1.5.10

Scrittori in Umbria. Enrico Micheli e Rosa Matteucci.

Talento, mestiere e degradazione del gusto

Sotto Natale due libri di scrittori umbri hanno avuto la fortuna di un lancio nazionale da parte di editori di prestigio ed hanno suscitato un significativo interesse. E’ questa sorte comune che ci spinge a parlarne nello stesso articolo, pur trattandosi di libri tra loro diversissimi e pur appartenendo gli autori a scuole ed a generazioni diverse, seppure nati l’una e l’altro in provincia di Terni. Si tratta di un breve romanzo dell’orvietana trentasettenne Rosa Matteucci intitolatoLourdes e di un libro di racconti del sessantenne ternano Enrico Micheli, l’attuale ministro dei Lavori Pubblici, dal titolo L’uomo col panama, pubblicati rispettivamente da Adelphi e Sellerio. I due libri hanno peraltro in comuneun espediente narrativo che vorrebbe radicarli nei luoghi d’origine degli autori: le pagine iniziali si svolgonoin un’Umbria da cui però poi subitamente i percorsi narrativi si allontanano. Il primo racconto di Micheli, infatti, La Nona di Beethoven, si apre sullo sfondo del Duomo di Spoleto e della fortezza albornoziana per concludersi nella luce grigio celeste di una mattinata estiva a Parigi, il primo capitolo di Lourdes si sviluppa tra la ricevitoria lottomatic di Lugnano in Teverina, l’hard discount “Il pispolo” di Narni scalo e il cimitero d’Orvieto, con una puntata newyorkese nella coscienza della protagonista.L’Umbria, del resto, riemerge in molti dei racconti del ministro, ad esempio Il violoncello o Il diavolo e l’acquasantaed i suoi luoghi, i suoi paesaggi sono citati come riferimento paradigmatico in numerosi altri racconti. Lo stesso si puòdire, seppure in termini differenti, del libro della Matteucci, giacché nel pellegrinaggio che la protagonista compie a Lourdes ricorrentemente risuonano le espressioni tipiche del dialetto nelle parole dei suoi strani compagni di viaggio.Le analogie si fermano qui. La poetica del ministro, infatti, si potrebbe definire“manieristica”. Egli visita e rivisita situazioni classiche, la sconfitta delle utopie rivoluzionarie, la ricerca del senso (di Dio?), il rapporto dell’uomo con la natura, l’incombere della vecchiaia e della morte, collocandole in luoghi e situazioni canonizzate, la Parigi intellettuale del Novecento, l’età napoleonica, l’Assisi di San Francesco, Leptis Magna e i luoghi di Sant’Agostino; porta ad esasperazione il gusto della citazione, storica, artistica, letteraria, storica, nascondendo nei contesti più impensati titoli di libri, di quadri, frasi celebri e così via; lavora sul periodo lungo, soprattutto nelle frequenti divagazioni paesaggistico-descrittive, ampie fino all’insopportabile, con la ricerca spasmodica dell’aggettivo sorprendente in un insieme abituale o abusato, della variazione sul tema. L’impressione è quella di un apprezzabilissimo retroterra di letture e di esperienze e di un certo mestiere nel maneggiare la frase, nel giocare la metafora, nel piazzare l’allusione. Tuttavia la lettura scorre liscia come l’olio ed il suo sapore è insipido come quello dell’acqua oligominerale. Non lascia niente, neanche quando affronta temi che potrebbero sembrare particolarmente coinvolgenti come accade nei tre lunghi racconti sulla cosiddetta “morte del comunismo”: il primo, già citato, palesemente ispirato alla vicenda umana ed intellettuale di Louis Althusser, un altro dal titolo Il rivoluzionario ed Il compagno cane. Scopri che Micheli ha dimestichezza con le biblioteche degli intellettuali comunisti, ha cognizione di taluni loro atteggiamenti mentali, ha contezza della forza di un ideale e della conseguente drammaticità della sconfitta, ma che non ha niente di veramente importante da comunicare e non ha neanche una peculiare capacità di individuazione, per cui i suoi personaggi non risultano soltanto manieristici, ma addirittura stereotipati. Pertanto, si può di tanto in tanto provare ammirazione, ma non si sfugge alla noia.In un’intervista televisiva Micheli ha dichiarato di considerare quella di scrittore la sua vera professione e di considerarel’impegno politico come un servizio, ovviamente provvisorio. Per quanto ci è dato modo di vedere il mestiere non glimanca in nessuno dei due campi, quello di cui patisce carenza è piuttosto il talento. Dato che anche il talento può essereacquisito ci permettiamo di consigliargli una scelta drastica: o di qua o di là, secondo la logica del maggioritario; altrimenti rischieremo di avere sempre uno scrittore a mezzo servizio ed un politico a mezzo servizio.Quanto al libro della Matteucci l’impressione è più negativa. Il libro ha riscosso un discreto successo di critica e, si dice,anche di pubblico. Non sapremmo dire se sia frutto di un’indovinata campagna pubblicitaria, della degradazione del gusto o di entrambe le cose; ci pare comunque certo che si tratta di un libro sopravvalutato. L’idea su cui è costruito non è invero malvagia: la protagonista, Maria Angulema, erede di una nobile famiglia più o meno pelosi, di monache e puttane, di prelati e barellieri, tra cui due insopportabili sorelle molto dialettali, di Montecastrilli, Micchelina e Nazzarena, una incongrua e vociferante compagna di stanza all’albergo Santa Genoveffa, Samantha col tiacca, il bellissimo Gonzalo. Tra prove di processione, partite a carte, recite del rosario, altoparlanti gracchianti e processioni vere, si dell’orvietano decaduta fino all’indigenza, dopo il funerale del padre Orso, morto per un incidente, non si sa bene quanto automobilistico e quanto ospedaliero, parte come crocerossina volontaria per Lourdes a cercare il senso dell'accaduto. Nel viaggio e nel soggiorno entra in contatto con una varissima umanità di malati veri e finti, di caritatevoli arriva al finale, solo in parte sorprendente, l’incontro e l’abbraccio col Padre celeste, che diventa anche il Fidanzato.Il gioco dovrebbe consistere nella rappresentazione, comica anche grazie all’impasto linguistico, di un mondo inferiore culturalmente e moralmente dal cui humus nascerebbe però il miracolo: “dal letame nascono i fiori” - direbbe il poeta. Il fatto è che la Matteucci non ha nel libro dispiegato vere qualità narrative, non c’è una situazione in cui accada davvero qualcosa di non prevedibile, è che la scelta del punto di vista, quello della bizzarra protagonista sistematicamente fuori luogo, risulta a lungo andare fastidiosa perché anche in questo caso le reazioni sono assolutamente scontate. Anche l’espressionismo plurilinguistico, carnevalesco, cioè la mescolanza tra livelli diversi e la presenza massiccia del livello “basso”, risulta invero stucchevole: dopo cinquanta delle centotrenta pagine non se ne può più di “fetori”, di “cacche”, di “sorche”, di “catarri”, “orine” ed altri ammennicoli che scappano da tutte le parti. E non è il nostro un pregiudizio classicististico: apparteniamo a quella categoria di lettori che non disdegnano gli eccessi, le trasgressioni e le porcherie, è la banalità che ci deprime. Potremmo citare non pochi esempi di melensaggine pseudocomica, ma ne basterà uno che, collocato nelle prime pagine del libro, funge da indicatore. La protagonista ricorda un suo soggiorno newyorkese in cui un avvocato, tal Aaron David Katz “voleva essere autorizzato ad amarla nonostante un frammento ben visibile di purea di spinaci rigurgitasse dalla naturale fessura che divideva i suoi incisivi superiori”. La protagonista non accetta la corte per via del nome dello spasimante: “...una Mrs. Maria Angulema in Katz non sarebbe mai potuta esistere, anche se come le aveva detto sua sorella Fran la bella per consolarla, Maria Angulema in Katz non sarebbe stato peggio di Bernarda Tromba in Giardino, già prima cameriera della zia Maria Celeste. Rimasta vedova Bernarda Tromba si risposò con tal signor Pompa”. Tanto basti.

Salvatore Lo Leggio

"micropolis" marzo 1999

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