27.5.10

Il figlio del calzolaio. Marzo 53. Nenni commemora Stalin.

Riprendo qui il discorso con il quale Pietro Nenni, in una seduta della Camera dei deputati, commemorava nel marzo 1953 la figura e l'opera di Giuseppe Stalin, subito dopo la morte del leader sovietico.
1953 - Nenni e Togliatti in viaggio verso Mosca per i funerali di Stalin

Onorevoli colleghi,
nessuno tra i reggitori di popoli ha lasciato dietro di sé, morendo, il vuoto che ha lasciato Giuseppe Stalin.
Da ieri manca qualcosa all’equilibrio del mondo. In questa connotazione, comune a tutti, amici e avversari, è il riconoscimento unanime della grande personalità che è scomparsa.
Stalin è stato il costruttore dello Stato sovietico e del sistema di Stati e di popoli che idealmente fa capo a Mosca e abbraccia un terzo della terra con 800 milioni di uomini.
Quando 30 anni or sono, Stalin raccolse l’eredità di Lenin, dal cratere della rivoluzione socialista di ottobre la lava colava ancora per mille rivoli e tutti i problemi erano ancora aperti, tutte le possibilità.
Il figlio del calzolaio di Gori si trovò di fronte al compito tremendo di unificare il corso della rivoluzione sovietica per sottrarla al destino che era toccato alla rivoluzione francese. Le polemiche che egli sollevò da allora nel mondo pur anco non si sono taciute o placate, e tuttavia si può dire che la storia ha deciso prima ancora che Stalin affrontasse il giudizio della posterità.
La guerrra del 1941-45 fu, nel suo barbaro orrore, la prova suprema dei sistemi e delle civiltà che reggono i popoli.
Non si mente dinanzi alla morte.
E allorchè, nell’inverno 1941-42 e nell’inverno successivo, quando cominciò la vittoriosa controffensiva dell’esercito rosso, i moscoviti non ebbero che da salire la collina dei passeri per ascoltare il rombo del cannone tedesco, quando i leningradesi, per recarsi al lavoro, dovettero sfidare il fuoco delle mitragliatrici nemiche che colpivano gli operai ai loro torni e i fornai alle impastatrici dove confezionavano un pane immangiabile, quando Stalingrado per suprema difesa dovette gittare nelle trincee scavate nella neve financo i suoi vecchi e le sue donne, allora sulle labbra dei combattenti esangui “Russia” e “Stalin” ebbero lo stesso significato e fu chiaro che l’uomo e il sistema avessero ricevuto il collaudo della storia.
Gli eventi di uel tempo a noi tanto vicino permisero a ogni uomo di buonafede di correggere l’errore di credere che Stalin fosse un dittatore sostenuto da un sistema di forza, là dove la sua forza vera è stata, fino all’ultimo momento, il consenso di milioni e milioni di uomini che, in piena coscienza, a lui avevano delegato i maggiori poteri.
Tuttavia Stalin non ebbe in nessun momento la stolta mania che egli potesse bastare a tutto.
Il vuoto che egli ha lasciato è quello della sua eccezionale personalità, ma lascia anche strutture statali, di partito, sindacali, economiche capaci di resistere ad ogni evento e di superare qualsiasi prova.
Soprattutto lascia popoli i quali hanno fatto passi giganteschi per la via del progresso tecnico, sociale ed umano e che saranno in ogni momento in grado di esprimere un gruppo dirigente all’altezza della situazione. Onorevoli colleghi, quando nell’estate scorsa ebbi modo di incontrare Stalin egli mi disse parole che mi sembrano oggi racchiudere la lezione della sua vita: non ammettere mai che non ci sia più niente da fare, non rompere mai il contatto con l’avversario o con il nemico, non puntare mai su una carta dubbia le sorti dello Stato, del partito, della collettività.
La sua costante preoccupazione di essere pronto alla guerra se l’avversario la impone ma di contare sulla pace come sul mezzo e la causa migliore, era la conseguenza naturale della sua filosofia e della sua politica.
In questo senso noi socialisti italiani ravvisiamo in lui una garanzia di pace, né minore è la fiducia che poniamo nei suoi successori.
Un evento sciagurato e tristissimo, determinato fuori della volontà del nostro popolo schierò in guerra l’esercito italiano contro l’Unione Sovietica.
Noi socialisti ci auguriamo che quell’evento venga subito dimenticato e, associandoci con animo commosso e ansioso al dolore dei popoli sovietici per la morte del loro grande capo, presentando da questa tribuna le nostre condoglianze al governo di Mosca, partecipando al lutto del proletariato mondiale, esprimiamo un augurio di pace per tutto il mondo e di relazioni cordiali e operose del nostro paese con il paese di Lenin e di Stalin.

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