Ascese repentine e
rovinosi capitomboli, ma, anche, un alto tasso di incidenti
professionali: nel ruolo che banchieri e big della finanza svolgono
nella storia della nostra classe dirigente bisognare mettere in conto
anche questo risvolto della medaglia, rammentato da certe drammatiche
uscite di scena. Quelle, ad esempio, di Roberto Calvi (Banco
Ambrosiano), di GianMario Roveraro (Opus Dei, l’uomo che porta
Parmalat alla quotazione in Borsa) e di Michele Sindona.
Sindona se ne va |
Il “salvatore
della lira
Sul ruolo giocato da
quest’ultimo in trent’anni di vicende italiane è uscito da
Einaudi un documentato e puntiglioso affresco, Sindona. Biografia
degli anni Settanta, dovuto a Marco Magnani, economista della
Banca d’Italia. Il sottotitolo del saggio evidenzia l’aspetto
fondamentale e prezioso di una ricostruzione che andando oltre la pur
rilevante parabola sindoniana, la colloca dentro la complessa
partita, non solo finanziaria ma politica, di un decennio tra i più
difficili della storia repubblicana.
Certo, le tappe e le
modalità dell’ascesa sindoniana nel saggio di Magnani ci sono
tutte: a cominciare da quando, nell’immediato dopoguerra, il
giovane commercialista di Patti (provincia di Messina) sbarca a
Milano, e, a colpi di preziose consulenze fiscali, si conquista la
fiducia dell’ala più tradizionalista dell’imprenditoria
milanese, poco incline a frequentare l’ufficio tasse. Il successivo
salto da Milano a Roma è poi benedetto da una parte della Curia
pontificia che, decidendo di rendere liquido e portare fuori dagli
orticelli italiani parte dell’immenso patrimonio amministrato dallo
Ior, fa di Sindona il braccio finanziario del Vaticano,
consentendogli di diventare l’azionista di controllo della Generale
Immobiliare, protagonista assoluta della speculazione edilizia nella
Roma del dopoguerra.
Acquisita grazie a un
massiccio prestito dell’Hambros Bank di Londra, la Immobiliare è
un caso da manuale, emblematico di come Sindona dispieghi la sua arte
speculativa. Come? Semplice: appropriandosi - scrivono nei primi anni
Settanta Scalfari e Turani - «delle spoglie dei vecchi potentati nel
momento in cui il sistema economico tradizionale si sta sfasciando».
Una volta che ha acquisito le sue prede Sindona ne ignora ogni
implicazione produttiva. La sfida industriale non lo tocca. Le prede
gli servono come trampolino per ulteriori scalate. In compenso, nelle
interviste che rilascia, Sindona - loquacissimo, le mani che non
cessano di modellare origami, soprattutto cigni e barchette, da fogli
che ha sul tavolo - magnifica gli strumenti finanziari nuovi che sta
utilizzando, quali l’opa (offerta pubblica azioni), che non avendo
ancora in Italia adeguata regolamentazione gli consente di muoversi
in una spregiudicata terra di nessuno.
Pochi anni dopo - quando,
frenato in Italia da Cuccia, Cefis e dal governatore della Banca
d’Italia Carli, rilancia la sfida e fa il grande salto che lo porta
a rilevare a New York la Franklin National Bank, ventesima banca Usa
- emerge come dietro lo scontro in corso tra finanza laica e
cattolica, tra paladini e avversari di Sindona, ci sia un fitto
intreccio filo-sindoniano che salda ambienti vaticani e centri
massonici, spezzoni dello Stato deviato e vertici della politica.
Così, al culmine di una
tempesta finanziaria internazionale, nei primi anni Settanta, Giulio
Andreotti arriverà a definire Sindona un “salvatore della lira”.
Non è affatto così e quando le razzie speculative non basteranno a
reggere il castello di carte del banchiere e tutto crollerà, a
cominciare dalla Franklin Bank, la sua determinazione criminale,
alleandosi a settori mafiosi, giungerà a far assassinare Giorgio
Ambrosoli, l’integerrimo liquidatore della Banca Privata
Finanziaria, reo di aver respinto le pressioni politiche romane
dirette a coprire con fondi pubblici le voragini scavate nei bilanci.
Condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio, Sindona si
suicida due giorni dopo la sentenza definitiva. Dietro di sé, a
parte gli origami e lo “scandalo Sindona”, investigato per anni
da una commissione parlamentare, solo cocci e voragini sparsi in
tutto il sistema finanziario italiano.
Gualino ritratto da Casorati |
Il “cagliostro
della finanza”
Ma non tutte le discese
ardite e le risalite dei banchieri finiscono così, anche se le morti
(metaforiche) e le risurrezioni (negli indici borsistici) spesso
fanno parte del copione. Ad esempio tre colossali tracolli e
altrettante strabilianti rinascite scandiscono la traiettoria di un
tycoon dell’Italia della prima metà del Novecento come
Riccardo Gualino (Biella, 1879, Firenze, 1964), del quale ormai quasi
nessuno si ricorda. Per rammentarne il viso (scavato e deciso) si
vedano i ritratti che gli fece l’amico Felice Casorati quando
assieme a un altro sodale, lo storico d’arte Lionello Venturi,
faceva parte del suo “cerchio magico” torinese. Anni in cui
Gualino - azionista alla pari con il senatore Agnelli della Fiat
occupata dagli operai lettori dell’Ordine Nuovo di Gramsci - stava
per acquisire il Credito Italiano e intanto, discretamente,
finanziava l’avventura editoriale del giovanissimo Gobetti. Nel
frattempo, convinto che il cioccolato dovesse diventare un consumo
accessibile a tutti gli italiani, creava l’Unica, il principale
polo dolciario del Paese (Talmone, etc).
Nel primo decennio del
secolo Gualino aveva già fatto tempo a diventare un importante
commerciante di legname tra l’Impero asburgico e l’Italia, per
poi in società con la Hambros Bank di Londra (e rieccoli!) dedicarsi
a edificare una sorta di Manhattan nel cuore di San Pietroburgo. La
guerra, e la rivoluzione bolscevica, gli spazzano via tutto. Ma,
arrivata la pace, lo si trova ben dritto su una montagna di soldi
ramazzati con la sua Snia (Società Navigazione Italo-Americana) che
ha monopolizzato i trasporti di rifornimenti militari dagli Usa
all’Europa. Parte di quanto ha guadagnato lo investe in arte:
Modigliani e capolavori (soprattutto fondi oro senesi) di varie
epoche, poi donati e che ora si possono vedere alla Galleria Sabauda
di Torino. Pochi anni dopo, fabbricando il rayon in decine di
stabilimenti Snia Viscosa, Gualino fa dell’Italia la seconda
produttrice mondiale di seta artificiale. Se Sindona è stato per
Andreotti un “salvatore della lira”, Gualino, arrivata la crisi
del 1929, diventa per Mussolini il “Cagliostro della finanza”: da
additare quale capro espiatorio alle masse. Mandato nel 1931 al
confino, a Lipari, scrive due romanzi - assai interessanti - in un
anno. Tornato libero fonda, con discrezione, un colosso dei
fertilizzanti, la Rumianca. Intanto riprende a costruire case
bellissime per Cesarina, sua moglie: un castello neogotico a
Cereseto, una villa sopra la baia di Sestri Levante, un palazzo (con
teatro privato incorporato) a Torino. Poi - terza o quarta rinascita
di Gualino - fonda a Roma la Lux, casa cinematografica che produce
film di Soldati, Lattuada, Castellani, De Sanctis (Riso amaro),
Comencini, Germi, Monicelli, Visconti (Senso). Insomma, dietro
di sé Gualino, il “Cagliostro della finanza”, non lascia solo
origami. Muore nel suo letto, a Firenze, nella villa al Giullarino,
nome perfetto per lievi e fecondi commiati.
Pagina 99, 7 maggio 2016
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