Non è facile vendere
cantucci, umbricelli, aceto di mele e pesto alla brontese in tutto il
mondo, inclusi Paesi remoti come il Gabon e il Kazakistan. La startup
ByItaly ci riesce. «Siamo un e-commerce con una filosofia precisa:
aiutare i piccoli produttori artigianali di cibo di altissima qualità
a esportare», dice a pagina99 l’ad della startup, Giovanni Belia.
«Molti di loro non hanno le competenze e l’esperienza per
affrontare i mercati stranieri. Alcuni hanno provato a farlo da soli,
con un loro e-commerce. Ma non basta avere un sito. Bisogna pure
curarlo, promuoverlo, spingerlo sui social, altrimenti nessuno ti
trova sul web. Qui entriamo in gioco noi: siamo una vetrina nel mondo
per i produttori artigianali».
ByItaly ha sede a
Perugia, un luogo perfetto per gli amanti dell’enogastronomia
italiana. Oltre a vendere tartufo umbro, prosecco veneto e pesce
spada siculo, l’azienda consente di adottare un ulivo locale e
riceverne l’olio a fine anno. La parola d’ordine, in ogni caso, è
qualità, assicura Belia: «Prodotti non pregiati si possono trovare
ovunque nel mondo. Noi vendiamo solo cibi e vini di altissimo
livello, fatti con materie prime eccellenti e pochissimi conservanti.
Spesso c’è pure la certificazione bio. Ovviamente hanno un loro
prezzo, ma la gente è disposta a pagare per la qualità».
In un settore
agroalimentare che resta un pilastro del nostro export, ma vanta
pochissimi attori di dimensioni globali, la startup perugina è
esempio di un modello che sta iniziando a diffondersi: quello che
coniuga nuove tecnologie, spesso digitali, con una forte attenzione
al prodotto di pregio, magari di nicchia, spesso artigianale o
biologico. Della serie: va bene tornare alla terra e al territorio,
ma in modalità 2.0.
L’e-commerce, in
particolare, è un alleato chiave degli artigiani del cibo. Lo ha
spiegato bene ai viticoltori italiani Jack Ma, fondatore del portale
di e-commerce Alibaba, durante l’ultimo Vinitaly. «Il futuro del
vino italiano è online» ha dichiarato il miliardario cinese, e
forse è il caso di starlo a sentire: su Alibaba un’azienda
canadese è riuscita a vendere, in un solo giorno, 90 mila
pregiatissime aragoste della Nuova Scozia. WineOwine è un’azienda
che a Jack Ma forse piacerebbe. Questo e-commerce di “grandi vini
di piccole cantine” ha sede a Roma e dà lavoro a 15 persone. A
fondarla, due giovani abruzzesi con una passione per il buon vino.
«L’idea di wineOwine nasce nel 2012, durante una cena tra amici»,
racconta il giovane Federico De Cerchio, ad della startup e figlio
d’arte, dato che la sua famiglia produce vino dal 1961. «A quella
cena avevo portato delle eccellenti bottiglie di una piccola cantina
del Chianti Classico, e tale era la qualità del prodotto che tutti
mi chiedevano dove comprarle. Cosa non facile, l’unico modo per
acquistarle era visitare la cantina del produttore, a 500 chilometri
da casa nostra. Da qui l’idea di wineOwine».
De Cerchio non svela il
fatturato, però ammette che la startup va molto bene: più di 50
mila le bottiglie vendute sinora. Con il cofondatore Eros Durante,
l’imprenditore 28enne seleziona e propone sul sito vini di cantine
artigianali di tutta Italia, difficili da trovare in una comune
enoteca (o al supermercato). «Lavoriamo con i piccoli produttori
perché i consumatori amano le piccole cantine, e perché i piccoli e
piccolissimi produttori stanno soffrendo dal punto di vista
economico, non avendo modo di accedere ai tipici canali di
distribuzione, a cominciare da enoteche e supermercati», spiega. Nel
caso di wineOwine, il detto della Silicon Valley “no internet no
business” è vero al 100%.
Ma la Rete è importante
per un crescente numero di artigiani del cibo e Pmi agroalimentari.
«Il web è un ottimo strumento per valorizzare l’anima di un
prodotto. È possibile raccontare la sua storia ma, soprattutto, il
processo all’origine della sua qualità», dice a pagina99
l’economista Stefano Micelli, teorico degli artigiani digitali
nonché autore del saggio Fare è innovare (il Mulino, pp. 132, 11
euro). «Molte startup che oggi operano nel commercio elettronico del
cibo dedicano spazi e contenuti a una nuova cultura del consumo,
promuovendo il valore della varietà».
Secondo Micelli nel
settore agroalimentare uno dei casi più interessanti è legato al
mondo della birra. «La birra artigianale rappresenta uno dei terreni
di sperimentazione su cui si sono cimentati in tutto il mondo
artigiani capaci di creare sapori totalmente originali. Alcune volte,
per esempio con la birra Baladin, queste proposte sono state in grado
di imporsi al pubblico promuovendo una competizione virtuosa con i
grandi marchi dell’industria internazionale».
In effetti il birrificio
Baladin, fondato dall’imprenditore delle Langhe Teo Musso, è un
ottimo esempio di azienda che, partendo dalla riscoperta di saperi e
tecniche tradizionali, è riuscita a fatturare milioni. Le birre
artigianali (cioè non pastorizzate) della Baladin sono prodotte con
ingredienti italiani, spesso a chilometro zero, e stupiscono
l’intenditore per l’ampio spettro di gusti e sentori. La
distribuzione tuttavia avviene anche online, il packaging è
controcorrente (bottiglie anziché fusti, come per il vino), i social
media sono ben presidiati e l’attenzione alla comunicazione è
molto alta.
Talvolta l’innovazione
non è nella distribuzione ma nella conservazione. In Trentino, e per
la precisione a Tuenetto di Taio, in Val di Non, il consorzio Melinda
conserva 10 mila tonnellate di mele sottoterra, in celle ipogee
scavate nella roccia. Come spiega a pagina99 Franco Paoli,
responsabile della logistica della Melinda, è un progetto unico al
mondo che non solo aiuta a conservare meglio il prodotto, ma riduce
l’impronta ambientale del processo di stoccaggio e non consuma
suolo (il che, in una provincia piccola e variegata come il Trentino,
è una risorsa preziosa).
L’attenzione per
l’ambiente in chiave tech non si trova solo nell’estremo nord
est. Cortilia è una startup di Milano che fattura due milioni di
euro e opera in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Si tratta,
secondo il fondatore Marco Porcaro, del «primo mercato agricolo
online che mette in contatto consumatori e agricoltori locali, per
fare la spesa come in campagna». Cortilia consegna a domicilio
frutta e verdura di stagione, ma pure pane, salumi, marmellate,
formaggi, vini e così via. Per farlo si basa su una rete di circa 50
produttori, incluse eccellenze come il caseificio modenese Santa
Rita, «unici produttori al mondo di parmigiano bio di vacca bianca
presidio Slow Food».
Cortilia punta su
concetti che sembrano tratti da un saggio di Michael Pollan, l’autore
del best-seller Il dilemma dell’onnivoro (Adelphi, pp. 487,
euro 30): consapevolezza alimentare e ambientale, autenticità dei
sapori, filiera corta... Sul sito della startup si possono comprare
verze, asparagi e confettura da una fattoria di San Possidonio
(Modena), torrone friabile da un’azienda di Crema, yogurt e
caciotte da una cascina nel milanese. Porcaro, del resto, è una
sorta di anello di congiunzione tra due mondi diversi. «Sono legato
alla tradizione contadina dei miei nonni, che mi hanno insegnato ad
apprezzare i cibi veri; dall’altro il mio background professionale
è legato al settore delle nuove tecnologie».
Un’altra startup interessante, ma ancora ai primi passi, è Bjull. A fondarla, Sally Semeria e il marito Francesco, entrambi liguri residenti a Milano. Veterana della scena startup italiana, convinta sostenitrice della sharing economy, Semeria spiega che Bjull è una bacheca «grazie alla quale i piccoli agricoltori e gli hobby farmers possono condividere le loro eccedenze con chi vuole mangiare prodotti a centimetro zero». È «nata di fronte a un minestrone, dal desiderio mio e di Francesco di ritrovare a Milano i sapori della campagna, ma ci hanno ispirato anche gli agricoltori della California, che vendono in fattoria il cesto di legna già tagliata o la cassetta di verdura bio». E in effetti sembra che, almeno nell’agroalimentare, la Silicon Valley e l’Italia non siano poi così distanti.
"Pagina 99", 23 aprile 2016
Un’altra startup interessante, ma ancora ai primi passi, è Bjull. A fondarla, Sally Semeria e il marito Francesco, entrambi liguri residenti a Milano. Veterana della scena startup italiana, convinta sostenitrice della sharing economy, Semeria spiega che Bjull è una bacheca «grazie alla quale i piccoli agricoltori e gli hobby farmers possono condividere le loro eccedenze con chi vuole mangiare prodotti a centimetro zero». È «nata di fronte a un minestrone, dal desiderio mio e di Francesco di ritrovare a Milano i sapori della campagna, ma ci hanno ispirato anche gli agricoltori della California, che vendono in fattoria il cesto di legna già tagliata o la cassetta di verdura bio». E in effetti sembra che, almeno nell’agroalimentare, la Silicon Valley e l’Italia non siano poi così distanti.
"Pagina 99", 23 aprile 2016
Nessun commento:
Posta un commento