21.5.10

Dal "Quaderno" di Leonardo Sciascia. La libertà religiosa ("L'Ora", 2 ottobre 1965)


Da parte laicista grida di giubilo hanno salutato l’affermazione della libertà religiosa prevalsa in Concilio; mentre da parte cattolica al giubilo della maggioranza innovatrice ha risposto il gemito della minoranza conservatrice. E come è perfettamente comprensibile che tanti cattolici abbiano avuto un gran senso di liberazione a sentire affermata in Concilio la proposizione che “ciascuno sarà giudicato sul rapporto che avrà liberamente stabilito con la verità e sulla lealtà della sua ricerca e della sua adesione”, ugualmente comprensibile è che altri ne abbia avuto rammarico, come di una resa dell’autorità alla libertà. Curiosa appare invece l’esultanza laicista: quasi che la libertà religiosa fosse stata scoperta uora uora è il caso di dire dal Concilio Vaticano II. E non diciamo che non ci sia da rallegrarsi che un principio di secoli affermato, e pagato a prezzo di sangue, dalla coscienza laica, abbia finalmente toccato la Chiesa di Roma: ma dall’esterno, come per un bene finalmente raggiunto da coloro che l’avevano denegato ed avversato. Perché, anche se il clero innovatore insistentemente definisce la dichiarazione sulla libertà religiosa come espressione di “liberalismo spirituale di netta impronta evangelica” (e dunque implicitamente riconoscendo che il Vangelo è stato tradito nei secoli in cui venivano bruciati per mano del boia uomini e libri che affermavano uguale principio) è innegabile che questo ritrovamento interno del liberalismo religioso è stato condizionato dall’esterno, dal liberalismo propriamente detto. Perciò la dichiarazione conciliare i laicisti dovrebbero assumerla con più distaccata, contenuta e riflessiva esultanza: come la conferma di quei principi che alcuni per ironia, altri per convinzione, chiamano “immortali. Gli immortali principi dell’ottantanove”, del 1789.

(Quaderno, “L’Ora” 2 ottobre 1965)

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