Italo Calvino |
Anche se non lo si può
fissare a occhio nudo, il Sole possiamo conoscerlo bene; meglio della
Terra, la cui osservazione non si spinge al di là d’un livello ben
superficiale. Possiamo e dobbiamo conoscerlo: quale oggetto merita
una conoscenza approfondita più del Sole? Per questo il volumetto di
Giovanni Godoli intitolato Il Sole, sottotitolo: Storia di
una stella (Einaudi, Pbe, 1982), che si legge in tre ore e che
tutti possono leggere, è un’occasione da non perdere. Giovanni
Godoli, professore di Fisica Solare a Firenze, dà tutti i fatti
essenziali senza usare una formula, e comunica il piacere della
terminologia precisa e della precisa nozione di ciò che si sa e di
ciò che non si sa ancora.
Dalle prime pagine il
libro ci immette nel Sole come nel nostro habitat insostituibile, per
tutte le ragioni che crediamo di sapere e per quelle a cui non
pensiamo mai. Tra le prime c’è il fatto che tutta la nostra
esistenza dipende da lui, direttamente o indirettamente, i nostri
cibi vegetali o animali, l’energia immagazzinata milioni d’anni
fa o solo ieri, e che non è se non una parte minima dell’energia
solare che investe la Terra e che ancora non sappiamo utilizzare. («È
invece indipendente dal Sole l’energia nucleare. Ma quanto è
discussa la sua utilizzazione!»). Tra le seconde c’è il fatto che
noi viviamo dentro il Sole: «La Terra è praticamente immersa nel
Sole, o, meglio, nella regione più tenue della sua atmosfera che
continuamente fluisce verso lo spazio interstellare costituendo ciò
che con suggestiva espressione viene chiamato vento solare».
Quest’affermazione,
contenuta nel primo capitolo, viene poi ridimensionata nel secondo,
in quanto la corona solare — che già alla superficie dell’astro
ha una densità mille volte più bassa di quella dell’atmosfera
terrestre, — alla distanza in cui ci troviamo è talmente più
tenue che la nostra atmosfera risulta dieci miliardi di miliardi di
volte più densa; dunque, siamo sì immersi dentro il Sole, ma ne
siamo anche separati da una corazza compatta e durissima: l’aria.
Ho detto che Godoli ha il
gusto della terminologia: dirò di più, ha il senso del rapporto tra
il lessico del linguaggio corrente e quello scientifico, e si direbbe
che non abbordi il secondo se non dopo aver esplorato tutte le
potenzialità del primo. Come in questo passo: «Nel linguaggio
corrente, non scientifico, si usano vari termini, alcuni come
sinonimi, per indicare il fatto che una sorgente emette radiazione
elettromagnetica. Si dice, fra l’altro, che una sorgente brilla,
fulge, illumina, irradia, è luminosa, rifulge, riluce, risplende,
splende, e si dice che una sorgente è più o meno brillante,
fulgente, illuminante, intensa, irradiante, luminosa, rifulgente,
rilucente, risplendente, splendente di un’altra. Nel linguaggio
scientifico si tende invece a fare ordine e a dare un significato
preciso ad alcuni di questi termini abbandonando gli altri». Dopo
questo sontuoso commiato dal linguaggio corrente, l’operazione
semplificatrice della scienza s’impone nella sua drastica economia
linguistica, stabilendo la definizione precisa di «potenza»,
«luminosità», «irraggiamento». E ci si apre allora, al di là
dello splendore, fulgore, ecc. ecc. del Sole abbagliante, una nuova
ricchezza, lessicale: facole, spiculae, brillamenti, protuberanze,
per non dire delle macchie, nelle quali c'è un’«ombra» (zona
centrale più oscura) e una «penombra» con filamenti radiali
tutt'intorno.
In virtù di queste
osservazioni di fenomeni (o di queste parole?) ecco che il Sole
prende consistenza, rivela la sua sostanza granulosa. («La
granulazione fotosferica è costituita da elementi brillanti, di
forma poligonale... I granuli hanno un diametro di circa 1000 km...
Si formano, giungono alla massima brillanza e pòi si dissolvono nel
giro d’ una decina di minuti»).
L’effimero, il
discontinuo, il cangiante, il polimorfo sono qualità intrinseche
della natura del Sole: per questo egli è molto più permeabile alla
nostra conoscenza di quel che un malinteso rispetto umano supponeva.
Soltanto molto tardi, ai tempi di Galileo, gli uomini hanno compreso
che il Sole non era un assoluto immutabile e incorruttibile, ma un
corpo vivente in continuo processo, coi suoi ritmi, i suoi sonni, i
suoi risvegli. Il Sole è pronto a dirci molto di sé e del suo
interno, ma non tutto, almeno finora: tra i capitoli più pregnanti
del libro ci sono quelli sulle ricerche ancora aperte, come sul
mistero dei neutrini (in teoria ne dovrebbero arrivare sulla Terra
molti di più di quelli che ne arrivano) e naturalmente sull’avvenire
che attende il Sole tra cinque miliardi di anni: «gigante rosso»,
«nana bianca», «buco nero», «stella a neutroni»? Tra tutti i
futuri il più difficile da immaginare è quello di «nana bianca»,
«in cui la materia, pur non essendo né allo stato gassoso né allo
stato liquido, non è neppure allo stato solido».
È inutile che tenti più
a lungo dì raccontare il libro attraverso le mie impressioni di
profano: dirò solo dei raggi solari che una serie di chiarissime
fotografie scattate in occasione di eclissi totali ci rappresentano
non dissimili da come appaiono nei disegni dei bambini, ma
distribuiti irregolarmente, più rilevanti i raggi «polari» e
quelli «equatoriali» e i «pennacchi» obliqui, come in certe
capigliature ispide e ribelli al pettine.
Uno degli ultimi capitoli
è sul «vento solare» che ci investe con un flusso di particelle
che si muovono a spirale e arrivano fino a Plutone e oltre, là dove
questo vento si scontra col gas interstellare: un'immagine dello
spazio che ci mostra come il vuoto sia un’idea da intendere in
senso relativo. Investita dal vento solare, la Terra è contenuta
nella cavità del suo campo magnetico, la «magnetosfera». Il nostro
clima e la nostra sopravvivenza si giocano su queste frontiere che
sono le fasce di Van Allen, dove le aurore boreali e australi
sventolano i loro colorati drappeggi alle raffiche di particelle
provenienti dal Sole o dalla Terra. Nel 1962, prima che gli scoppi
delle bombe nucleari nello spazio fossero messi al bando, uno di
questi esperimenti provocò in quella zona un’alterazione che durò
diversi anni; la prossima volta è meglio stare attenti.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1982
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