22.6.16

L'Orlando noioso. Ariosto a scuola trent'anni fa (Guido Almansi)

Ludovico Ariosto nel ritratto di Tiziano
La letteratura italiana del passato si divide in due parti: i classici che si leggono a scuola e i libri che si leggono nella vita. La prima parte, molto ampia, avvince a sé milioni di lettori coatti, disgustando della pratica letteraria la maggior parte degli italiani per il resto della loro esistenza. La seconda parte è costituita dai libri di autori dei secoli scorsi che si leggono nella vita; pochi: degli ultimi centocinquant'anni o poco più, quasi sempre gli stessi; preselezionati da un inconscio collettivo che determina la fortuna di certi testi. Gli altri grandi scrittori italiani, associati fatalmente alla noia scolastica, sono letteratura morta. E forse la perdita più dolorosa, perché più legata sia ai piaceri dell'intelligenza che ai diletti della lettura di intrattenimento, è la morte, incondizionata, del grande poema di Ariosto, l'Orlando Furioso. Forse ci sono opere, nella letteratura mondiale, divertenti quanto il Furioso, che possono offrire in ugual misura il piacere della lettura e la gioia dell'intelletto; ma io non le conosco. L'Orlando Furioso rimane per me il libro supremo, se ciò che conta è il piacere del testo. Inoltre il Furioso è un libro per tutti: per vecchi ipocondriaci e per ragazzini, per lettori di Shakespeare e per cultori di westerns; per pozzi di scienza e per mostri di ignoranza; per lettrici di “Harmony” e per studiosi di Heidegger; per tifosi di calcio e per spiritualisti. Ce n'è per tutti, e la lingua del poema è accessibile anche a lettori di scarsa cultura, purché facciano lo sforzo di superare le prime centinaia di versi per abituarsi al dettato ariostesco.
Ebbene, confessiamo la verità: quanti fra noi hanno mai incontrato un solo lettore, dico un solo lettore, che non fosse un professionista delle lettere, il quale stesse leggendo l'Orlando Furioso per suo divertimento, così come si legge un romanzo, si vede un film, si ascolta un'opera lirica? Quale genio malefico è riuscito a rendere la lettura obbligata di alcuni canti del Furioso, durante gli anni dal liceo, così spiacevole, che poi nessuno si riproverà mai a prendere in mano quel libro?
È questo il periodo in cui gli insegnanti delle scuole secondarie adottano i libri di testo per il prossimo anno scolastico. Perciò ho voluto consultare le antologie più diffuse nei licei per controllare le origini del malessere ariostesco e per vedere che cosa c'è di nuovo. Esiste un rapporto fra il modo in cui il Furioso è presentato ai ragazzi di sedici-diciassette anni e il crollo della reputazione di questo poema nella coscienza nazionale? I risultati, come ci si poteva aspettare, non sono affatto chiari. Una cosa, però, mi sembra evidente: le storie della letteratura e le antologie si basano ancora sul principio del tout se tient. In un momento culturale in cui il concetto di materia, cioè del tessuto connettivo dell' universo, non si tiene più insieme, ma si sfalda in campi di forze, onde, vettori, flussi magnetici, il concetto di materia scolastica, specie nell' ambito letterario, rimane saldissimo. E all'interno di questo campo di studi ogni cosa viene messa in relazione con ogni altra, per cui non esiste opera eccentrica o inattesa, perché anche l'imprevisto diventa previsto in quel senno di poi che è la mente dell'antologista. Non solo la letteratura e l'arte dipendono dal prezzo dei barili di petrolio, secondo un ben noto modello di comprensione tuttologica del mondo, ma ogni manifestazione culturale (in pittura, nel teatro, nel cinema, nella musica) è collegata a tutte le altre manifestazioni, in una ideale armonia della cultura tutta e in una galassia di significati incrociati.
Questi eccellenti antologisti non hanno mai dubbi. Nella sua Letteratura degli italiani. Storia e antologia (editore Palumbo), Giuseppe Petronio passa in rassegna la varia documentazione delle lettere come un generale che ispeziona le truppe. A volte si sofferma per indicare un bottone pendulo o un lustrino poco fiammante, e suggerisce un modello di comportamento; ma nel complesso sembra soddisfatto dei suoi reggimenti in ordine di parata. Non c'è mai sorpresa, mai sgomento; tutto si intreccia all'interno di un modello preordinato. Ariosto, per esempio, rappresenta la civiltà letteraria del suo tempo emblematicamente; con questo avverbio magico il problema è risolto, e Petronio può avanzare verso il prossimo manipolo.
Una delle antologie più popolari è quella dell' editore Zanichelli (Mario Pazzaglia, Letteratura italiana. Testi e critica), la quale, volendo difendere ogni episodio del poema ariostesco, finisce per condannarlo. Tutti coloro che si sono accinti a leggere il Furioso dalla prima all'ultima pagina (compito malagevole, e forse non consigliabile: il poema dovrebbe essere soprattutto un luogo di ritrovo, un pretesto per percorsi curiosi, non una scarpinata senza fine), trovano alcune difficoltà nel Canto terzo, che narra la discendenza di Ruggiero e Bradamante fino a Ippolito e Alfonso d' Este; ma il motivo encomiastico non turba la validità poetica di questa storia, scrive Pazzaglia. Beh, la turba, sì, e come; ma un grande poema è fatto anche di parti noiose, e non è certo esaltandole che si incoraggiano i ragazzi a leggerlo. D'altronde, che cosa possono imparare gli scolari da frasi come la vita colta è rappresentata nella sua inesauribile complessità o creazione che riflette tutta la realtà nella sua vicenda cangiante e inesauribile (l'aggettivo favorito) come la natura che crea sempre nuove forme e le compone in un'immagine di cosmica bellezza. Ma c' è da meravigliarsi, poi, se i ragazzi preferiscono all'Ariosto le canzoni di Sting?
Pazzaglia descrive quella grande follia che è la follia di Orlando come una lenta ma implacabile progressione psicologica: c'è da trasecolare, Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser (Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all' analisi testuale, Principato), trovano invece che è il comportamento di Angelica, la quale si innamora di un semplice soldato invece che del grande paladino, ad essere paradossale, assurdo, contrario ad ogni logica. E perché mai? E' ovvio fin dall' inizio che Orlando non ci sa fare, e che Angelica preferirà il bel garzone, giovane, vivace, e senza il peso della difesa della Cristianità che gli grava addosso.
A loro volta, Riccardo Marchese e Andrea Grillini (Scrittori e opere. Storia e antologia, La Nuova Italia), esaltano il continuo fervore di studi ariosteschi, ma contribuiscono alla noia generale con delle belle coordinate culturali, delle placide suddivisioni fra vita e opere, struttura e tematiche, un commento pedestre che smorzerebbe l' entusiasmo del più acceso lettore di poesia. Non abbiamo trovato in nessuna di queste antologie uno sforzo per convincere lo scolaro che leggere Ariosto non è solo altamente culturale ma è anche fun, spasso, divertimento, allegria.
Forse l'antologia più colpevole di quell' imperialismo culturale per cui tutto lo scibile deve essere abbracciato e messo a confronto in una antologia letteraria, è Il materiale e l'immaginario di Remo Ceserani e Lidia De Federicis. Devo confessare una certa ostilità verso questa impresa, specialmente nei volumi sul Novecento, dove si cerca di far quadrare il cerchio, di far funzionare tutto (le istituzioni, le poesie, i film, i movimenti migratori, il monologo interiore e la stampa popolare, il cubismo e il meridionalismo, la nuova oggettività e la Carta Atlantica). Pure, basta consultare la sezione su Ariosto per rendersi conto che qui il livello culturale è ben più alto delle altre antologie. Il difficilissimo discorso sul Furioso è condotto con suggerimenti che provocano l'intelligenza e ti costringono a pensare: per esempio, l'inchiesta come motivo dinamico dell'azione; lo statuto ambiguo del personaggio (altro che il realismo delle reazioni psicologiche di Orlando, secondo Pazzaglia); l'importanza del tema del tradimento (forse l'idea più interessante di tutta la parte sull'Ariosto). Sono linee speculative stimolanti per lo scolaro, anche se il tono generale dell'antologia è sempre eccessivamente serioso. Inoltre la panoramica bibliografica di Ceserani e De Federicis, e le letture parallele suggerite dall' antologia, sono molto più ricche e meno provinciali di quelle delle altre compilazioni, che citano i consueti Lanfranco Caretti, Walter Binni ed Emilio Bigi. Il materiale e l' immaginario va a ripescare la bellissima lettura del primo canto del Furioso fatta dallo studioso americano D.S. Carne-Ross, e suggerisce di leggere Luigi da Porto o Guicciardini nell'analisi della polemica ariostesca contro le armi da fuoco. Forse questa antologia è fondamentalmente elitaria, perché richiede ottimi insegnanti e studenti vivaci e interessati; ma almeno, un discorso sul Furioso viene portato avanti senza eccessivo sussiego, mentre gli altri libri di testo non fanno che affossare il poema, contribuendo a mantenerlo illeggibile anche se nobilmente armonico, psicologicamente variegato, emblematicamente significativo.
Certo, è facile criticare le antologie: più difficile fare delle proposte alternative. Il compito di fare da mallevadore fra la poesia da una parte e la curiosità e gli interessi degli adolescenti dall' altra, è tremendo. Azzarderò comunque qualche suggerimento. Io credo che bisognerebbe abolire gli esclamativi e moltiplicare gli interrogativi, sia nel senso letterale della punteggiatura, sia in senso metaforico. Basta con l'enfasi, a morte il sussiego, al bando la solennità e la pomposità. E invece avanti con i dubbi, le interrogazioni, le incertezze, e magari anche le domande senza risposta. E ancora: perché non eliminare gli aggettivi che tendono troppo verso l'alto (sublime) o troppo verso il basso (profondo)? Parafrasando un paradosso alla moda, si potrà dire che in questo campo l'intelligenza deve essere superficiale: è la stupidità che va a fondo. Non c'è modo di convincere lo studente che la lettura di “così la neve al sol so dissiggilla”, o di “nullo martìro fuor che la tua rabbia” con quel che segue, è un'esperienza sublime e profonda. Bisogna, invece, adoperare una segnaletica di superficie, indirizzando i giovani lettori a quei versi senza spiegare troppo, fidando nella poesia che potrebbe far scattare la scintilla della comprensione. In altre parole, l'antologista non deve prendersi troppo sul serio. Un ultimo punto: non bisogna staccare gli ormeggi dall'elemento ludico della letteratura; e qui ci soccorre la Vita di Maria Wuz di Jean Paul, appena pubblicata dalla Tea (pagg. 78, lire 7.000), dove trovo la frase seguente: “L'insegnamento del nostro Wuz... aveva in sé qualcosa di infantile che ricordava il gioco; non però nella pena, ma nella gioia”.


“la Repubblica”, 23 aprile 1988  

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