In attesa che arrivi in libreria il volume di Alberto Stramaccioni sulle stragi naziste in Italia, che è in corso di stampa per i tipi della Laterza, non è male leggersi questo articolo che racconta come alcuni dei responsabili di quei crimini vissero e prosperarono dopo la sconfitta del Terzo Reich. (S.L.L.)
Eugen Dollmann |
Se la condanna dei boia
di Marzabotto è arrivata sessant'anni dopo, e se essa risulta -
usando le parole di Prodi - «solo simbolica», si deve anche alla
presenza di un cospicuo scaffale americano nel famoso Armadio
della vergogna in cui le stragi nazifasciste vennero insabbiate.
E c'è un filo nero che
unisce tutto ciò alle minacce ricorrenti alla democrazia italiana
susseguitesi sino ai giorni nostri. I nomi di alcuni responsabili di
quei crimini di guerra, salvati e reclutati in funzione anticomunista
dall'intelligence Usa sin dal 1945, ricorrono infatti nelle inchieste
e nei documenti sulla strategia della tensione.
Fosse Ardeatine
Uno dei
protagonisti del massacro delle Fosse Ardeatine, il maggiore Karl
Hass, continuò a vivere indisturbato in Italia, dove era stato
riportato con un falso passaporto dopo essere entrato a far parte del
Cic (Counter Intelligence Corp) statunitense, mobilitò in vista
delle elezioni del 1948 gruppi di terroristi di estrema destra romani
per un piano di occupazione del ripetitore Rai di Monte Mario da
compiere in caso di vittoria del Fronte, d'intesa con l'Ufficio
Affari riservati del Ministero dell'Interno. Nel 1962 il giudice
istruttore militare Giovanni Di Blasi riaprì l'inchiesta sulla
strage, che si era risolta nel 1948 con la condanna di Kappler e di
alcuni suoi collaboratori, ma emise sentenza di non luogo a procedere
nei confronti di altri undici imputati, tra cui lo stesso Hass,
perché non identificati, né reperibili. Invisibile per la giustizia
italiana, Hass viveva e «lavorava» invece a quattro passi dagli
uffici della magistratura militare e proprio da Roma coordinava una
sua rete di spie anche a Genova Milano Torino e Bolzano. Nel suo
fascicolo presso i servizi segreti italiani giaceva persino la foto
di una cerimonia di battesimo in cui Hass compariva assieme a uno dei
suoi reclutatori statunitensi, Joseph Peter Luongo: si tratta della
superspia americana che reclutò il gruppi di Ordine nuovo veneto al
centro delle trame che porteranno nel 1968 alla strage di piazza
Fontana. Nei documenti degli archivi nazionali Usa desecretati da
Clinton nel 1999, Hass è indicato come «un soggetto intelligente
metodico leale e motivato» e sono descritti gli incontri e i
rapporti con gli apparati di sicurezza italiani, tra cui il
colonnello dell'Aeronautica Ettore Musco, a capo dell'Armata italiana
per la libertà che fu mobilitata dall'ambasciata Usa sin dal primo
dopoguerra per far fronte con le armi alle «minacce» bolsceviche.
Piazzale Loreto
Nel
piazzale milanese poi rimasto nella storia per l'esposizione dei
corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti un anno prima, il 10
agosto 1944 il capitano delle SS, Theodor Saevecke, organizzò
l'esecuzione di 15 ostaggi italiani, partigiani scelti tra i detenuti
nel carcere di san Vittore. Finita la guerra, Saevecke rientrò nella
polizia federale tedesca, fu reclutato nel 1946 dalla sede della Cia
di Berlino e aiutato a evitare un processo per crimini di guerra che
i britannici volevano intentare: in Polonia e in Tunisia era stato il
braccio destro del maggiore Walter Rauff, l'ufficiale nazista che
inventò le camere a gas mobili montate sui camion. Nel 1945 le
autorità alleate l'avevano interrogato, e lui aveva ammesso non solo
l'organizzazione della strage di Milano, ma anche di avere ordinato
nell'estate 1944 a Corbetta la fucilazione di otto civili per
rappresaglia a un attentato e di avere depredato la comunità
ebraica. Il fascicolo su Saevecke fu nascosto dalla Procura generale
militare nel famigerato armadio (era stato richiesto anche dai
magistrati tedeschi, ma da Roma risposero che non c'era nulla di
particolare), e solo nel 1999 venne alla luce, quando si celebrò a
Milano il processo per la strage di piazzale Loreto: l'ex-capitano
non si presentò, fu condannato all'ergastolo in contumacia, e l'anno
dopo morì di morte naturale in Germania.
Eugen Dollmann
Secondo
gli archivi statunitensi, il colonnello Eugen Dollmann, uomo di
fiducia di Himmler, uno dei più alti ufficiali nazisti operanti in
Italia, fu rifornito nel 1952 dai servizi segreti italiani di un
passaporto falso che gli consentì di tornare in Germania per
inquinare i processi di 'denazificazione' in corso. Scoperto,
dichiarò che a fornirgli il documento era stato un italiano, di nome
'Rocchi'. Si tratta di Carlo Rocchi, capo Cia a Milano: negli anni
Novanta passava all'Ambasciata Usa notizie sulle rivelazioni sulla
strategia della tensione raccolte dal giudice istruttore Guido
Salvini. È anche l'ultima persona che rassicurò in carcere Michele
Sindona del sostegno degli 'amici' americani poco prima del famoso
caffè avvelenato.
“l'Unità”, 13
gennaio 2007
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