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Il
mese clericale
Dell'Anno
santo in corso giugno è il mese clericale. Nei suoi primi tre giorni
s'è svolto, infatti, a Roma il Giubileo dei preti, poi diventato
nelle cronache ufficiali, il Giubileo dei sacerdoti, visto che
Bergoglio ha preferito questa dizione. Non a caso. Il prete è,
etimologicamente, “l'anziano”, una figura autorevole della
comunità ecclesiale. Il sacerdote è di più, ha in dotazione il
“sacro” e gode di un rapporto speciale con il dio che gli
conferisce speciali poteri, come quello di trasformare pane e vino in
corpo e sangue o di cancellare i peccati. Il papa ha così voluto
ribadire il primato del clero, che è stigma (insieme all'aspirazione
universalistica) della variante cattolica del cristianesimo.
A quanto
riferiscono le cronache vaticane il triduo giubilare è stato una
“maratona di spiritualità sacerdotale”. Il papa ha coniato il
verbo “misericordiare”, usandolo in forma attiva e passiva. Ai
preti convenuti in Roma ha spiegato della misericordia sia l'aspetto
femminile, cioè l'amore viscerale per la propria creatura, sia
l'aspetto maschile, “la fedeltà forte del Padre che sempre
sostiene e perdona i figli”. In questa distinzione sembra
rispecchiarsi la tradizione patriarcale del cristianesimo, che vuole
la donna più “natura” e l'uomo più “cultura”, cioè più
dotato di riflessione e volontà: sono queste le basi di una
“fedeltà” più paterna che materna, perché – come cantava il
duca di Mantova - “la donna è mobile”. A naso si può prevedere
che le speranze di un sacerdozio femminile imminente rimarranno
frustrate.
Ai preti
Bergoglio propone tuttavia un atteggiamento meno severo e muscolare,
parlando – a questo proposito – di “sguardo sacerdotale”. Si
tratta dello “sguardo di un padre”, quello con cui il padre
misericordioso della parabola guardò con amore il figliuol prodigo,
quello del Padre celeste che nessun tradimento, nessuna cattiveria
umana può deviare e che Dio riserva agli stessi preti, fragili ed
erranti in quanto uomini. Sostiene Bergoglio: “Permettetemi, ma io
penso qui a quei confessori impazienti, che bastonano i penitenti,
che li rimproverano… Ma così ti tratterà Dio, eh! Così! Almeno
per questo, non fate queste cose …”.
Giubilei dei
sacerdoti si sono svolti, a cascata, in molti luoghi: uno in Umbria a
Colvalenza giorno 9. Il vescovo Cancian, di Città di Castello, per
commentarne lo svolgimento, parla di “declericalizzazione”, ma
intende solo sottolineare il rapporto di vicinanza tra pastori
(vescovi), clero e laici nella Chiesa. Il 22 del mese, infine, il
papa cattolico ha annunciato nuove canonizzazioni, cinque beati
promossi alla categoria di “santo”: quattro preti (tra cui un
vescovo) e una suora carmelitana che si offrì come “preda” alla
Trinità. Tra i nuovi santi c'è anche Salomon Leclerq, beatificato
da Pio XI; si legge su “Avvenire” che fu anche martire, uno dei
“preti refrattari” della Rivoluzione francese, quelli che
rifiutarono di giurare fedeltà alla Repubblica.
Bergoglio
e Lambertini
L'11 e 12
il Giubileo dei malati e dei disabili in Vaticano ha visto la
partecipazione dei ragazzi del “Serafico” di Assisi ed ha avuto
un paio di proiezioni anche nella nostra Umbria. Il 16 si è svolto
quello degli artisti itineranti: circensi, lunaparkisti, artisti di
strada, madonnari, definiti dal papa “la grande famiglia dello
spettacolo viaggiante e popolare”. Ma neanche questo ha giovato a
far crescere l'attenzione per l'Anno santo. Si legge su “La Voce”
di un un Giubileo “in sordina”: era stato immaginato come
strumento di amplificazione di un grande slancio riformista e invece
Bergoglio riesce solo a pronunciare mezze frasi, prive di riscontri
effettuali.
È uscito
l'anno scorso per Quodlibet un libro strano e bello, Vite
efferate di papi:
l'autore, il
filologo Baldi, seguendo scrupolosamente fonti
coeve,
racconta di
pontefici il più delle volte orrendi. Ma ce n'è anche uno
simpatico, Prospero Lambertini, già cardinale di Bologna, papa dal
1740 con il nome di Benedetto XIV. Pare che abusasse dell'intercalare
“cazzo”. Succedeva un incendio e lui “Cazzo, ci sono morti?”.
Chiedeva udienza un ambasciatore e lui “Cazzo, che vorrà?”. Per
frenare il malvezzo aveva chiesto al maestro di camera, monsignor
Boccapaduli, di tirargli la tonaca ogni volta che quella parola gli
usciva di bocca. Una volta, per la stranezza dei fatti riferitigli,
Lambertini non riusciva a trattenersi e il monsignore dovette più
volte tirargli la tonaca. Alla fine, stanco di quel tirare, il papa
urlò: “Hai rotto i coglioni, Boccapaduli. Cazzo cazzo cazzo! La
voglio santificare questa parola e dare l'indulgenza plenaria a chi
la pronunci dieci volte al giorno”.
L'impressione è che qualche Boccapaduli tiri sistematicamente la tonaca al papa argentino, ma che lui, a differenza del Lambertini, reprima l'empito e si morda la lingua, senza mai trovare il coraggio per dire: “M'avete rotto i coglioni”.
L'impressione è che qualche Boccapaduli tiri sistematicamente la tonaca al papa argentino, ma che lui, a differenza del Lambertini, reprima l'empito e si morda la lingua, senza mai trovare il coraggio per dire: “M'avete rotto i coglioni”.
"micropolis", 28 giugno 2016
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