Credo che mio padre Lelio Cremonte sia stato tra i primissimi a conoscere (e a recensire) l'opera di esordio di Walter Binni, quel La poetica del decadentismo, del 1936, che avrebbe modificato definitivamente il senso del fare critica e storia della letteratura. Consapevole di questo profondo legame tra i due, che risaliva ad una favolosa giovinezza di studi e scoperte in quella lontana Normale di Pisa degli anni '30, alla scuola di Luigi Russo, ho accompagnato con grande emozione mio padre al funerale del vecchio sodale. Ma l'emozione era comunque giustificata dalla presenza
ormai centrale che l'opera di Binni ha nel mio stesso lavoro di insegnante di letteratura italiana: alcune sue pagine, soprattutto quelle leopardiane (da La nuova poetica leopardiana e La protesta di Leopardi), sono naturalmente una lettura d'obbligo per i miei alunni e, anno dopo anno, è proprio attraverso queste pagine che mi si chiarisce, almeno in parte, un possibile senso anche del mio insegnare. E sono le pagine sulla Ginestra, pronunciate anni fa in una memorabile lezione pubblica agli alunni delle scuole perugine, quelle che vorremmo sentire ancora nel deserto di questi tempi "deboli", di vuoto dell'agire e di illusorietà comunicativa.
Dobbiamo d'altronde riconoscere che è principalmente dalla nuova critica leopardiana (Luporini, Timpanaro, Binni...) e da un Leopardi riletto finalmente in questa luce che sono giunte parole nuove alla nostra volontà di rivolta contro lo stato di cose presente, quando ormai tanta sloganistica finto progressista dei nostri anni giovanili mostrava, in fine, la corda... Non una ribellione astratta, generica, che si morde le mani per l'impotenza, ma l'individuazione finalmente chiara di chi è il nemico (e non, troppo facilmente, l'avversario): "... il brutto/poter che, ascoso, a comun danno impera...".
Il funerale di Walter Binni è stato molto bello, tra il gonfalone della città di Perugia e le bandiere di Rifondazione Comunista, sobrio ed elegante come la vita e la scrittura di questo Maestro. Giustamente, dagli oratori che si sono succeduti per commemorarlo, Binni è stato definito il più grande leopardista di ogni tempo; opportunamente sono stati ricordati i versi conclusivi della grandissima Sopra un basso rilievo antico sepolcrale (e a questo punto non ho potuto non pensare, con una stretta feroce al cuore, al carissimo mio figlio Nicola, a cui - un anno fa - un "brutto poter" ha tolto per sempre di sentire questo mio saluto): "Come, ahi come, o nauta, il cor ti soffre/ Di strappar dalle braccia / All'amico l'amico, / Al fratello il fratello, / La prole al genitore, / All'amante l'amore: e l'uno estinto, / L'altro in vita serbar? Come potesti/ Far necessario in noi / Tanto dolo, che sopravviva amando / Al mortale il mortal? Ma da natura / Altro negli atti suoi / Che nostro male o nostro ben si cura". La protesta di Leopardi.
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