Riprendo
da “La Stampa”, la lucidissima paginetta che su Colpevole
di tutto, il romanzo
autobiografico di Herbert Huncke ha scritto William
S. Burroughs, ripresa nella edizione italiana finalmente pubblicata
da Endemunde. Il libro di cui si ragiona a me è parso un capolavoro.
Colpevole di tutto
si innesta nella tradizione picaresca del Satyricon e de Il
viaggiatore sfortunato di Thomas Nashe: una serie di avventure e
disavventure che capitano a un protagonista talmente immerso nelle
cose della vita da considerare irrilevante ogni preconcetto morale.
Lo stesso tipo di protagonista riappare nelle vesti dell’antieroe
esistenziale de Lo straniero di Camus: un essere umano
motivato dalla sopravvivenza in un ambiente alieno e spesso ostile.
In età molto precoce
Herbert Huncke fu privato di ogni supporto familiare e quindi esposto
a una dipendenza dalla droga durata tutta la vita. Qui il
protagonista, gettato in acqua, o annega o nuota. Così impara
qualcosa dell’acqua.
Alcuni elementari
meccanismi della vita affiorano da queste pagine. C’è Huncke
dentro e fuori New York. In pieno inverno, senza soldi, senza una
stanza, senza droga, costretto a dormire nei cinema notturni, nelle
stazioni della metropolitana e nelle sale d’aspetto delle ferrovie.
Alla Penn Station, un ragazzino gli chiede di dargli un occhio alla
valigia mentre scende le scale. Huncke non è contento di quel che
sta per fare ma pensa che per quel ragazzino sia meglio imparare,
adesso, a non affidare mai la valigia a un estraneo. E dunque la
ruba, e questo cambia il corso del destino.
Ha avuto i suoi guai e li
ha pagati cari. Il destino lo premierà. La valigia non contiene
niente che lui possa commerciare, tranne un paio di guanti che
rivende a un ricettatore di Bickford per due dollari. Questo gli
consente di comprarsi un po’ di tempo in un cinema. Un ragazzo che
stava in compagnia del ricettatore lo segue fin lì. All’inizio
Huncke non riconosce il nuovo volto della sorte. Dice al ragazzo di
lasciarlo solo, non possono farsi del bene l’un l’altro. Ma il
ragazzo conosce il suo ruolo. Presto saranno soci in una lunga serie
di furti coronati da successo. Hanno una licenza di rubare. Quando
tocchi il fondo sei già in risalita.
Gli onesti resoconti dei
furti di Huncke trasmettono al lettore l’eccitazione di trovarsi in
casa altrui sapendo che tutto ciò che vedi è tuo. Come quando entra
nella casa di un dottore e si riempie le tasche di siringhe, scatole
di morfina e Dilaudid. Una lunga serie di fortune.
Poi viene il furto sul
quale nutre un brutto presentimento. Se Huncke avesse sempre dato
retta ai suoi presentimenti si sarebbe risparmiato un bel po’ di
anni dietro le sbarre. Fu punito dalla sorte quando ne violò le
regole. Eccolo combattere contro la sua intuizione: tornare sul posto
appena svaligiato per ripulirlo a fondo non è una buona cosa. E io,
leggendo, mi trovo a dire tra me e me: «Huncke ma che fai, sei
fuori? Non tornarci». Il fato lancia il suo avvertimento. E l’altra
regola: mai tornare a casa se il tuo complice è stato blindato.
Infrangere questa regola costerà a Huncke cinque anni.
***
Su e giù. Quando tutto
va male, l’impossibile colpo di fortuna è lì che ti aspetta.
Eccolo, senza un centesimo in tasca, bighellonare senza meta fin
quando lo sguardo gli cade su due sacche piene di soldi sul sedile di
un’auto, con le porte non chiuse a chiave. Come può esistere
qualcuno di così sbadato? Può esistere perché a quel punto la
fortuna è in debito di una schiarita con Huncke.
Huncke ha percorso la via
della droga fin dal 1920, quando l’eroina stava a 28 dollari
all’oncia, mentre adesso (fine anni Ottanta, N.d.T.) con 28 dollari
ci compri solo due dosi. Il mondo della droga riflette le dinamiche
inflazionistiche mondiali. Occorre sempre di più per comprare sempre
di meno. Ciò in parte è dovuto al numero crescente di consumatori.
Ma anche alle deliberate manipolazioni del mercato, rivolte a creare
penuria chiudendo i rubinetti dell’offerta. Ho visto questo
fenomeno realizzarsi in Marocco. Pochi speculatori acquistano beni
essenziali come zucchero, cherosene, olio da cucina e li imboscano in
un magazzino per una settimana. Cosicché in breve questi beni sono
pronti a tornare sul mercato a prezzi gonfiati. Lo stesso capita con
la droga, come Huncke fa notare. Improvvisamente un’ondata di
panico investe New York: niente roba, a qualsiasi prezzo. Dopo un
periodo né troppo breve né troppo lungo, la droga riprende a
circolare per le strade a tariffe doppie.
La droga è la merce
primaria perfetta, da prendere a modello per descrivere le dinamiche
economiche di ogni altro bene essenziale.
Questo libro non è solo
la storia di un ladro e di un tossicodipendente. Copre un intero
periodo della storia recente, visto attraverso le relazioni
dell’autore con un certo numero di personaggi: il dottor Kinsey,
Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Neal Cassady, Gregory Corso, Alex
Trocchi... L’autore dà sempre l’idea di trovarsi proprio dove
l’azione si svolge o si dipanerà.
Il mio rapporto con
Huncke abbraccia 25 anni. Un ricordo tra i tanti: nel pollaio della
fattoria che avevo in Texas facemmo l’errore di spruzzare
dell’insetticida su di un nido di scorpioni, e quelli si
arrampicarono fin sul soffitto per poi piovere letteralmente sulle
nostre teste mentre cercavamo invano di uscire dalla porta
contemporaneamente.
Huncke è un grande
narratore di storie e supera se stesso quando racconta qualche
orripilante disavventura. Colpevole di tutto è un libro
onesto, leggibile e pieno di informazioni, che incidentalmente
diventa anche uno specchio della condizione umana.
(Herbert Huncke, Colpevole
di tutto, trad. Federico Maria Roccavento, Endemunde, 2016)
“Tuttolibri La Stampa”,
16 aprile 2016
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