Ricercatori del MESM nel 1951 |
Se le cose fossero andate
diversamente, forse oggi il mondo della tecnologia non parlerebbe
inglese ma russo. Bill Gates si sarebbe specializzato all’Istituto
di Cibernetica di Kiev, e Steve Jobs avrebbe sognato di iscriversi a
un campus universitario in Siberia. Alla fine degli anni ’60 la
misconosciuta scienza informatica sovietica sembrò sul punto di
rivoluzionare non solo l’apparato tecnologico russo, ma persino i
meccanismi dell’economia pianificata.
Dopo la Seconda guerra
mondiale l’Unione Sovietica aveva conquistato non solo un impero,
ma una posizione molto avanzata a livello scientifico e tecnologico.
Il Paese era da ricostruire, ma nel 1949 esplodeva la bomba atomica
sovietica, e l’anno dopo, alla periferia di Kiev, iniziava a
funzionare il primo calcolatore elettronico dell’Europa
continentale: il Mesm. Come i celebri cervelloni americani, anche il
Mesm era un colosso di 6 mila valvole lungo otto-dieci metri e alto
due. Responsabile del progetto era Sergei Alekseevich Lebedev,
ingegnere visionario convito che i computer sarebbero presto
diventati «importanti quanto l’energia nucleare».
Al regime stalinista i
calcolatori elettronici non piacevano. La logica era appannaggio dei
lavoratori umani, non delle macchine, e non si poteva asservire il
proletariato a quella che era, in sintesi, una perversione
tecnologica borghese. La morte di Stalin, e l’arrivo al potere del
tecno-entusiasta Nikita Chruscev, spalancò la strada allo sviluppo
della scienza informatica sovietica. Il Mesm divenne presto una star:
risolveva problemi sulla progettazione della bomba all’idrogeno, il
lancio di missili e le orbite dei satelliti.
Dopo il Mesm Lebedev si
trasferì a Mosca, dedicandosi ai Besm, computer mainframe che
negli anni seguenti avrebbero contribuito in maniera decisiva alla
conquista dello spazio (nel 1975, in occasione del progetto di
cooperazione americano-sovietica Apollo-Soyuz, il Besm 6 batté in
velocità i computer statunitensi). Furono anni di grande eccitazione
per gli informatici sovietici. Gli americani rimasero stupefatti dai
progressi russi, e al presidente John F. Kennedy arrivarono
preoccupatissimi memorandum sull’«assoluto impegno sovietico nella
scienza cibernetica».
Fu in quegli anni, come
racconta magnificamente Francis Spufford nel suo saggio-romanzo
L’ultima favola russa (484 pagine, Bollati Boringhieri), che
si valutò sul serio l’ipotesi di migliorare con i computer il
sistema dei prezzi dell’economia centralizzata sovietica. In fondo
era stato Chruscev in persona a invocare un maggior ruolo della
cibernetica nella produzione industriale, nella gestione
dell’economia e nell’amministrazione dello Stato.
Alcuni scienziati della
gloriosa Armata Rossa arrivarono persino a proporre la creazione di
una rete cibernetica per lo scambio di informazioni. Un network
accessibile non solo ai militari, ma anche ai civili.
Uno dei paladini delle
riforme cibernetiche era il pioniere Victor Glushkov. Grazie a lui e
ai suoi allievi, nella seconda metà degli anni Sessanta fecero la
loro apparizione i Mir. Si trattava dei primi personal computer
sovietici, così avanzati da far dire al grande informatico Andrey
Petrovych Ershov che se Glushkov avesse continuato a progettarli,
l’Urss si sarebbe ritrovata con i migliori pc al mondo.
Nel 1969 il Cremlino
commise però uno dei maggiori errori della storia della tecnologia
sovietica. Ordinò l’alt alla scienza informatica, colpevole di
troppa autonomia e ambiguità ideologica. Del resto Chruscev era
stato deposto cinque anni prima, e la nuova nomenklatura aveva
obiettivi più concreti da perseguire. Una volta tanto, bisognava
guardare agli Stati Uniti, e per la precisione alla tecnologia Ibm.
Copiare il Big Blue fece
perdere anni preziosi agli informatici sovietici. Che, nell’affannoso
tentativo di imitare gli americani, persero sul serio il treno
dell’innovazione. Alla fine degli anni Ottanta l’informatica
sovietica era la pallida ombra di se stessa. Certo, il nuovo signore
del Cremlino, Michail Gorbacev, caldeggiava ogni tipo di innovazione
tecnologica. Il tempo a disposizione però era scaduto. Oggi quel che
resta del grande sogno informatico sovietico è Tetris. Videogame
inventato nel 1984 da un ricercatore russo, Alexey Pazitnov, che
amava il tennis e i rompicapo.
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maggio 2016
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