2.5.10

Il governo che verrà. L'articolo della domenica.

Quanto accade in Grecia comincia ad allarmare alcuni commentatori italiani. Ma motivi di allarme per la crisi economica, qui in Italia, ce ne sono già tanti a prescindere.

La disoccupazione cresce e i licenziamenti colpiscono indiscriminatamente il dipendente dell’artigiano carrozziere, le commesse dei negozi piccoli e grandi che chiudono, l’operaio e il tecnico dell’impresa media e grande, nazionale o multinazionale. Mi pare emblematico il caso umbro della Basell, un impresa che andava benino anche dopo l’esplosione della crisi, ma che, salvo imprevedibili svolte, va verso la chiusura dopo che, pochi mesi fa, le sue maestranze si erano guadagnate dalla proprietà multinazionale elogi e premi di produttività. La motivazione addotta, franca ed agghiacciante, è che una delocalizzazione aumenterebbe i già alti margini di profitto. Il governo dal canto suo, interpellato dai sindacati, fa sapere in giro che non può farci nulla. Mentre nulla si fa per i nuovi licenziamenti, stanno per venire a scadenza le numerosissime erogazioni nazional-regionali della cassa integrazione. E' una tragedia.

La pressione fiscale, intanto, non accenna a calare e non può calare, dato il livello del debito pubblico e la plastica evidenza della situazione ellenica; pertanto le ricorrenti, ridicole esternazioni del Cavaliere su questo tema non allettano più neanche quei ricconi che ne verrebbero favoriti, proiettate come sono verso un futuro lontano.

E’ tornata a crescere perfino l’inflazione. Vien da pensare che i commercianti, non riuscendo in nessun modo ad aumentare le vendite per gli effetti della crisi, abbiano scelto di aumentare i prezzi.

In Italia intanto non funziona più quasi niente. Un esempio fra tanti la scuola: quasi nessuna scuola, con la cosiddetta autonomia finanziaria, riesce ormai a pagare le supplenze; non poche hanno problemi perfino per gli acquisti di cancelleria. E’ un meccanismo che come una bomba ad orologeria si ripeterà nei Comuni, che mancheranno del necessario per la manutenzione ordinaria delle strade e per far funzionare i servizi. Un gioco antico - si chiama scaricabarile – ma, come ogni bel gioco, dura poco.

E’ vero. La destra ha vinto le elezioni. Tra quanti hanno esercitato il diritto di voto (sempre meno) a Nord ha funzionato il richiamo xenofobo della Lega, al Sud quello clientelare degli antichi marpioni, spesso sostenuti dalle mafie, quasi dappertutto il discredito dei gruppi dirigenti locali del Pd, emblematizzabili nei vizietti di Marrazzo o nei ladroni di Loiero e Bassolino. C’è tuttavia un malessere che ormai non può più essere contenuto e che riguarda perfino i ceti affezionati a Berlusconi e al berlusconismo, dai farmacisti ai notai, dai dentisti ai carrozzieri, dagli avvocati agli idraulici agli abusivisti dell’edilizia. Grazie alla destra, e grazie all’evasione fiscale ampiamente tollerata, molti di costoro si sono arricchiti, giovandosi del massiccio drenaggio della ricchezza sottratta al lavoro, sempre più sottopagato e meno garantito. Ma ora la crisi morde e le disgrazie greche lasciano intravedere anche in Italia la necessità di un più significativo risanamento del debito pubblico. Al lavoro (e alle pensioni) non si può più prendere niente - “da una rapa non si cava sangue”- e il meccanismo dei condoni ha dato tutto quello che poteva dare. Visto che i redditi dei ceti medi “fattiicazzituoi” non sono spesso neanche dichiarati e comunque sono anch’essi in caduta per la crisi, qualcuno comincia a pronunciare la parola proibita: “patrimoniale”. E anche chi non la pronuncia, gente come Tremonti e Feltri per esempio, comincia a lamentarsi delle lussuose barche, dei Suv, delle doppie e triple abitazioni di tanta gente che denuncia redditi poco significativi.

Per un governo come questo la tentazione di rispondere ad una probabile rivolta sociale con i blindati, le cariche e i morti in piazza, con le carcerazioni di massa, con la sospensione delle libertà sarebbe fortissima, pur di difendere squali e caimani. Ma di mezzo c’è l’Europa, con le regole cui è difficile sottrarsi; e le carceri sono già strapiene di extracomunitari e drogati implicati nel piccolo spaccio.

Nei mesi scorsi, nelle nostre mattutine chiacchierate telefoniche, con il mio amico e compagno Renato Covino ho recitato la parte del pessimista. Gli dicevo che questa volta Berlusconi poteva farcela, poteva cioè mettere a regime tutti gli strappi alla Costituzione che ha collezionato, primo fra tutti l’impunità dei governanti e dei potenti e la sottomissione della magistratura. E lui a dirmi che non era facile.

Ora ho cambiato idea, ma non so se sono diventato ottimista. Penso che il Cavaliere non ce la farà, che il suo governo è destinato a durare poco, pochi mesi se non poche settimane. I poteri forti che lo sorreggono, i preti e gli industriali in primo luogo, hanno lucrato tutto il possibile dalla sua debolezza. I primi il sostanziale abbandono della laicità dello stato e tanti, tanti soldi in molte forme: otto per mille non riveduto, sconti fiscali di ogni tipo, finanziamenti agli oratori, all’assistenza religiosa in carcere e negli ospedali, alle comunità clericali d’ogni specie. I secondi hanno lucrato tanti, tanti soldi insieme al sostanziale abbandono del contratto nazionale di lavoro.

Ma ora anche Vaticano e Confindustria sembrano titubare. Il fatto è che i magistrati non hanno neanche bisogno di stare addosso ai governanti: seguono Anemone e Balducci e, probabilmente loro malgrado, acchiappano il cognato di Bertolaso o gli assegni di Scajola. Insomma il “governo del fare” sempre più appare una cricca che fa i suoi porci comodi. Il Cavaliere, con il suo Minculpop, può anche far passare in Tv l’idea che l’appartamento al centro di Roma da un milione e passa euro Scajola l’ha acquistato coi soldi suoi e può organizzargli la solidarietà militarizzata dell’attuale governo, ma ai poveracci, agli operai licenziati, ai piccoli imprenditori che chiudono e si suicidano, ai pensionati che muoiono di fame, il gran ciarlatano non trasmette più alcuna emozione positiva, alcun sogno di ricchezza facile. E’ finito. Per obbligare ad ingoiare i rospi che si dovranno ingoiare, perfino tra i ceti medi molto evasori e molto proprietari che lo amano forsennatamente, ci vuole un governo che abbia un minimo di autorità morale. Il governo del Cavaliere, il governo dell’impunità elevata a sistema, è al di sotto di ogni decenza.

Già perciò, dove la cosa può essere pensata, si pensa a un altro governo e si manovra per farlo: le rotture di Fini, anche dopo le elezioni che il Pdl (con la Lega) ha vinto, le prese di distanza di Draghi, la forza tranquilla di Casini, l’uscita di Montezemolo dal vertice Fiat, la gran tessitura di Napolitano si spiegano in questo quadro. Non si dispera della possibilità di attirare Di Pietro (con qualche garanzia alla Magistratura) o la Lega (con il federalismo fiscale) o Tremonti (c’è qualche cardinale che già ha fatto i suoi passi). L’intendenza, cioè l’inutile e stupido partito senza anima e senza linea costruito da Veltroni e diretto da Bersani, seguirà. E forse seguirà anche il grosso della dirigenza Cgil che non vede l’ora di tornare a concertare.

Ci sarà di certo qualche convulsione, ma mi pare questo lo scenario più probabile per l’autunno. Sono ottimista o pessimista?

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