Del famoso “Journal” che va sotto il nome di Jules ed Edmond De Gouncourt benché in gran parte dovuto al secondo, nella prefazione Edmond dice che è una confessione dei peccati altrui, e lievissima dei propri; e se con eguale spregiudicatezza e crudezza avessero consegnato al “Journal” la confessione dei propri pensieri, debolezze, vizi e contraddizioni come consegnano i discorsi e il comportamento e le contraddizioni di Flaubert, Maupassant, Zola, Saint-Beuve, Renan ed altri, avremmo avuto un libro assolutamente unico. Quello che invece ne è venuto fuori è un grande ritratto della società intellettuale francese nell’arco di circa mezzo secolo, ma senza i Goncourt. O meglio: con i Goncourt che si prodigano in generosità, lealtà, amicizia verso persone che tutto sommato non meritano così nobili intenzioni e attenzioni. E se infine confessione c’è, se un ritratto dei Gouncourt finisce col venir fuori, è dalla malizia con cui vengono annotati gli altri vizi che balza. E bisogna dire che lo Zola bilioso, invidioso, mugugnante, ritratto dai Goncourt ha dimostrato tanto coraggio e tanta nobiltà quando ha riconosciuto, di fronte a questo “Journal”: “Queste sono le nostre memorie!”; esempio di una fedeltà estrema alla propria poetica della verità, fino al sacrificio totale di quell’amor proprio di cui i Goncourt, e più Edmond, lo ritenevano pieno.
Due sole persone si salvano – per lealtà, per candore, per assenza di vizi – dalla penna dei Goncourt: Alfonso Daudet e Giuseppe De Nittis. Dalla penna di Edmond, cioè: perché si salvano appunto per il fatto che Jules Goncourt è morto, e il superstite Edmond in loro ritrova qualcosa del fratello morto.
Di questo trasporto di Edmond verso il De Nittis non troviamo preciso riscontro: nel “Taccuino” di De Nittis ora pubblicato dalla Leonardo Da Vinci di Bari: dove Goncourt è nominato senza spicco rispetto ad altri amici che frequentavano la casa del pittore italiano. Concorda invece, ma con minor astio da parte del De Nittis, il giudizio su Degas: il quale più di una volta Edmond ritrae nelle sue gratuite cattiverie nei riguardi del De Nittis. Ma De Nittis era portato a scusare tutti, a giustificare tutti, ad accordare a tutti la buona fede: e per lui è un buon uomo anche Degas, anche quando Degas mette in giro, nella Francia in cui si presentiva già il caso Dreyfus, la voce che De Nittis era ebreo e va sputando sdegno per il fatto che è stato insignito della legion d’onore. Paterna è invece l’immagine di Manet nel “Taccuino”: un uomo buono, saggio, sereno nella sua vita familiare in un ambiente che dal diario dei Goncourt appare come un groviglio di oscenità.
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