Ho scritto l'articolo qui postato nella primavera del 1990 per “Cronache Umbre”, la
rivista mensile del Pci dell'Umbria. Un congresso aveva già
stabilito lo scioglimento del partito comunista in un nuovo “soggetto
politico della sinistra”, di cui – al tempo – non erano stati
definiti né il nome né il simbolo (Occhetto avrebbe proposto
qualche mese più tardi la Quercia del Pds) e neppure il programma
fondamentale (ci stava lavorando una commissione presieduta da
Bassolino). Alcune delle mie riflessioni, soprattutto quelle relative
al Pci, erano pertanto condizionate dalla congiuntura.
E tuttavia l'analisi
del radicalismo pannelliano mi pare tuttora corretta e riproponibile.
Come si vede, non ho aspettato l'emarginazione o la morte di Pannella
(che al tempo era ancora vitalissimo e al centro del gioco politico)
per valorizzarne alcune scelte di fondo, ma evitando le confusioni di
oggi. (S.L.L.)
Pannella ha il
temperamento del protagonista. Da quando è sulla scena, quarant'anni
circa, è un vulcano di ipotesi, progetti, proposte spesso
controcorrente, talora rischiose e destabilizzanti, sempre però
capaci di produrre, nel bene e nel male, politica.
Alcune sue sortite e
campagne risultano francamente sconcertanti e neppure la sua
collaudata perizia dialettica riesce ad argomentarle in modo
persuasivo. La presenza ai congressi missini, Cicciolina,
l'oltranzismo filoisraeliano ed altre ancora. Tuttavia, se non ci si
lascia fuorviare dagli anticonformismi di maniera, dalle intemperanze
verbali, dalle pittoresche gigionate, si può riconoscere nel su o
percorso politico una ispirazione di fondo estremamente compatta e
coerente, al di là delle mutevoli esigenze della tattica.
Libertà
Sui temi dei diritti
individuali l'impegno di Pannella è davvero radicale. Da liberale
autentico egli difende senza tregua tutte le libertà; cerca perciò
di riportare nell'ambito della legalità tutti quei comportamenti
che, per quanto censurabili sul piano morale, non sono tuttavia
lesivi di altrui interessi e vanno perciò collocati tra i diritti,
non tra i reati.
Nella visione di Pannella
lo stato laico non può assumere come propri valori morali, anche se
condivisi da quasi tutti. Deve piuttosto regolare l'esercizio dei
diritti perché non confligga con altri diritti tutelati. Così una
coppia omosessuale deve poter baciarsi nei parchi quanto una
"normale"; all'individuo adulto deve consentirsi
l'assunzione di cocaina ed eroina, quanto di alcool e nicotina; si
devono poter produrre, proiettare e vendere i film più "hard"
che si vuole, quando non vi si facciano partecipare o assistere
minori. È una logica discutibile nei suoi fondamenti culturali,
nondimeno molto rigorosa.
Ciò spiega la feroce
idiosincrasia di Pannella verso la pretesa di tutelare la pubblica
moralità con divieti e costrizioni. La proibizione legale non riesce
certo ad eliminare comportamenti spesso legati a condizioni di
disagio sociale o, addirittura, alla drammaticità dell'esistenza
umana; può solo criminalizzarli, producendo così incessantemente
illegalità e delinquenza. La proibizione del divorzio creava bigamie
e figli illegittimi; le persistenti restrizioni al diritto d'aborto
perpetuano le violenze sulle donne e forgiano tuttora "mammane"
e "cucchiai d'oro". I divieti all'esercizio della
prostituzione aiutano la diffusione di gravi malattie e coprono
traffici loschi e indegni lenocini. Così le leggi proibizionistiche
su alcune sostanze psicoattive offrono alle mafie un campo vastissimo
di attività, una fonte enorme di guadagni, un incrollabile ed
inquietante potere economico.
Per Pannella il
proibizionismo è una malattia gravissima delle democrazie, "la
terza follia del secolo dopo il fascismo e lo stalinismo". Lo
Stato informi, dissuada se necessario, intervenga in anticipo se può.
Diffonda i contraccettivi per impedire gli aborti; attenui con
adeguate politiche sociali il disagio, che favorisce la
tossicodipendenza. Ma non proibisca. Regoli piuttosto il diritto di
abortire, di drogarsi, di prostituirsi eccetera, perché chi li
esercita sia tutelato dalla illegalità e paghi alla collettività
tasse proporzionate ai costi sanitari e sociali del suo
comportamento.
Su questi principi
Pannella è intransigente, al costo di rischiare l'identificazione
del suo movimento con una banda di froci, puttane, magnaccia, drogati
e spacciatori. Guai a toccargli certe corde! Egli dimentica d'un
colpo il suo sperimentato senso tattico e prorompe in invettive
violentissime, fuori misura, spezzando in un momento rapporti
politici intessuti per decenni. Se n'è accorto Craxi, per lunghi
anni l'amico politico più caro, diventato all'improvviso
"fascistico", per aver minacciato sanzioni legali ai
tossicofili.
Può una forza politica
di ispirazione socialista condividere in tutto e su tutto il
liberalismo radicale di Pannella? Certamente no, ma della sua "verità
interna" deve tenere conto per assumerla in progetti di
trasformazione sociale. E su molti obiettivi specifici la
collaborazione non solo è possibile, ma addirittura indispensabile.
Fraternità ed
uguaglianza
Sul grande tema
dell'uguaglianza l'impostazione di Pannella non può dirsi
propriamente democratica (l'uguaglianza delle opportunità) né tanto
meno socialista (l'uguaglianza economica, sia pure tendenziale), ma
classicamente liberale. Per lui l'uguaglianza possibile e necessaria
è quella della legge e davanti alla legge. La lotta contro ogni tipo
di "giurisdizione speciale" (i codici e i tribunali
militari, la responsabilità civile dei giudici e i reati
ministeriali, le leggi sui pentiti e tutta la legislazione
dell'emergenza) si coniuga con una difesa spesso astratta e
formalistica delle garanzie. Anche qui Pannella e i suoi (Meliini in
prima fila) sono intransigenti, al costo di perdere di vista la
realtà e di passare per amici dei mafiosi o dei brigatisti, dei
fascisti o della P2. Su questo terreno le intese con le forze di
democrazia socialista sono sicuramente più difficili, ma pure in
molti casi possibili.
La terza grande coerenza
programmatica di Pannella coincide con la terza parola-chiave
del-l'Ottantanove: il tema della fraternità. Qui, tatticismi e
strumentalismi a parte, si sente con più forza l'originalità di’una
posizione teorica, fondata sul trasnazionalismo, sull'urgenza di
superare le angustie degli stati nazionali e di stabilire da subito
forme di sovranità trasnazionale piena. La battaglia contro lo
sterminio per fame condotta in Italia come negli organismi
comunitari, all'Onu come in Burkina Faso, benché talora
esclusivamente propagandistica, porta con se il segno di una
fecondissima intuizione: le frontiere della fratellanza vanno
abbattute, occorre perciò stabilire leggi e poteri per tutto il
pianeta.
Il conflitto con il
Pci
La coerenza programmatica
di Pannella non comporta una analoga coerenza di disegno politico.
Nel suo più recente dialogo con il Pci Pannella vanta alcune sue
scelte antiche; l'aver permesso l'ingresso degli universitari
comunisti nell'Ugi, l'associazione studentesca laica, in piena guerra
fredda; la polemica del '59 con Togliatti, tesa a creare già allora
un rapporto più stretto tra i liberal-democratici e movimento
operaio, contro le propensioni del leader comunista ad un rapporto
preferenziale con settori del cattolicesimo politico, non
necessariamente progressisti (era il tempo del milazzismo e
dell'ipotesi di secondo partito cattolico); la sua candidatura da
"indipendente" nelle liste Psiup alle comunali di Roma nel
1964; la promozione, insieme a Rodotà ed altri, dell'associazione
per l'alternativa alla metà degli anni Settanta. Nel rievocare gli
anni di più dura polemica con i comunisti, Pannella mette in fila,
come un rosario di malefatte, tutte le questioni sulle quali essi
avrebbero avuto torto e lui ragione: il compromesso storico, la
solidarietà nazionale, l'emergenza, il finanziamento pubblico dei
partiti, i modi della lotta alla mafia, il consociativismo, etc.
Sarebbe divertente e
forse anche utile rievocare tempi, toni, contenuti specifici delle
polemiche pannelliane. Se si pensa solo ad una delle più ricorrenti
(e superficiali) invettive, quella della "P2, P38, PScalfari",
si potrebbero enumerarne gli abbagli o addirittura le allucinazioni.
Non è compito di questo scritto, che ha come oggetto specifico le
(buone) ragioni di Pannella e non le esasperazioni e le degenerazioni
della polemica contingente. Non si può però tacere il suo punto
cruciale di strategia politica, che è alla base degli errori di
Pannella. Egli pensa, da sempre, all'alternativa, ma ad una
alternativa esclusivamente politica, non sociale. Del Pci non gli è
mai andato giù non tanto il suo "stalinismo", quanto la
natura del suo insediamento, peraltro molto simile a quello delle
socialdemocrazie europee: la sua presenza nei conflitti sociali, il
suo radicamento nel sindacato, nel movimento cooperativo, nelle
amministrazioni locali. Il suo sogno è stato quello di trasformarlo,
con una sollecitazione dall'esterno, in un "partito d'opinione
di massa", la cui sfera d'azione si collocasse nel campo dei
diritti e in quello dei valori, non in quello degli interessi
materiali organizzati. Quando negli anni Settanta il suo progetto si
è rivelato impraticabile, egli ha scelto il ruolo di guastatore.
Convinto che con un Pci di quel tipo nessuna alternativa fosse
possibile, si è speso per la distruzione delle basi sociali della
forza comunista. Un esempio per tutti: il suo forsennato impegno sul
referendum per la scala mobile.
Oggi Pannella ha
nuovamente cambiato linea. Coerentemente. Nel momento in cui il Pci
si trasforma in un'altra "cosa", egli crede che le
affermazioni di Occhetto sulla natura "di massa, popolare,
socialista" della nuova formazione politica, siano soltanto
concessioni tattiche e che alla fine del processo venga fuori il
"partito radicale di massa", che egli ha sempre sognato. Si
tratta di un errore: in Italia non è possibile un'alternativa
politica alla Dc, che non sia anche sociale. Al di là del fascino o
dell'indifferenza che un'alternativa di governo senza mutamenti negli
equilibri sociali può suscitare, essa è prima di tutto una velleità
senza sbocchi, un'utopia.
È stato giusto allora
fare all'Aquila e in altre città liste di concentrazione democratica
con Pannella e i pannelliani? Certamente, con un chiaro accordo sui
programmi. Il ruolo di capolista assunto da Pannella nel capoluogo
abruzzese è peraltro naturale dato il livello del personaggio. Né
si può negare a Pannella il diritto di partecipare in altre realtà
locali ad iniziative elettorali diverse. All'Aquila e altrove
Pannella può dare un contributo importante al cambiamento della
situazione politica stagnante nell'intero paese. Non trovo invece
convincente Pannella come ispiratore ed eminenza grigia della nuova
formazione politica che il Pci intende costruire. Lo smarrimento in
essa di una identità sociale "forte" non gioverebbe
neppure alle giuste cause per cui Pannella si batte.
Da “Cronache Umbre”,
maggio 1990
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