Sul settimanale della
Federazione Anarchica Italiana, fondato nel 1920 da Errico Malatesta,
c'è questo articolo redazionale. Si può non essere d'accordo (e io
non lo sono) su tutto il ragionamento politico, ma l'allarme su un
nuovo tipo di corruzione, strutturale, mi pare più che fondato.
(S.L.L.)
Le celebrazioni che hanno
seguito la morte di Marco Pannella hanno manifestato la stessa enfasi
artificiosa e pretestuosa che aveva accompagnato gli ultimi trenta
anni di carriera politica del personaggio, anni contrassegnati
da una sostanziale irrilevanza.
Il presunto partito
delle “battaglie civili”, il Partito Radicale
di Pannella e Bonino, si era ridotto da tempo ad una piccola
lobby delle biotecnologie. Mentre si avvantaggiava di una
attenzione mediatica assolutamente sproporzionata, Pannella ha
anche potuto continuare a recitare la parte della vittima, ma,
appunto, solo perché i media stavano al gioco delle parti.
C’è stato però un momento storico in cui Pannella ha
effettivamente occupato il centro della scena politica, ed è
stato tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli
anni ’80, quando il Partito Radicale conduceva una
instancabile campagna di provocazione “da sinistra” nei
confronti del Partito Comunista. Il gruppo dirigente
berlingueriano, ovviamente, si dimostrò incapace di
reagire efficacemente a quella provocazione, anzi, recitò
la parte del bersaglio fisso. L’arroganza dei dirigenti del
PCI mascherava il loro dilettantismo politico, la loro
rappresentazione puerile del mondo; una rappresentazione
giocata attorno a luoghi comuni come legalità e illegalità,
onestà e disonestà, al punto di avanzare la ridicola
proposta politica del “governo degli onesti”.
A distanza di quaranta
anni, il dibattito politico interno non si è schiodato da
quelle false alternative. Le vicissitudini giudiziarie che
hanno investito il governo Renzi hanno suscitato infatti reazioni che
riproducono quegli stessi schemi, andando quindi a colpire
aspetti marginali, come le compromissioni familiari delle
ministre Boschi e Guidi, ed anche dello stesso Renzi.
In effetti è difficile
pensare che Renzi abbia costruito la sua carriera politica su un
modello corruttivo così passatista ed antidiluviano, lui che è
così moderno. Il suo taglio politico ricorda infatti quello
di un altro leader della “sinistra”, cioè
il primo ministro laburista Tony Blair.
Il modello-Blair è
quello di una falsa immagine di dinamismo giovanilistico, che
usa però la politica come fase di mero passaggio e lancio verso ben
altre fortune, ovvero carriere nelle multinazionali
(magari, nel caso di Renzi, la Apple, tanto per
tirare a indovinare) o in fondazioni ad esse legate. Non
a caso Renzi disegna per se stesso una carriera politica a termine:
dopo aver fatto tutti i favori possibili al sistema degli affari
multinazionali e dopo aver scardinato ogni equilibrio istituzionale,
la prospettiva è di andare a raccogliere il premio accedendo ai
veri guadagni. Il bello è che questo sistema di “porte
girevoli” tra pubblico e privato non ha nulla di illegale.
Magari è destabilizzante, eversivo, ma non è
considerato illegale, a meno di non voler arrivare direttamente
all’accusa di alto tradimento: un’accusa troppo stentorea
per il nostro sistema giudiziario, abituato a perseguire la
corruzione di piccolo cabotaggio. Non che manchino le rare
eccezioni, come la procura di Trani che persegue le agenzie di
rating, ma si tratta appunto di eccezioni isolate.
In Italia si sono già
verificati altri esempi di “porte girevoli”, ad
esempio Giuliano Amato, il quale, poco dopo la caduta
dell’ultimo governo Prodi, in cui era ministro degli
Interni, è andato a svolgere consulenze per Deutsche Bank.
Oggi Amato è tornato nelle istituzioni in veste di giudice
costituzionale e, alla fine del mandato, lo aspetta
qualche altro ruolo prestigioso e super-pagato in potentati privati
sovranazionali. La “porta girevole” è un
modello corruttivo tagliato sulle esigenze dei super-ricchi, cioè
delle multinazionali, che sono le sole a poterselo permettere e
ad essere materialmente in grado di gestirlo, perciò tale
corruzione sfugge al giudizio umano; anzi, non viene
neppure percepita dall’opinione pubblica. Il denaro, se
è tanto, ridisegna i confini della morale pubblica in base ai
propri comodi. La ricchezza può non bastare ma esiste una
soglia di ricchezza, superata la quale, si accede
automaticamente ad un potere auto-assolutorio.
L’attuale “partito
degli onesti”, il Movimento 5 Stelle,
si attarda nella denuncia delle forme primitive, tradizionali
e povere di corruzione e non appare molto attrezzato nei confronti
delle forme più moderne e facoltose. Le cose stanno anche
peggio, se si considera che lo stesso M5S è nato su un
conflitto di interessi legato alla figura di Gianroberto Casaleggio
buonanima, il manager di un’azienda di servizi di
consulenza di marketing digitale, ovvero la rete al servizio
degli affari. Quando Casaleggio ha potuto presentare la
formazione M5S come un proprio prodotto, ha contestualmente
fatto pubblicità ai servizi della propria azienda, facendo
credere che questa potesse inventare un mercato (in questo caso
un mercato di suggestioni elettorali) praticamente dal nulla.
Realisticamente non si può pensare che il grillismo politico sia stato interamente un effetto delle mirabolanti arti digitali di Casaleggio: ci sono stati, e ci sono tuttora, sicuramente altri “aiuti”, proprio perché il grillismo politico attuale tradisce e sovverte il messaggio del Grillo di dieci anni fa, quello che ci avvertiva che il vero potere andava stanato nel colonialismo delle multinazionali. Chi punta tutta l’attenzione sulla corruzione delle mazzette, come il Movimento 5 Stelle, finisce per rivolgere la polemica verso i “vizi nazionali” in nome del consueto autorazzismo.
Realisticamente non si può pensare che il grillismo politico sia stato interamente un effetto delle mirabolanti arti digitali di Casaleggio: ci sono stati, e ci sono tuttora, sicuramente altri “aiuti”, proprio perché il grillismo politico attuale tradisce e sovverte il messaggio del Grillo di dieci anni fa, quello che ci avvertiva che il vero potere andava stanato nel colonialismo delle multinazionali. Chi punta tutta l’attenzione sulla corruzione delle mazzette, come il Movimento 5 Stelle, finisce per rivolgere la polemica verso i “vizi nazionali” in nome del consueto autorazzismo.
Umanità Nova, 26 giugno 2016
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