13.5.10

Napoli nell'800. Il corricolo di Alexandre Dumas (con un commento di Gaetano Afeltra)

Tra Dumas padre (1802-1870) e Napoli ci fu un rapporto speciale. Se ne innamorò subito, nel 1835, quando vi giunse da letterato giovane ma già famoso (più come drammaturgo che come romanziere) e dedico alla città pagine intense e colorate. Propongo in questo spazio due brani da "Il corricolo", il corposo libro che di Napoli racconta usi, luoghi ed eventi ed un elzeviro di Gaetano Afeltra dal Corsera (5 aprile 2003) che ne rappresenta un ideale commento. (S. L.L.)


Che cos'è il corricolo
Alexandre Dumas
Corricolo è sinonimo di calessino; ma, dato che non esistono sinonimi perfetti, spieghiamo la differenza tra corricolo e calessino. Il corricolo è una specie di tilbury primitivamente destinato a contenere una persona e ad esser tirato da un cavallo; oggi vi si attaccano due cavalli e trasporta da 12 a 15 persone. E non si creda che vada al passo, come il carretto trainato da buoi dei re franchi, o al trotto come il biroccino; no, va di triplo galoppo; e il carro di Pluto che rapiva Proserpina sulle sponde del Simeto non era piú ratto del corricolo che solca le strade di Napoli facendo sprizzar scintille dal selciato di lava e sollevando nugoli di cenere.
Eppure un solo de' due cavalli tira veramente, ed è il timoniere. L'altro, detto bilancino, e che è attaccato di fianco, balza, caracolla; eccita il suo compagno, ed ecco tutto. Quale iddio gli ha concesso, come a Titiro, cotanto riposo? È il caso, è la provvidenza, è la fatalità: i cavalli, come gli uomini, hanno la loro stella. Abbiamo detto che siffatto cor tilbury, destinato a una persona, ne trasporta abitualmente dodici o quindici; ciò - lo comprendiamo bene - richiede una spiegazione. Un vecchio proverbio francese dice: “quando ce n'è per uno, ce n'è per due”. Ma non conosco nessun proverbio in nessuna lingua che dica: “quando ce n'è per uno, ce n'è per quindici”. E invece per il corricolo è proprio così, tanto nelle civiltà progredite ogni cosa è distolta dalla sua primitiva destinazione! È impossibile determinare con precisione come e in quanto tempo si sia formato, sul corricolo, tale agglomerato successivo d'individui. Contentiamoci, dunque, di dire come vi si mantenga.
Prima di tutto, e quasi sempre, un grosso monaco è seduto in mezzo e forma il centro dell'agglomerato umano che il corricolo trascina come uno di quei turbinii di anime che Dante vide, dietro un grande stendardo, nel primo cerchio dell'inferno. Il monaco sostiene su uno dei suoi ginocchi qualche fresca nutrice di Aversa o di Nettuno, e sull'altro qualche bella contadina di Bacoli o di Procida; ai due lati del monaco, fra le ruote e la cassa, si tengono in piedi i mariti di quelle signore. Dietro il monaco si rizza sulla punta dei piedi il proprietario o il conducente dell'equipaggio, che ha nella mano sinistra le redini e nella destra una lunga frusta con la quale imprime una eguale velocità all'andatura dei due cavalli. Alle spalle di costui si aggruppano, come gli staffieri delle buone famiglie, due o tre lazzaroni, che salgono, scendono, si succedono, si rinnovano, senza percepire alcun salario per la loro prestazione di servizio. Sulle due stanghe sono seduti due monelli raccolti sulla strada di Torre del Greco o di Pozzuoli, ciceroni in sopranumero delle antichità di Ercolano e di Pompei, guide brunite dei ruderi di Cuma e di Baia. Finalmente, sotto l'asse della vettura, fra le due ruote, in un reticolo a grosse maglie, che sbatte dall'alto in basso e dal lungo in largo, brulica qualcosa d'informe che ride, piange, grida, grugnisce; che si lagna, che canta, che sogghigna, ma che è impossibile distinguere nel polverone sollevato dagli zoccoli dei cavalli: sono tre o quattro bambini che appartengono non si sa a chi, che vanno non si sa dove, che vivono non si sa di che, che sono là non si sa come, e che vi restano non si sa perché. Ora, mettete in colonna monaco, contadine, mariti, conducenti, lazzaroni, monelli e bambini: addizionate il tutto, aggiungendo il poppante dimenticato, e avrete il conto giusto. Totale:quindici persone.
Talvolta succede che il fantastico congegno, sovraccarico com'è, passa su una pietra smossa e si rovescia: allora tutta la carrozzata si sparge sugli orli della strada, ognuno lanciato secondo il suo maggiore o minore peso. Ma tutti si rialzano subito e dimenticano il loro accidente per occuparsi soltanto di quello del monaco: lo tastano, lo girano, lo rigirano, lo sollevano, l'interrogano. Se è ferito, il viaggio si sospende; il monaco viene trasportato, sostenuto, coccolato, coricato, vegliato. Il corricolo è posto in un angolo del cortile, i cavalli nella scuderia, e per quella giornata il viaggio è finito: pianti, lamenti, preci. Ma se, invece, il monaco è sano e salvo, tutti stanno bene: il frate risale al suo posto, la nutrice e la contadina ripigliano il loro; ognuno si sistema, si aggrappa, si stipa, e, al solo grido di incitamento del cocchiere, il corricolo riprende la sua corsa, rapido come la folgore e infaticabile come il tempo.
Ecco che cosa è il corricolo.

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Toledo
Alexandre Dumas
Toledo è la via di tutti; è la via dei ristoranti, dei caffé, delle botteghe; è l'arteria che alimenta e attraversa tutti i quartieri della città; è il fiume in cui vanno a confluire tutti i torrenti della folla. L'aristocrazia vi passa in carrozza, la borghesia vi vende le sue stoffe, il popolo vi fa la siesta. Per il nobile è una passeggiata, per il mercante un bazar, per il lazzarone un domicilio.
Toledo è anche il primo passo fatto da Napoli verso la civiltà moderna, secondo la intendono i nostri progressisti; è il legame che congiunge la città poetica alla città industriale; è un terreno neutro in cui si possono seguire con occhio curioso i resti del vecchio mondo che se ne va e la invasione del nuovo mondo che sopraggiunge. Accanto alla classica osteria con le tendine punteggiate di mosche, un galante pasticciere francese esibisce sua moglie, le sue brioches e i suoi babà. Di fronte a un rispettabile fabbricante di antichità a uso degli inglesi si pavoneggia un negoziante di fiammiferi chimici. Al disopra di un botteghino del lotto sorge un brillante salone di parrucchiere; infine, come ultimo tratto della caratteristica fusione che si sta operando, la strada di Toledo è selciata di lava come Ercolano e Pompei, ed è illuminata a gas come Londra e Parigi.
Tutto è degno di esser veduto in via Toledo; ma siccome è impossibile scrivere di tutto, così bisogna limitarsi a tre palazzi, che sono quanto essa offre di più rilevante e di più notevole: il palazzo reale a un estremo, il palazzo di città all'altro estremo, e in mezzo il palazzo di Barbaia.

Ricordi di uno scrittore
Dumas in calesse incantato da Napoli
Gaetano Afeltra

Fra le tante «stranezze» napoletane che colpiscono visitatori italiani e stranieri, ci sono i motorini che, normalmente adibiti al trasporto di due persone, a Napoli servono a far intrufolare nel traffico cittadino piccole comitive di tre, quattro, anche cinque passeggeri, intere famigliole in bilico su due ruote, in un precario equilibrio tra incoscienza e fiducia nella buona sorte. Nella Napoli ottocentesca, qualcosa di simile lasciò stupefatto Alexandre Dumas padre, l' autore dei Tre moschettieri: un «corricolo», un piccolo calesse destinato al trasporto di una sola persona, che a Napoli ne portava almeno dieci, era trainato da due cavalli anziché uno, e grazie a questo doppio «motore» e alla foga dei vetturini raggiungeva velocità inimmaginabili. Questa ed altre esperienze napoletane di Dumas sono raccontate nel Corricolo, edito da Colonnese: quasi 600 pagine di aneddoti, episodi di colore, tradizioni locali, superstizioni, leggende, come spesso avviene nei «romanzoni» dumasiani, dove verità e invenzione sono così strettamente intrecciate da diventare indistinguibili. Non per niente Benedetto Croce definì Dumas «scrittore fertile di romanzevolissime fantasie». Alexandre Dumas aveva 33 anni quando visitò Napoli per la prima volta. Dal suo «Albergo della Vittoria», situato nell' omonima piazza, Dumas vedeva la Villa Reale, «la passeggiata di Napoli» e ne restò affascinato. «La Villa Reale è senza dubbio la più bella e soprattutto la più aristocratica passeggiata del mondo», scrisse. «I popolani, i contadini e i lacchè ne sono rigorosamente esclusi e possono mettervi piede solo una volta all' anno, il giorno della festa di Piedigrotta. Perciò quel giorno la folla si ammassa sotto i viali di acacie, nei boschetti di mirto, intorno al tempietto circolare. Ognuno, uomo e donna, accorre, per il raggio di venti leghe, nel proprio costume nazionale: Ischia, Capri, Castellammare, Sorrento, Procida mandano in deputazione le loro ragazze più belle, e la solennità di quella giornata è così grande, così ardentemente attesa, che si ha l'abitudine di aggiungere nel contratto nuziale l'obbligo del marito di condurre la moglie alla passeggiata della Villa Reale l' 8 settembre di ogni anno, data della festa di Piedigrotta». I coiffeurs e i pasticcieri dovevano essere rigorosamente francesi, meglio ancora parigini. In piazza San Ferdinando c'era la Boulangerie et pâtisserie française. In via Toledo spiccavano insegne di «pâtissiers, liquoristes et confiseurs». Per Dumas, via Toledo, brulicante di carrozze, ristoranti, caffè, botteghe, modernamente illuminata a gas come Londra e Parigi, era il legame che congiungeva la città poetica alla città industriale. Accanto alla classica osteria con le tendine punteggiate di mosche, un galante pasticciere francese esibiva «la bella moglie, le sue brioches e i suoi babà». In piazza Carità c' era la bottega del famoso sorbettiere siciliano Vito Pinto, delle cui specialità era goloso Giacomo Leopardi, assiduo frequentatore del locale durante i suoi anni napoletani. Dumas, che amava Napoli, vi tornò nella primavera del 1860, alla vigilia dell'impresa garibaldina a cui prese parte. Aveva conosciuto Garibaldi alcuni mesi prima, e ne era rimasto ammirato al punto che, quando gli nacque una bambina da una sua giovanissima amante, la chiamò Josepha. Il generale ricambiò la sua stima nominandolo direttore del Museo Archeologico di Napoli e degli scavi di Pompei. A bordo di quel formidabile «corricolo», lo scrittore esplorò tutto il circondario napoletano. Visitò i Campi Flegrei in cerca dei luoghi che avevano ispirato i versi di Virgilio. Pur rapito da tanto fascino, non dimenticò i piaceri della buona tavola, fermandosi a Pozzuoli per gustare ostriche del Lucrino e vino di Falerno. Arrivati all' ultima pagina del Corricolo, non è irriverente dare ragione a quello scrittore napoletano che disse: «In fondo dite quello che volete, ma Alexandre Dumas sapeva campare».

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