La rubrica "il fatto", ideata da Renato Covino, compare sulla pagina 2 di "micropolis" ormai da molti anni: consiste nella scelta e nel commento di una notizia di cronaca, in genere non collegata alla politica, nella quale, al di là dei casi talora singolari, sia possibile scorgere un segno dei tempi. A riempire quello spazio sono stati, a turno, alcuni tra i redattori e collaboratori del mensile: Covino, De Cenzo, Lupattelli, Mantovani, Mori, Penna ed io. Ne posterò a poco a poco quelli che mi sembrano più riusciti e che meglio mi sembrano reggere al tempo che scorre. Quando ne sono stato io l'autore non aggiungerò altra indicazione; negli altri casi segnalerò l'autore o gli autori (S.L.L.).
Il vecchio Marx ai romanzieri del progressismo romantico preferiva Balzac, un reazionario, un legittimista monarchico che non si lasciava incantare dai miti del tempo e leggeva nelle pieghe della civiltà capitalistico-borghese statu nascenti. Nei romanzi di Balzac Marx trovava tipizzata la pervasività del capitale, la tendenziale mercificazione di tutti i rapporti, il potere del denaro, divenuto misura di tutte le cose. In effetti, nell’universo di mercanti, giudici, avvocati, farmacisti, abati, gazzettieri (borghesi medi e piccoli) che compone la “commedia umana”, anche l’amore è oggetto di compravendita e la famiglia è sovente un mercato. Così alle questioni d’eredità si intrecciano inevitabilmente e indistricabilmente commerci affettivi.
Accade anche nei romanzi del naturalismo italiano, anch’essi coevi all’affermarsi del modo di produzione capitalistico, da L’eredità Ferramonti di Chelli al verghiano Mastro don Gesualdo, che muore dopo aver istruito la figlia sulle questioni della “roba”. Un estremo atto d’amore.
A tutto ciò fa pensare un recente accadimento perugino (vedi “La nazione” di domenica 30 gennaio 2006). Sui muri cittadini è infatti apparso un manifesto, formato mezzo elefante, contenente una lettera a firma di Francesco Capponi, idealmente indirizzata al padre Giovanni, morto 15 anni fa.
Secondo la lettera-manifesto costui sarebbe morto proprio come il romanzesco Gesualdo, “solo come un cane, alle prime luci dell’alba”, all’ospedale ove era stato condotto dal giardiniere. E’ costui che avvisa delle morte Francesco e gli altri figli maschi, mentre la moglie e la figlia (“le Tue donne”), invece di “venire all’obitorio”, tramano. Alla lettura del testamento tireranno fuori “un codicillo”, origine di una lunga e complicatissima vicenda giudiziaria. Francesco, farmacista, verrà privato della farmacia paterna (la farmacia Capponi di corso Vannucci), ove già lavorava, per le mene della madre e della sorella. Gli viene così sottratto il “bene” paterno.
Tutto come nei romanzi di Balzac e di Verga e in linea con l’analisi marxiana. Ma con una variante. Dell’attuale modo di produzione è parte un meccanismo comunicativo di massa, che innerva tutti i traffici, comprese le antiche, spesso sordide, questioni d’eredità; quello che era privato entra nei commerci mediatici e la televisione mette tutto in vetrina. Capponi si adegua: cerca di andare in tv e sui giornali, fa affiggere i manifesti.
“La tragedia si ripete in farsa” scrisse una volta Marx; “tutto involgarisce a tutto spiano” diceva Montale. Ma forse neanche le parole dei grandi bastano a dire quanto si stia cadendo in basso. (S.L.L.)
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