Gino Galli |
L'incontro con Gino Galli, GAL, sul suo libro appena uscito per Giada (Colpi di testa. Storie della prima repubblica) e sulla sua esperienza di disegnatore satirico, di Salvatore Lo Leggio e Maurizio Mori, più che un'intervista ha prodotto una conversazione ampia ed aperta, piena di ricordi, di osservazioni critiche, digressioni aneddotiche. Ragioni di spazio ci permettono di pubblicare solo uno stralcio.
Lo Leggio - Quando hai iniziato a disegnare e a fare satira?
Ho cominciato sui banchi di scuola, all'Istituto Magistrale
"Pieralli" di Perugia. Producevamo un giornaletto
ciclostilato, in cui prevalentemente parlavamo dei fatti della
scuola. Erano gli anni della guerra, alcuni nostri compagni erano
stati chiamati alle armi. Il giornale era un po' contro corrente,
aveva una vaga, ma visibile, ispirazione pacifista. Ho continuato a
disegnare nell'attività politica. Ero responsabile della propaganda
nella Federazione di Perugia del Pci. Usavamo spesso l'arma della
satira: in manifesti, volantini, giornali murali, trasmissioni e
giornali parlati. La satira rappresentava almeno il trenta per cento
della nostra produzione propagandistica.
Mori
- Io ricordo una campagna elettorale. C'era un appuntamento fisso a
Piazza della Repubblica per il giornale parlato. Era sempre
affollatissima.
Facevamo la parodia dei giornali radio nazionali con personaggi del
posto. Usavamo non solo testi ma anche musica e canzonette. Questo
impiego della satira politica era molto efficace perché sminuiva la
guerra fredda che l’avversario imponeva nella lotta politica.
Lo
Leggio - Quando diventa regolare l'attività di disegnatore?
L'impegno era permanente fin da allora. La traduzione in aspetti
visivi della satira, dell'ironia, si combinava perfettamente con il
lavoro politico e propagandistico. I miei disegni e le mie vignette
comparivano sulle pagine regionali dell'Unità e corredavano i
manifesti e volantini. Ricordo i disegni su Ermini e sulla sua
gestione dell'Università.
Un manifesto murale di Gal (primi anni 70) |
Mori
- Non su “Cronache Umbre”.
Su “Cronache Umbre” il disegnatore era Antonello Rotondi. La mia
produzione grafica acquista un rilievo maggiore, nazionale, quando
sono andato a Roma, coll’incarico di viceresponsabile del settore
informazione e propaganda. Era il 1967. Da quella collocazione potevo
intervenire sistematicamente attraverso manifesti, volantini,
rotocalchi, opuscoli, disegni sull'Unità e su Rinascita e, nelle
campagne elettorali, anche con altri strumenti che erano parte dei
programmi di produzione propagandistica. La parte operativa di questo
impegno, specie per quanto riguarda i disegni, le strisce, le
vignette la svolgevo in genere la sera, dopo il lavoro. Nei giorni
del referendum sul divorzio consegnavo ogni mattina all'Unità il
fumetto che avevo preparato la sera precedente. C'era una fusione tra
politica e grafica satirica.
Sono stato anche presidente dell'Unitelefilm, la casa cinematografica
del partito, che produceva materiali per le campagne politiche e
culturali con la supervisione di un comitato presieduto da Zavattini,
e composto da registi noti come i fratelli Taviani, Bertolucci,
Gregoretti, Scola e altri. Anche in questa produzione era presente la
satira, non solo contro la Dc ma a volte anche contro il dilagare
della pubblicità commerciale. Ricordo, ad esempio, che avevamo
ideato uno spot sull’acqua di Fiuggi: una famiglia riunita a
tavola; il padre riempie un bicchiere con acqua minerale. Dal
seggiolone il bambino di quattro-cinque anni allunga di colpo il
braccio, prende il bicchiere, ne tracanna il contenuto e sparisce.
Sullo schermo compare la scritta “Con Fiuggi dieci anni di meno!”.
Lo
Leggio - Se non ricordo male, l'Unitelefilm mandava per l'Italia
camioncini. Gli operatori giravano e montavano documentari da far
vedere alla gente del posto.
Abbiamo fatto la campagna elettorale politica del 68 con 2500
proiettori sparsi per l’Italia. Il pezzo era un programma tv
chiamato “Terzo Canale”; allora esistevano solo due canali
televisivi della RAI. I servizi girati sul posto, regione per
regione, riguardavano i problemi più gravi del momento ed erano di
ottimo livello professionale. Partecipavano anche compagni della Rai.
venivano prodotti anche documentari a carattere nazionale. La
proiezione di questi materiali sulle piazze apriva di fatto dibattiti
a cui i presenti potevano partecipare e dire la propria. Per questo
l’iniziativa riscosse un enorme successo. Il merito maggiore
dell’Unitelefilm, in ogni caso, è stato quello di aver raccolto,
prodotto e sistemato la più ricca documentazione esistente sul
movimento operaio italiano.
La vignetta che celebra (contro Fanfani) la vittoria nella campagna referendaria in difesa della legge sul divorzio |
Lo
Leggio - Quando vi siete rivolti anche al mezzo televisivo?
Nella campagna referendaria per la difesa della legge sul divorzio.
Erano appena usciti i primi videoregistratori. Non avendo una rete di
diffusione li utilizzammo a Roma e dintorni per una grande inchiesta
sugli orientamenti della gente sul tema divorzio. Dall’inchiesta
risultava chiaramente che le donne nella stragrande maggioranza erano
a favore del divorzio. Comunque, che fossero a favore o contro, le
donne argomentavano con cognizione di causa. Il problema,
contrariamente a quello che si pensava ai vertici del Pci, erano gli
uomini, impreparati e balbettanti.
L’inchiesta, dunque, fornì argomenti alla propaganda ma contribuì
anche a correggere una valutazione politica pericolosamente errata.
Lo
Leggio - Spendevate molto?
La propaganda centrale aveva un bilancio annuale povero: meno di
cento milioni. Facemmo di necessità virtù puntando fortemente sulla
produzione di base. Adottammo una serie di accorgimenti per aiutare
le sezioni territoriali e di fabbrica a mettere in piedi dei piccoli
staff capaci di usare diversi mezzi (stampatrici offset, telai
serigrafici, fotocamere, giornali murali, videoregistratori con la
guida di un bollettino prodotto dal centro che serviva anche per lo
scambio di esperienze). La propaganda di base ebbe un successo
enorme, anche sotto la spinta del Maggio francese, e permise al Pci
di ridurre in maniera consistente il gap nei confronti dei mezzi ben
più ricchi dell’avversario.
Mori
- Insomma, e naturalmente, il tuo lavoro di disegnatore e di
vignettista non era separabile dal lavoro politico.
Il lavoro di disegnatore satirico era più gratificante. Quando mi
accadeva di fare riunioni o comizi, soprattutto alle feste
dell'Unità, l'atmosfera all'inizio era quasi di indifferenza. Appena
qualcuno chiariva che Gino Galli era GAL, scoppiavano applausi lunghi
e clamorosi.
Lo
Leggio - Come nascevano, nell'idea e nel tratto grafico, le vignette
e i disegni?
Dai fatti e dai personaggi che si muovevano sulla scena italiana e
mondiale. A volte disegnare un personaggio politico era estremamente
facile. Altre volte era un'impresa impossibile. Ho provato mille
volte a fare Saragat e non mi è mai riuscito. Un giorno stavo
parlando con Cossutta, nel suo ufficio. Chiaccherando, scarabocchiavo
sopra pensiero e all'improvviso mi sono reso conto che dalla matita
era uscito Saragat, quello giusto.
Mori
- Quello del “Fior di vite”!
L'idea venne dalla pubblicità di una casa vinicola. La cronaca, i
giornali, le riviste, la televisione fornivano utili suggestioni. Per
abitudine, come risulta anche dal libro, corredavo spesso i miei
disegni con citazioni di personaggi e giornali.
Mori
- Quando hai smesso di produrre disegni e vignette?
Non ho mai smesso del tutto, ma dopo vent’anni ho avvertito un
senso di fastidio e di stanchezza: sempre gli stessi personaggi ed
anche gli stessi problemi. Non si è trattato di una crisi di
creatività. Chi fa questo mestiere si crea una particolare visione
del mondo alla luce della quale valuta fatti e personaggi. La
creatività è più a portata di mano di quanto si pensi. Partendo da
un’idea, da un disegno, da una striscia vengono fuori rapidamente
una infinità di varianti per cui non c'è che da scegliere. Non è
la vena creativa che è mancata, ma la voglia.
Lo
Leggio - Eppure dopo l'89 le cose cambiano, almeno in apparenza.
Penso che oggi molti uomini politici fanno ridere da soli. Anche per
questo non ho molti stimoli. Quando l’Assessore alla cultura mi ha
proposto di fare questo libro, ho avuto molti dubbi, pensavo che
fosse cosa inutile.
Sono andato a scartabellare in una ventina di scatoloni che
contenevano i materiali della mia esperienza romana. Mi sono reso
conto che quei disegni ritrovati testimoniavano l’esistenza di
tante buone ragioni del Pci, della sinistra, dei democratici veri
(quelli che sapevano agire per convinzioni ideali e non per interessi
economici e personali). La pubblicazione di quei disegni richiama
alla mente fatti e personaggi che aiutano a valutare meglio anche le
cose di oggi. Mi ha convinto a dire di sì, per esempio, il fatto che
c’è un personaggio, che si chiama Silvio, che pretende di essere
considerato il primogenito della seconda repubblica mentre è
l’ultimo figlio della prima. L’uomo che ha avuto in dono, dai
vertici della prima, un impero economico e informativo.
Mori
- Nel libro c'è una vignetta bella e attualissima in cui c'è la
didascalia "P2 + Milano 3 = Canale 5".
Il disegno risale al dicembre ‘84 quando il governo Craxi approvò
il cosidetto decreto Berlusconi. Fu un mezzo colpo di Stato. Mai, in
nessun paese, un soggetto privato aveva avuto un tale strapotere nel
settore dell’informazione e della comunicazione. L’ingresso in
politica di Berlusconi risale a quella data.
Mori
- Io ho notato una particolarità delle tue vignette che le
differenzia, per esempio, da quelle di Forattini o di Vauro. Le loro
vignette sono molto più legate all'attualità, rappresentano una
sorta di diario, di cronaca quotidiana dell'Italia. Dopo qualche anno
è difficile decifrarle. Invece le tue rappresentano la realtà
costante dell'Italia.
Forse questa differenza c'è. Io non ho seguito molto il lavoro di
Vauro. Su Forattini credo di poter dire che il suo modo di far satira
sia piuttosto superficiale. Spesso gioca su un difetto fisico e
insiste su di esso, come per il “pisello” di Spadolini, altre
volte traveste i suoi personaggi in maniera improbabile: Craxi con la
divisa fascista e D'Alema vestito da nazista. Io credo che la satira
debba cogliere criticamente i problemi reali. Penso che, da questo
punto di vista, il migliore disegnatore satirico degli ultimi anni
sia Altan. Cerca sempre di andare causticamente a fondo delle cose,
di collegare il particolare con il generale.
Lo
Leggio - Si dice che oggi, soprattutto nei cabaret televisivi e nei
talk-show, la satira politica conosca il suo trionfo.
Salvo rarissime eccezioni la satira televisiva è scadente, un po'
astrusa e superficiale, molto al di sotto dell'ironia, molto più
graffiante, che opera a livello popolare. Forse si deve a questa
diffusa capacità popolare il fatto, pochi lo hanno notato, che non
esiste da noi un giornale satirico nazionale. A Roma, con Cesare
Zavattini, facemmo il tentativo di realizzarne uno che avrebbe dovuto
chiamarsi “Contro” e al quale avrebbero collaborato noti autori e
scrittori. Una società distributrice condusse un’indagine tra gli
edicolanti. Il responso fu che in Italia un giornale satirico non
aveva mercato.
Mori
- Eppure esiste in Italia una tradizione di giornali satirici di
buona qualità.
E’ vero. hanno avuto fortuna nel periodo della dittatura e nel
primo dopoguerra. Erano fondamentalmente di destra ma, anche durante
il fascismo, aprirono qualche spiraglio critico. Scrivevano e
disegnavano uomini di valore, anche se il più delle volte erano
della parte avversa. Autori come Guareschi erano acuti e graffianti.
Lo
Leggio - Qual è la tua vignetta che consideri più riuscita?
Quella che trovate verso la fine del libro, sulla torre di Pisa.
Lo
Leggio - E' una delle ultime.
Non esattamente. Mi avevano riservato una sala all'Humour Festival di
Foligno che quell'anno aveva come tema “la città”. Preparai sei
disegni su altrettante città italiane. Per l'occasione ho utilizzato
anche idee precedenti. La vignetta originaria sulla Torre risaliva a
dieci anni addietro e era in bianco e nero.
Lo
Leggio - Quanto al personaggio che ti è riuscito meglio per quelli
della mia generazione è certamente Fanfani. Di recente, Luigi
Pintor, che pure lo aveva ferocemente beccato, ha scritto di aver
cambiato idea. Non era lui l'anima nera della DC, ma altri. Hai
cambiato idea anche tu?
Se individui i lati deboli di un personaggio impari anche a
conoscerlo meglio. Fanfani era un personaggio un po' anomalo, non era
come i Bisaglia o come Forlani. Era un tipo solido e piuttosto
autonomo. In certi momenti è stato bersaglio di attacchi feroci da
parte della Confindustria e della destra. Rimane in me la stima per
il personaggio.
Mori
- C'è una domanda conclusiva che volevo rivolgerti. La tua
caratterizzazione non è quella dell'umorista, ma anche quella
dell'uomo politico nettamente schierato. Quali conseguenze ha
comportato questo fatto, non tanto in termini di limitazioni, quanto
in funzione di stimolo alla creatività. Avevi alle spalle un grande
partito di massa.
La mia produzione satirica ha avuto sempre un taglio giornalistico.
Per me fare un disegno satirico è come scrivere un editoriale e
nessun editorialista si mette a scrivere articoli contro la propria
parte. Questo è un limite, compensato dal fatto che altri,
dall'altra parte, fanno la stessa cosa. Le mie posizioni politiche,
comunque, sono state sempre aperte e non ho rinunciato a usare
l’ironia nei confronti dei nostri stessi errori, difetti e
insufficienze. Avevo la consapevolezza che dei miei disegni spesso
veniva fatto un uso politico di massa, con una larga iniziativa di
base. I miei disegni venivano riprodotti in giornali fabbrica e di
quartiere, in volantini e grandi cartelloni nelle manifestazioni.
Questa cosa era per me molto gratificante.
Lo
Leggio - Dai tuoi disegni e dai tuoi ricordi viene fuori un'immagine
della storia dell'Italia repubblicana assai diversa da quella che
oggi si tende a diffondere. In particolare la storia del PCI non è
quella di ciechi servi di Mosca come oggi viene presentata.
Io ho le idee molto chiare in proposito. Il gruppo dirigente Ds ha
molte responsabilità in proposito. A quest’ora, anche attraverso
l'Istituto Gramsci, doveva essere disponibile un bilancio documentato
della vita del Pci, nel bene e nel male. Il Pci ha reso grandi
servigi ai lavoratori e al paese. Oggi c’è un bolso anticomunismo
di ritorno alimentato sopra tutti da Berlusconi. La “nemica”
Unione Sovietica agita i sonni di Silvio. Ma con la Russia si
facevano accordi commerciali molto consistenti, c'erano relazioni
diplomatiche cordiali. Erano avversari, ma non nemici. Del resto il
Pci non ha aspettato Berlusconi per prospettare politiche e rapporti
diversi nel movimento operaio internazionale e nei confronti del
Pcus.
Lo
Leggio - A un certo punto hai detto che oggi molti uomini politici
fanno ridere da soli. Vuoi spiegarti meglio?
Sono sempre più fitti i momenti in cui la politica appare come un
balletto umoristico e incomprensibile. Lo specchio di ciò è lo
spazio politico che i telegiornali offrono quotidianamente. Vi
compaiono quasi sempre gli stessi personaggi in rappresentanza di
tutto l’arco dei partiti. Dicono una frase e con questo pensano di
aver risolto i problemi. Questo teatrino è la testimonianza di un
verticismo assoluto che ha relegato ai margini della politica i
rapporti con la realtà popolare. Da questo punto di vista la seconda
repubblica è peggio della prima. Ci sono molte cose della prima
repubblica che andrebbero recuperate. I partiti di massa, per
esempio, erano condizionati dalla base popolare. Quando si andava
alle riunioni di sezione o alle assemblee popolari si parlava ma
bisognava anche ascoltare. La comunicazione agiva nei due sensi e
influiva sulle scelte della politica. Oggi gli iscritti a un partito
sentono di non contare. Correggere questo stato di cose è il compito
più urgente per la sinistra di oggi.
Mori
- Potresti darci qualche vignetta inedita per il giornale?
Ne ho una quasi pronta su Berlusconi.
Mori
- E per il futuro potresti continuare a darci una mano con i tuoi
disegni?
Se ne può parlare.
“micropolis”, dicembre 1999
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