Conoscevo bene Letizia
Colajanni (eravamo insieme nel Comitato Federale di Caltanissetta e mia moglie le era affezionata fin dall'infanzia),
ma con suo fratello, il comandante Barbato della Resistenza, “lo
zio Pompeo” dei comunisti siciliani, ho parlato poche volte e solo
una volta a lungo, insieme a Giacomino Lo Presti, che era mio suocero
e gli era molto amico. Ne ascoltai poi un discorso funebre a
Barrafranca, ove un neofascista aveva ucciso un compagno dopo una
dura contesa verbale. Quelle occasioni mi bastarono per sentire il
fascino della sua figura e della sua eloquenza robusta e rotonda.
Recupero qui
l'articolo augurale per i suoi ottant'anni scritto per “l'Unità”
da Emanuele Macaluso che ne era, a quel tempo, il direttore. (S.L.L.)
Pompeo Colajanni |
Pompeo Colajanni compie
oggi ottant’anni. A lui gli auguri più cari di tutti noi che gli
vogliamo un gran bene. Tutti coloro che lo hanno conosciuto, anche
per un momento, sono stati attratti dal suo volto aperto e leale, dal
suoi occhi vivissimi e parlanti, dai suoi baffi di patriarca giovane,
dal suo gesticolare che dà vita alle cose di cui parla e sapore al
dialogo con gli altri.
Credo di conoscere Pompeo
da sempre. Da quando i miei ricordi hanno un senso. Egli ha quasi
venti anni più di me. E quando ero ancora fanciullo, mio padre che
era ferroviere e conosceva Pompeo, passeggiando per la piazza grande
di Caltanissetta mi indicava un giovane trentenne di taglia corta,
con pochi capelli e folti baffi, spiegandomi: “È l’avvocato
Pompeo Colajannl: un signore amico del popolo”. Eh già, Pompeo era
allora un “signore”. Figlio di una nobildonna e di un avvocato,
abitava in un palazzotto di Trabonella, proprietario di una grande
miniera e barone di un recente baronato come quello dei tanti che
subentrarono al gattopardi indebitati.
Pompeo apparteneva ad un
forte ceppo repubblicano ed egli stesso giovane repubblicano diventò
comunista negli anni Venti, frequentando i ferrovieri di
Caltanlssetta (Nicola Arnone, Francesco Malagioglio) ed altri
lavoratori ed artigiani comunisti.
In quegli anni Pompeo
frequentava “l'alta società” (si fa per dire) e gli operai, i
circoli dei signori e le osterie del minatori, dei muratori, del
ferrovieri. Ma frequentava anche il Foro, le biblioteche e gli
intellettuali seri e forti che allora si ritrovavano in questa
piccola città di provincia.
Pompeo fu un punto di
riferimento per l’antifascismo militante e no, e non solo di
Caltanlssetta ma di tutto il circondarlo anche perché manteneva
rapporti con gruppi di antifascisti in Sicilia e fuori. E già da
allora emergeva una personalità forte, un uomo coraggioso,
inflessibile, un combattente. La sua bontà non è stata mal bonomia,
la sua gentilezza convive con la sua risolutezza, il suo essere
“distratto” non attenuava il rigore cospirativo o l’attenzione
alle cose che contano in questo mondo.
Del resto, questi tratti
del suo carattere si esprimeranno negli anni della Resistenza, della
guerra spietata e senza frontiere nelle Langhe e nella liberazione di
Torino.
Ma gli anni che “contano”
nella sua formazione sono quelli di Caltanissetta, gli anni della
organizzazione clandestina in una zona dove i confinati erano tanti,
dove la resistenza al fascismo continuò e si rinnovò grazie a tanti
giovani. Fra questi mi ritrovai con Colajanni che fu nostro maestro.
E con lui il minatore Calogero Boccadutri, il muratore Michele
Ferrara, il calzolaio Nicola Piave, il bracciante agricolo Filippo
Dibilio, l’impiegato Michele Galà e tanti altri che tennero in
piedi l’organizzazione del partito nella clandestinità.
Colajanni era per noi un
esemplo di dirittura e fermezza morale, di ricchezza culturale, umana
e civile. E lo sarà poi per i giovani che seguirono il tenente di
cavalleria Colajanni in montagna, per i giovani siciliani nelle
grandi lotte del minatori e del contadini.
In questi lunghi anni di
dirigente comunista, di combattente antifascista, di comandante
partigiano e di uomo di governo, di parlamentare nell’Assemblea
siciliana e nel Parlamento nazionale, Colajanni ha saputo
conquistarsi la stima di tutti, anche dei suoi avversari più duri, e
l’affetto di tutti noi. Proprio tutti.
Lunga vita, «zio
Pompeo»!
“l'Unità”, 4 gennaio
1986
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