mapuche in Patagonia. Sul loro territorio, che insiste sull'immensa riserva idrica dell'Acquìfero Guaranì, si sono radicati gli interessi di Endesa, la cui proprietaria è Enel, azionista di maggioranza di Hidroaysèn, impresa aggiudicataria dei diritti sull'acqua in quella zona.
L'acqua è distribuita in modo diseguale, pur essendocene in abbondanza, come contesta il Consiglio di Difesa della Patagonia, che ha denunciato le violenze subite dalle donne Mapuche, in prima linea nella battaglia per l'accesso all'acqua.
In Honduras molte zone non se la passano meglio. E' inoltre di pochi giorni fa la notizia secondo la quale un immenso bacino idrico sotterraneo, più grande dell'Acquìfero, sarebbe stato individuato nell'Amazzonia brasiliana. C'è da star certi che gli interessi del business globale sono già all'opera. Non sono pochi i contesti in cui gli affari sull'acqua si sono incrociati negli ultimi dieci anni con la corruzione. Nel rapporto 2008, Transparency International la imputa alla debolezza delle governance sia pubbliche che private. E lancia un appello agli stakeholder delle multinazionali dell'acqua perché la corruzione esaspera "i costi economici, politici, sociali, culturali e ambientali dei Paesi in cui l'accesso all'acqua non è un diritto, costringendo la popolazione ad atroci sofferenze".
Dal rapporto 2007, l'Africa sub-Sahariana risulta la regione che ne soffre di più, ed è tra quelle la cui popolazione ha il minor accesso alle risorse idriche. La corruzione farà lievitare di circa 48 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni i costi delle iniziative internazionali a garanzia del diritto all'acqua. Per le popolazioni più povere la corruzione si misura anche in termini di vita. Il rapporto 2009 dell'Unesco sull'acqua calcola che 1 miliardo e 200 milioni individui non vi abbiano accesso.9 L'Unep aggiunge che "un bambino ogni due secondi" muore per malattie legate alla non potabilità dell'acqua che beve o alla sua totale mancanza. “Oltre metà dei letti d'ospedale nel mondo sono occupati da persone che hanno malattie derivanti da acque inquinate”.
E le previsioni da qui al 2025 sono funeste: più di tre miliardi di persone potrebbero ritrovarsi a vivere in paesi "water-stressed", in un momento in cui è più scarsa (l'80% del consumo d'acqua avviene nei settori industriali e agricoli). Tra i Paesi "water-stressed" ci potrebbe essere anche l'Italia.
Le stime dell'Osce sono anche peggiori: entro il 2030 3,9 miliardi di individui vivranno in grave carenza di acqua e, quando gli abitanti del pianeta saranno nove miliardi, il problema riguarderà la metà della popolazione mondiale, quella della Cina e del sud asiatico in particolare. E' anche accaduto che fossero i governi a denunciare pratiche illegali condotte dai gestori internazionali dell'acqua, come in Argentina. L’ex presidente Kirchner ha accusato di "pillage" (saccheggio) la Suez, multinazionale francese che opera anche in Italia, ove il governo aveva privatizzato l'acqua. In Italia, il problema si chiama anche mafia e criminalità organizzata. Sono note le indagini che hanno coinvolto imprese gestori di comparti dell'approvvigionamento idrico sia al sud che al nord. In Sicilia, durante l'era Cuffaro, si era anticipato di tre anni il decreto Ronchi: ai privati, oltre all'affidamento del servizio idrico per 30 anni, è stato accordato più di un miliardo di fondi europei per gli investimenti. Non se ne è visto alcuno. Anche Amiacque, sponsor di questa iniziativa, dovrebbe stare più attenta quando elegge il proprio Presidente.
Un colossale problema politico
Al 5° Forum mondiale dell'acqua, tenutosi a Istanbul dal 16 al 22 marzo 2009 (il prossimo sarà a Marsiglia), non sono riusciti a decidere - sulla base di una ragionevole teoria del Diritto e della Democrazia - cosa sia l'acqua. Si sono limitati a stabilire l'ovvio: è "un bisogno fondamentale". Ben diverso è decretare l'acqua quale bene comune sociale primario. I beni comuni sociali primari sono patrimonio dell'Umanità e una comproprietà universale, la loro garanzia risiede nell'indisponibilità. "La loro disposizione è vietata in assoluto", scrive Luigi Ferrajoli. Per i beni materiali, l'indisponibilità è dovuta ai caratteri di accessibilità, deteriorabilità e irriproducibilità. Tuttavia, la determinazione di un bene comune sociale non è tanto una questione giuridica (non ancora almeno e purtroppo) quanto storico-culturale. La capacità di definire "comuni e inalienabili" alcuni beni vitali è cresciuta con la civiltà e con la consapevolezza che la loro tutela dovesse darsi sia per le generazioni viventi che per quelle future. Civiltà vorrebbe che si pongano limiti alle attività private su questi beni e si imponga il rispetto dei vincoli alla sfera pubblica. Sfera pubblica che tende a ridurli in beni patrimoniali, privatizzandoli, ossia a merci a cui associare un valore di mercato. Quando l'unico valore da associarvi dovrebbe essere quello vitale, e, per questo, coloro i quali si trovano a gestirli dovrebbero essere sottoposti a vincoli inderogabili e strettissimi anche sull'etica delle loro azioni. Bene comune è anche la qualità dell'acqua. Non sempre la disponibilità di tecnologie avanzate (nel millennio scorso si sarebbero chiamati "mezzi di produzione") per la gestione delle risorse idriche si associa al rispetto dei principi. E' di qualche mese fa, la notizia, riportata da “Le Monde diplomatique”, secondo la quale sussisterebbe il serio pericolo di inquinamento dell'acqua da nanoparticelle nelle metropoli europee. Ci auguriamo che si possa sottovalutare questo allarme, tuttavia, siamo sicuri che la privatizzazione dell'acqua non comporti anche una sottovalutazione tout court di problemi come questi - ove si presentino - dovuta a pure valutazioni di profitto? Un altro esempio proviene sempre dalla Francia e vede il colosso Veolia (ex Vivendi e General de l'eaux) impegnato in megaprogetti per la costruzione di depuratori in Belgio, i quali, bloccatisi per qualche tempo, avrebbero provocato l'inquinamento della Garonna fino a Tolosa.18 Per rimanere in Lombardia, il recente sabotaggio delle cisterne della Lombardia petroli a Villasanta che ha sversato nel Lambro quantità enormi di liquami oleosi, ha bloccato il depuratore di Monza, con buona pace dei cittadini. La scomparsa dal discorso pubblico e istituzionale dei beni fondamentali come valori può portare alla vendetta perpetrata su beni collettivi primari.
La struttura della imprese globalizzate e il vuoto di regole non infondono fiducia. Le holding dei gestori privati dell'acqua si dedicano anche ad altri brand; anzi, spesso hanno tratto enormi profitti in altri settori e sono nate con altri core business: immobiliare, infrastrutturale, sanitario, rifiuti, dedicandosi ad operazioni tipiche del capitalismo finanziario. L'attuale recessione economica ci insegna che sul lungo termine la speculazione in un settore può produrre crisi a cascata nello stesso e trascinare con sé tutti gli altri. Cosa accadrebbe se una bolla speculativa, simile a quella immobiliare all'origine dell'attuale crisi, scoppiasse portando sull'orlo della bancarotta le holding che hanno in concessione l'erogazione della nostra acqua? Chi ci tutela e a chi dovremo rivolgerci per le denunce civili del caso? Chi sono i proprietari, chi saranno i responsabili? E chi ha gestito la traduzione dal cittadino al cliente, ossia la Politica, di responsabilià non ne avrebbe proprio alcuna e mai? E come la mettiamo con i cartelli che le poche società del settore a volte costituiscono per mantenere i prezzi ad un certo livello? Il Garante della concorrenza ha recentemente multato le società Acea e Suez per aver messo in atto "un'intesa restrittiva della concorrenza nel mercato nazionale della gestione dei servizi idrici". Le lobby, appunto. Che anche se non nascono come tali, tendenzialmente sono portate a diventarlo. E anche nel caso siano "nazionali", ossia italiane, sono comunque private. Del resto dalle cattive gestioni non ci proteggono neppure e sempre le società di diritto pubblico. A2A sta scontando il dissolvimento della Zincar (mission nelle energie rinnovabili) sua controllata che ha prodotto un buco di bilancio di 14 milioni di euro. E' questione di governance, come ha scritto Transparency international.
Il livello cosmopolita
Un altro aspetto critico dell'acqua, intesa come bene comune, è il vuoto nel diritto pubblico internazionale. Un bene comune vitale e primario è universale, le sue garanzie non possono essere lasciate alle vicendevoli tendenze delle postdemocrazie o delle democrazie deboli. Occorre metter mano ad un diritto cosmopolitico e a istituzioni che rispondano solo all'imperativo di proteggere l'acqua quale bene vitale, primario e inalienabile. L'eventualità di un'Autorità civile è stata per esempio presa in considerazione nel febbraio scorso a Tolosa, dove Veolia ha in gestione l'acqua. "La nouvelle autorité gérera les régies municipales, coordonnera le patchwork des 25 communes et pourra contrôler les délégations au privé", si legge in “Le monde”. E' ancora una eventualità locale, tuttavia questo livello potrà operare nella costituzione di un organismo globale. Lo spunto lo offrono, per esempio, le teorie elaborate dal Premio Nobel 2009 per l'Economia Elinor Ostrom e illustrate nel saggio "Governare i beni collettivi".20 La Ostrom sostiene soluzioni alternative alla "privatizzazione", da una parte, e al forte ruolo di istituzioni pubbliche e regole esterne, dall'altra. Soluzioni che, secondo il Premio Nobel, sono fondate sulla possibilità di mantenere nel tempo regole e forme di autogoverno di uso selettivo delle risorse. Sviluppa anche una teoria circa le condizioni che devono valere affinché una gestione "comunitaria" dei beni comuni possa durare ed essere sostenibile. La comunità si fa garante della inalienabilità del bene e dei principi che regolano il suo status per la vita delle persone. Ostrom enfatizza l'importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e agite in quanto giuste, non per opportunismo. Le sue indicazioni sembrano efficaci proprio a proposito dell'acqua. Il diritto internazionale, non sarebbe altro per Ostrom che un sistema di governance applicato a un bene comune, poiché per raggiungere un qualsiasi risultato degno, non vi è soluzione alternativa alla cooperazione tra i popoli della Terra. Le comunità a cui si riferisce Ostrom sono sia quelle locali, sia forme di sostegno mondiale che spesso le prime ottengono nelle azioni di rivendicazione dei diritti primari. Anche il rispetto e l'antirazzismo sono beni comuni non mercificabili, né scambiabili per ottenere un consenso politico alla buona. Ultimamente sono le forme di azione cosmopolita e internazionale ad aver dato la lezione migliore di come un bene primario come l'acqua debba essere salvaguardato insieme al rispetto degli individui, rivendicando anche il principio che a certi beni non dovrebbero essere associati valori finanziari.
Il livello nazionale ed europeo
L'art. 15 del decreto Ronchi, votato dal Parlamento il 19 novembre 2009, che obbliga alla messa a gara dei servizi idrici e la cessione a privati da parte dei Comuni della sovranità sul 40% delle quote di partecipazione delle nuove società - e che in virtù di una sentenza della Consulta dovranno gestire sia reti che erogazione - fa esplicito riferimento alle Direttive europee. Quasi che con quel decreto l'Italia si fosse "messa a norma". Ma la Direttiva chiede ai Paesi membri di indicare quali beni e servizi intendono privatizzare e quali no. Non impone la privatizzazione dell'acqua. Le Direttive (92/50/CEE e 93/38/CEE) chiedono che vi sia concorrenza per i servizi pubblici nazionali e locali, ma escludono da logiche di mercato il servizio idrico. Nella Direttiva europea Bolkestein, considerata un atto liberista per eccellenza, a proposito di acqua recita: "La Direttiva non compromette la libertà degli Stati membri di definire quali essi ritengano i servizi di interesse generale." In attesa che un organismo sovranazionale possa essere elaborato, è evidente come si renda necessaria anche in Italia un'Autorità civile di garanzia che operi sulla base di una Costituzione dei beni comuni e che sappia ribadire con autorevolezza a simili interpretazioni della legislazione europea, interpretazione che non dovrebbe essere prerogativa solo della stampa, quanto piuttosto di voci ufficiali.
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