Ludovico Ariosto nel ritratto di Tiziano |
La
letteratura italiana del passato si divide in due parti: i classici
che si leggono a scuola e i libri che si leggono nella vita. La prima
parte, molto ampia, avvince a sé milioni di lettori coatti,
disgustando della pratica letteraria la maggior parte degli italiani
per il resto della loro esistenza. La seconda parte è costituita dai
libri di autori dei secoli scorsi che si leggono nella vita; pochi:
degli ultimi centocinquant'anni o poco più, quasi sempre gli stessi;
preselezionati da un inconscio collettivo che determina la fortuna di
certi testi. Gli altri grandi scrittori italiani, associati
fatalmente alla noia scolastica, sono letteratura morta. E forse la
perdita più dolorosa, perché più legata sia ai piaceri
dell'intelligenza che ai diletti della lettura di intrattenimento, è
la morte, incondizionata, del grande poema di Ariosto, l'Orlando
Furioso. Forse ci sono opere, nella letteratura mondiale,
divertenti quanto il Furioso, che possono offrire in ugual misura il
piacere della lettura e la gioia dell'intelletto; ma io non le
conosco. L'Orlando Furioso rimane per me il libro supremo, se
ciò che conta è il piacere del testo. Inoltre il Furioso è
un libro per tutti: per vecchi ipocondriaci e per ragazzini, per
lettori di Shakespeare e per cultori di westerns; per pozzi di
scienza e per mostri di ignoranza; per lettrici di “Harmony” e
per studiosi di Heidegger; per tifosi di calcio e per spiritualisti.
Ce n'è per tutti, e la lingua del poema è accessibile anche a
lettori di scarsa cultura, purché facciano lo sforzo di superare le
prime centinaia di versi per abituarsi al dettato ariostesco.
Ebbene,
confessiamo la verità: quanti fra noi hanno mai incontrato un solo
lettore, dico un solo lettore, che non fosse un professionista delle
lettere, il quale stesse leggendo l'Orlando Furioso per suo
divertimento, così come si legge un romanzo, si vede un film, si
ascolta un'opera lirica? Quale genio malefico è riuscito a rendere
la lettura obbligata di alcuni canti del Furioso, durante gli
anni dal liceo, così spiacevole, che poi nessuno si riproverà mai a
prendere in mano quel libro?
È
questo il periodo in cui gli insegnanti delle scuole secondarie
adottano i libri di testo per il prossimo anno scolastico. Perciò ho
voluto consultare le antologie più diffuse nei licei per controllare
le origini del malessere ariostesco e per vedere che cosa c'è di
nuovo. Esiste un rapporto fra il modo in cui il Furioso è
presentato ai ragazzi di sedici-diciassette anni e il crollo della
reputazione di questo poema nella coscienza nazionale? I risultati,
come ci si poteva aspettare, non sono affatto chiari. Una cosa, però,
mi sembra evidente: le storie della letteratura e le antologie si
basano ancora sul principio del tout se tient. In un momento
culturale in cui il concetto di materia, cioè del tessuto connettivo
dell' universo, non si tiene più insieme, ma si sfalda in campi di
forze, onde, vettori, flussi magnetici, il concetto di materia
scolastica, specie nell' ambito letterario, rimane saldissimo. E
all'interno di questo campo di studi ogni cosa viene messa in
relazione con ogni altra, per cui non esiste opera eccentrica o
inattesa, perché anche l'imprevisto diventa previsto in quel senno
di poi che è la mente dell'antologista. Non solo la letteratura e
l'arte dipendono dal prezzo dei barili di petrolio, secondo un ben
noto modello di comprensione tuttologica del mondo, ma ogni
manifestazione culturale (in pittura, nel teatro, nel cinema, nella
musica) è collegata a tutte le altre manifestazioni, in una ideale
armonia della cultura tutta e in una galassia di significati
incrociati.
Questi
eccellenti antologisti non hanno mai dubbi. Nella sua Letteratura
degli italiani. Storia e antologia (editore Palumbo), Giuseppe
Petronio passa in rassegna la varia documentazione delle lettere come
un generale che ispeziona le truppe. A volte si sofferma per indicare
un bottone pendulo o un lustrino poco fiammante, e suggerisce un
modello di comportamento; ma nel complesso sembra soddisfatto dei
suoi reggimenti in ordine di parata. Non c'è mai sorpresa, mai
sgomento; tutto si intreccia all'interno di un modello preordinato.
Ariosto, per esempio, rappresenta la civiltà letteraria del suo
tempo emblematicamente; con questo avverbio magico il problema è
risolto, e Petronio può avanzare verso il prossimo manipolo.
Una
delle antologie più popolari è quella dell' editore Zanichelli
(Mario Pazzaglia, Letteratura italiana. Testi e critica), la
quale, volendo difendere ogni episodio del poema ariostesco, finisce
per condannarlo. Tutti coloro che si sono accinti a leggere il
Furioso dalla prima all'ultima pagina (compito malagevole, e forse
non consigliabile: il poema dovrebbe essere soprattutto un luogo di
ritrovo, un pretesto per percorsi curiosi, non una scarpinata senza
fine), trovano alcune difficoltà nel Canto terzo, che narra
la discendenza di Ruggiero e Bradamante fino a Ippolito e Alfonso d'
Este; ma il motivo encomiastico non turba la validità poetica di
questa storia, scrive Pazzaglia. Beh, la turba, sì, e come; ma un
grande poema è fatto anche di parti noiose, e non è certo
esaltandole che si incoraggiano i ragazzi a leggerlo. D'altronde, che
cosa possono imparare gli scolari da frasi come la vita colta è
rappresentata nella sua inesauribile complessità o creazione che
riflette tutta la realtà nella sua vicenda cangiante e inesauribile
(l'aggettivo favorito) come la natura che crea sempre nuove forme e
le compone in un'immagine di cosmica bellezza. Ma c' è da
meravigliarsi, poi, se i ragazzi preferiscono all'Ariosto le canzoni
di Sting?
Pazzaglia
descrive quella grande follia che è la follia di Orlando come una
lenta ma implacabile progressione psicologica: c'è da trasecolare,
Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser (Il sistema letterario.
Guida alla storia letteraria e all' analisi testuale,
Principato), trovano invece che è il comportamento di Angelica, la
quale si innamora di un semplice soldato invece che del grande
paladino, ad essere paradossale, assurdo, contrario ad ogni logica. E
perché mai? E' ovvio fin dall' inizio che Orlando non ci sa fare, e
che Angelica preferirà il bel garzone, giovane, vivace, e senza il
peso della difesa della Cristianità che gli grava addosso.
A
loro volta, Riccardo Marchese e Andrea Grillini (Scrittori e
opere. Storia e antologia, La Nuova Italia), esaltano il continuo
fervore di studi ariosteschi, ma contribuiscono alla noia generale
con delle belle coordinate culturali, delle placide suddivisioni fra
vita e opere, struttura e tematiche, un commento pedestre che
smorzerebbe l' entusiasmo del più acceso lettore di poesia. Non
abbiamo trovato in nessuna di queste antologie uno sforzo per
convincere lo scolaro che leggere Ariosto non è solo altamente
culturale ma è anche fun, spasso, divertimento, allegria.
Forse
l'antologia più colpevole di quell' imperialismo culturale per cui
tutto lo scibile deve essere abbracciato e messo a confronto in una
antologia letteraria, è Il materiale e l'immaginario di Remo
Ceserani e Lidia De Federicis. Devo confessare una certa ostilità
verso questa impresa, specialmente nei volumi sul Novecento, dove si
cerca di far quadrare il cerchio, di far funzionare tutto (le
istituzioni, le poesie, i film, i movimenti migratori, il monologo
interiore e la stampa popolare, il cubismo e il meridionalismo, la
nuova oggettività e la Carta Atlantica). Pure, basta consultare la
sezione su Ariosto per rendersi conto che qui il livello culturale è
ben più alto delle altre antologie. Il difficilissimo discorso sul
Furioso è condotto con suggerimenti che provocano
l'intelligenza e ti costringono a pensare: per esempio, l'inchiesta
come motivo dinamico dell'azione; lo statuto ambiguo del personaggio
(altro che il realismo delle reazioni psicologiche di Orlando,
secondo Pazzaglia); l'importanza del tema del tradimento (forse
l'idea più interessante di tutta la parte sull'Ariosto). Sono linee
speculative stimolanti per lo scolaro, anche se il tono generale
dell'antologia è sempre eccessivamente serioso. Inoltre la
panoramica bibliografica di Ceserani e De Federicis, e le letture
parallele suggerite dall' antologia, sono molto più ricche e meno
provinciali di quelle delle altre compilazioni, che citano i consueti
Lanfranco Caretti, Walter Binni ed Emilio Bigi. Il materiale e l'
immaginario va a ripescare la bellissima lettura del primo canto
del Furioso fatta dallo studioso americano D.S. Carne-Ross, e
suggerisce di leggere Luigi da Porto o Guicciardini nell'analisi
della polemica ariostesca contro le armi da fuoco. Forse questa
antologia è fondamentalmente elitaria, perché richiede ottimi
insegnanti e studenti vivaci e interessati; ma almeno, un discorso
sul Furioso viene portato avanti senza eccessivo sussiego,
mentre gli altri libri di testo non fanno che affossare il poema,
contribuendo a mantenerlo illeggibile anche se nobilmente armonico,
psicologicamente variegato, emblematicamente significativo.
Certo,
è facile criticare le antologie: più difficile fare delle proposte
alternative. Il compito di fare da mallevadore fra la poesia da una
parte e la curiosità e gli interessi degli adolescenti dall' altra,
è tremendo. Azzarderò comunque qualche suggerimento. Io credo che
bisognerebbe abolire gli esclamativi e moltiplicare gli
interrogativi, sia nel senso letterale della punteggiatura, sia in
senso metaforico. Basta con l'enfasi, a morte il sussiego, al bando
la solennità e la pomposità. E invece avanti con i dubbi, le
interrogazioni, le incertezze, e magari anche le domande senza
risposta. E ancora: perché non eliminare gli aggettivi che tendono
troppo verso l'alto (sublime) o troppo verso il basso (profondo)?
Parafrasando un paradosso alla moda, si potrà dire che in questo
campo l'intelligenza deve essere superficiale: è la stupidità che
va a fondo. Non c'è modo di convincere lo studente che la lettura di
“così la neve al sol so dissiggilla”, o di “nullo martìro
fuor che la tua rabbia” con quel che segue, è un'esperienza
sublime e profonda. Bisogna, invece, adoperare una segnaletica di
superficie, indirizzando i giovani lettori a quei versi senza
spiegare troppo, fidando nella poesia che potrebbe far scattare la
scintilla della comprensione. In altre parole, l'antologista non deve
prendersi troppo sul serio. Un ultimo punto: non bisogna staccare gli
ormeggi dall'elemento ludico della letteratura; e qui ci soccorre la
Vita di Maria Wuz di Jean Paul, appena pubblicata dalla Tea
(pagg. 78, lire 7.000), dove trovo la frase seguente: “L'insegnamento
del nostro Wuz... aveva in sé qualcosa di infantile che ricordava il
gioco; non però nella pena, ma nella gioia”.
“la
Repubblica”, 23 aprile 1988
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