Si è svolta in gennaio ad Atene la conferenza delle donne Rom. E’ stata l’occasione per ragionare delle violazioni dei diritti umani e delle discriminazioni nei loro confronti anche sulla base di studi analitici. Uno ha esaminato le diverse facce di questa discriminazione.
La comunità Rom, secondo le stime più attendibili, comprende in Europa oltre 10 milioni di persone. Non esistono tuttavia dati precisi: alcuni paesi vietano la registrazione etnica; altri, pur ammettendola, non ne danno notizia nelle statistiche ufficiali. I Rom peraltro non costituiscono un’unità indifferenziata, ma le stesse istituzioni europee ne distinguono quattro o cinque gruppi principali, a loro volta divisibili in sottogruppi secondo la parlata, l’origine territoriale, la specializzazione territoriale, il modello di insediamento. Si calcolano almeno 18 di questi sottogruppi (endaìa).
Le discriminazioni di genere verso le donne sono, nelle culture tradizionali dei Rom, particolarmente gravi. I vincoli e le violenze sembrano tuttavia attenuarsi in presenza di politiche di integrazione. Mentre quando l’ambiente esterno si mostra, come nell’Europa dell’ultimo decennio, particolarmente ostile, le donne Rom arrivano ad accettare il ruolo che ad esse viene assegnato dalla propria cultura, percepita come minacciata.
I campi nei quali le discriminazioni sono più evidenti risultano essere l’accesso all’educazione, al mercato del lavoro e ai servizi sanitari. Il livello di istruzione è, in realtà, basso in tutta la comunità Rom, ma sulle donne incidono norme e tradizioni che impongono alle ragazze di lasciare la scuola molto presto (comunque entro i 12 anni) per assumere i ruoli tradizionali (matrimoni precoci, accudimento di familiari, ecc). Le poche Rom istruite subiscono una duplice forma di discriminazione: da parte della popolazione esterna perché sono “zingare”, da parte del proprio gruppo per non aver rispettato le tradizioni. L’accesso al lavoro, a sua volta, è penalizzato dal livello di istruzione, dalle frequenti gravidanze e dal maschilismo Rom. Le famiglie spesso non consentono alle donne di accettare lavori alternativi a quelli che si svolgono dentro la comunità. Un aspetto da considerare (riportato nei rapporti di Finlandia e Regno Unito) riguarda l’abbigliamento tradizionale delle donne Rom: tutti i lavori che richiedono una divisa o un abbigliamento professionale obbligano a scelte che risultano dure. I rapporti nazionali hanno poi evidenziato i pregiudizi presenti tra il personale sanitario o parasanitario che porta talora alla segregazione delle donne Rom in spazi a sé nell’ambito degli ospedali, specie nei reparti maternità. Discriminazioni sulla salute e sul modello tradizionale di fertilità sono stati particolarmente presenti in Ungheria, ove sono documentati casi di sterilizzazione forzata, denunciati alla Corte di Strasburgo.
L’ambito nel quale la discriminazione è più accentuato sembra comunque interno alle comunità Rom, per il ruolo subalterno che la famiglia tradizionale assegna alle donne. Nella maggior parte delle Comunità vige tuttora un regime patriarcale: l'uomo rappresenta la famiglia e lui solo si occupa dei ‘rapporti con l’esterno’, mentre la donna si prende cura della casa e della famiglia e trasmette la cultura Rom alle nuove generazioni. Le ragazze continuano ad assumere ruoli da adulta a 11 anni: a questa età ci si sposa e si comincia a prolificare. In tale contesto è difficile affacciarsi sul mercato del lavoro.
Nei rapporti tra uomini e donne ci sono tuttavia differenze anche importanti tra i vari gruppi e segni di evoluzione: in alcune comunità i giovani Rom diventano sempre più liberi di scegliersi, mentre in altre (i gruppi provenienti dalla Romania che vivono in Belgio) sono ancora i genitori dei figli maschi a “comprare” le nuore: il matrimonio prevede infatti un risarcimento economico ai familiari delle ragazze. Questi matrimoni, spesso neanche registrati, lasciano prive di diritti le donne in caso di separazione. Divorzi e separazioni sono rari nelle comunità Rom: il padre normalmente ottiene la custodia dei figli che vengono poi accuditi dalle nonne paterne. Questa sembra la ragione per cui le donne evitano di lasciare i mariti anche quando (e non succede di rado) sono vittime di violenza domestica. In alcuni gruppi le donne Rom non sono libere di uscire dall’accampamento (o dalla casa, quando c’è, come in Finlandia) senza il permesso della suocera (garante della sua fedeltà).
Dal rapporto emerge una sorta di accettazione sociale della violenza domestica quale naturale componente della dinamica familiare.
Sui Rom in questo stesso blog si possono leggere stralci da un saggio di Clara Gallini e poesie commentate di Papusza, la maggiore poetessa Rom del Novecento.
http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/03/lo-sterminio-degli-invisibili-perche-e.html
http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2010/03/lacrime-di-sangue-da-una-poesia-di.html
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