LOS ANGELES - Gli amanti
della marijuana negli Stati Uniti si preparano a passare un lieto 20
aprile. Il giorno è divenuto la data-simbolo, per quanto informale,
della canapa indiana. Secondo l’usanza americana la data viene
scritta con il mese prima del giorno, ovvero 4/20. E le cifre
ricordano un orario caro ai fumatori degli States, le quattro e venti
del pomeriggio: il momento in cui, negli anni ’70 , un gruppo di
consumatori californiani si ritrovava ogni giorno per rivendicare il
diritto a fumare. Non a caso la proposta di legge per la
legalizzazione totale in California, ora al vaglio dei deputati,
porta il numero 420.
Negli Usa sono ormai 23
gli Stati che hanno acconsentito alla vendita della sostanza in
maniera legale. In cinque (Alaska, Colorado, Washington, Oregon e
Washington D.C.) la canapa è concessa anche per uso ricreativo:
questo vuol dire che chiunque può acquistarne una piccola quantità,
purché sia maggiorenne e abbia un documento di identità valido.
Negli altri 19, che vanno
dal piccolo Rhode Island fino alla California, fumare è consentito
solo a chi ha una prescrizione medica scritta da un dottore
riconosciuto dallo Stato. «Abbiamo clienti di tutti i tipi, uomini e
donne», spiega Amy del rivenditore Zen Healing di Los Angeles. «Il
nostro negozio è come un club privato, dove ognuno deve farsi
registrare. Basta la tessera medica rilasciata da un dottore».
Ottenere questa medical
card in California è abbastanza facile. È risaputo che basta
recarsi da dottori non troppo severi, adducendo problemi come mal di
schiena o insonnia, per avere in mano dopo pochi minuti l’ambito
pezzo di carta. Foglio alla mano, si può andare in uno dei numerosi
negozi che vendono il prodotto e fare compere. Dall’erba sfusa fino
ai biscotti ripieni, passando per gli spinelli già preparati o i
vaporizzatori, si può acquistare ciò che si desidera, rispettando
sempre il massimo consentito dalla legge dello Stato. Dopodiché si è
liberi di accendersi una canna di fronte a un poliziotto senza nulla
temere. Ed è proprio questo che molti americani faranno il 20
aprile, quando le manifestazioni per festeggiare il 4/20 si
svolgeranno all’aperto in molte città. «Dobbiamo rispettare
alcune regole ben precise», continua Amy. «Non possiamo fare
pubblicità, non possiamo avere il negozio a meno di mille metri da
una scuola e dobbiamo restare no profit».
I rivenditori autorizzati
sono quindi una sorta di organizzazione privata, e la vendita di
marijuana non dovrebbe costituire fonte di guadagno diretta:
il costo dell’erba venduta ai membri, ovvero ai clienti del
negozio, rientra nella categoria donazioni. Un escamotage con cui la
California sembra essersi messa a posto la coscienza senza rinunciare
al profitto.
I benefici economici
della legalizzazione sono consistenti. A Denver, capitale del
Colorado, sono arrivati circa 70 milioni di dollari in tasse sui
profitti del commercio di marijuana: una somma maggiore di quanto
incassato dalla vendita di alcol. Si stima che se tutti e 50 gli
Stati approvassero la legge per la vendita, i forzieri pubblici
potrebbero incassare fino a 35 miliardi di dollari.
A giovarsene non è solo
il governo: anche coltivatori e rivenditori hanno trovato un nuovo
prodotto da mettere sul mercato. «Abbiamo potuto lanciare la nostra
app per smartphone grazie alla crescente richiesta di cannabis»,
racconta a pagina99 A.J. Gentile, che ha creato Speed Weed per la
consegna a casa di marijuana. «Contiamo più di 20 mila clienti. È
una sana abitudine che hanno in molti, inutile far finta che non
esista». Ad avvantaggiarsene è anche il turismo, che in Stati come
il Colorado è aumentato del 10% grazie ai cosiddetti tour della
ganja.
Il business è entrato
nei radar delle grandi multinazionali. Negli anni ’90 la Philip
Morris ha condotto degli esperimenti sulla marijuana per conto del
governo americano, che voleva studiarne gli effetti, e ora sarebbe
pronta per la produzione di massa. «Come si sono fiondati sul
mercato delle sigarette elettroniche dopo il loro successo, così
faranno con la canapa», sostiene Stanton Glantz del Centro studi sul
tabacco dell’Università di San Francisco. «Hanno tutti i mezzi
per coltivare erba su larga scala. Per ora stanno monitorando la
situazione, i loro azionisti non vogliono perdere un business che si
sta rivelando così fruttuoso». Una prospettiva che non entusiasma
Amy: «Abbiamo il nostro campo per coltivare l’erba, e poi la
compriamo dai nostri stessi clienti. Per ora va bene così, le
multinazionali potrebbero rovinare tutto».
Soprattutto per i
guadagni in ballo, in California si spinge affinché la
legalizzazione diventi completa, e anche i deputati più conservatori
stanno cominciando a mettere in dubbio la propria opposizione. Grazie
alla vendita a scopi medici, nelle casse dello Stato sono entrati tre
miliardi di dollari nel solo 2015, che potrebbero diventare sette con
la liberalizzazione completa. Soldi che in precedenza andavano nelle
tasche dei cartelli criminali dietro il traffico d’erba.
Il problema della
legalità si fa sentire inoltre per i numerosi cittadini in prigione
per reati minori legati allo spaccio. «Bisogna distinguere fra
depenalizzazione e incoraggiamento all’uso», ha detto di recente
il presidente Obama, «però mantenere nelle carceri chi ha commesso
reati non violenti per motivi che non sono illegali altrove è un
enorme costo per lo Stato».
Affari a parte, sono in
molti a volere la regolarizzazione della canapa, anche tra i
professionisti del settore sanitario. «La marijuana ha un potere
anti-infiammatorio molto elevato», racconta Rachna Patel, dottoressa
abilitata a prescrivere l’acquisto di erba a scopo medicinale in
California. «Ho clienti di ogni età e mestiere che, grazie agli
effetti anti-dolorifici della cannabis, sono riusciti a non
utilizzare più i prodotti da farmacia. È provato che con questa
pianta si possono curare i dolori cronici, l’inappetenza e la
nausea. Nonché ottenere sollievo per chi soffre di malattie più
gravi grazie al Thc, il principio attivo della canapa in grado di
rilasciare endorfine».
Pagina 99, 6 aprile 2016
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