28.5.18

Il vero incubo era Collins. Per Dickens (Anna Maria Crispino)


L’autorevole Pelican Guide alla letteratura inglese colloca Wilkie Collins tra quei sette o otto vittoriani di qualche genio — «grandi» o no — cui viene riconosciuto il merito di aver dato un contributo significativo nell’ambito del romanzo. Ma Collins «grande» non fu, o almeno non tanto quanto il suo amico e patrono Charles Dickens, cui fu legato da un ventennio di viaggi ed escursioni, di visite a pub, clubs e bordelli, da progetti editoriali ed esperienze teatrali di cui furono appassionati. Una amicizia forte, che la misoginia di entrambi favori e rafforzò.
Il legame e insieme la subalternità del bravo artigiano Collins al genio del maestro Dickens furono poi sancite da T.S. Eliot in un saggio notissimo (Wilkie Collins and Dickens, in Selected Essays, London, 1934). Ci si è spesso chiesti se la fama di Collins non fosse, almeno in parte, dovuta alla sua amicizia col Maestro ed al fatto che molti dei suoi romanzi furono pubblicati a puntate proprio sulle riviste di Dickens — “Household Words” prima e in seguito “All the Year Round” su cui uscì The Woman in white (tr. it. La signora in bianco, Mondadori) a partire dal 29 novembre 1859. O se, al contrario, la grandezza indiscussa — e fino a qualche decennio fa indiscutibile — di Dickens non abbia gettato un'ombra eccessiva su uno scrittore di tutto rispetto.
Certo è che la fama di Wilkie Collins è arrivata fino a noi e per diverse buone ragioni. Innanzitutto era un narratore eccellente, uno «story-teller» di grande fascino e consumata esperienza, tanto che almeno due dei suoi romanzi si leggono ancora con grande piacere: il già citato La signora in bianco e la La pietra di luna (tr. it. da Mondadori).
Poi era un osservatore d’eccezione tanto che alcuni dei suoi personaggi sono tuttora citati tra i migliori esempi di caratterizzazione.
Queste doti sono riconoscibili anche in L’albergo stregato che gli Editori Riuniti hanno appena tradotto per i Misteri d’Autore. Pubblicato nel 1879, quando il suo periodo migliore era finito e la sua vita già diventava quella di un malato irreversibile e laudano-dipendente, questo lungo racconto è certamente un testo minore. Ma vi si scorgono alcune «innovazioni» che influenzano non poco la struttura del testo.
Se la caratteristica dei romanzi più lunghi — quelli per intenderci sulla lunghezza dei tre volumi — è quella di aver saputo abilmente introdurre il mistero nei tranquilli interni vittoriani — come ne La signora in bianco — e di inventare la figura dell’investigatore con il Sergeant Cuff in La pietra di luna, ne L’albergo stregato i termini tornano a dividersi. È vero che una misteriosa e inquietante signora, la contessa Narona, non solo ha un nome italiano ed una origine incerta come nella migliore tradizione gotica, ma si presenta anche alla porta del più vittoriano dei medici di Londra, ne viola la sacra privacy sconvolgendogli le inveterate abitudini e poi sparisce nel nulla lasciandosi dietro una scia di domande che è un irresistibile invito alla investigazione. Ma poi l’azione si sdoppia: l'Inghilterra ridiventa sicura e domestica mentre il mistero e il delitto si spostano altrove. Dove? In Italia, naturalmente, in omaggio alla buona signora Radcliffe.
La novità? Il luogo del delitto: che è prima un palazzo simile ad un maniero con stanze abbandonate, lunghi corridoi e le immancabili segrete sotterranee. Che poi si trasforma in un vero hotel, un business per turisti danarosi e di gusti approssimativi come gli americani. Qui i tasselli della soluzione devono infilarsi tra le prenotazioni di stanze e le legittime preoccupazioni del direttore. Una situazione da giallo moderno, non c'è che dire. A libro chiuso, poi, vi accorgerete anche che il narratore vittoriano, il deus ex machina è quasi sparito: il fuoco del racconto è mobile e si sposta, come una cinepresa, dal medico alla fidanzata al fratello del Lord. Ma è un trucco, e non lo si scorge che alla fine quando ci si chiede che fine abbia fatto il medico.
Niente, è rimasto al suo club.

“il manifesto”, ritaglio senza data, probabilmente 1985

1 commento:

Unknown ha detto...

Sarà il cinquantesimo articolo che leggo qui in meno di una settimana. E mi colpisce in positivo come accuratamente Lei si confronti coi "grandi" e come anche dai "minori" sappia cavare quello che possono offrire. Complimenti da un lettore di Martin Chuzzlewitt

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