Paplo Picasso, Guernica |
Quel mondo
spappolato, quelle vite fatte a pezzi dalle bombe d’aereo e dagli
spezzoni, il muggire delle vacche e il ragliare degli asini, l’urlo
degli uomini delle donne, i lamenti del mondo e il fracasso degli
aerei. Senti tutto quando ti siedi davanti al grande quadro di Pablo
Picasso, dentro il Museo della regina Sofia a Madrid. Sta tutto solo,
enorme, incombente, terribile, in una sala grandissima e tutta
bianca. Guernica è il segno alto del terrore indiscriminato
dell’aviazione nazista e fascista nei confronti della popolazione
civile, riunita in un caldo giorno di mercato, in una cittadina senza
alcuna importanza strategica. Un grumo di case che, ancora oggi, non
sono niente: c’è soltanto un tronco d’albero rinsecchito e
semibruciato, a memoria di quel che accadde. È stato lasciato in un
piccolo parco del ricordo.
Ecco,
Guernica, il grande e folle «ritratto» di Picasso, è, da
anni e anni, il simbolo dell’attacco franchista alla legittima
repubblica spagnola, dell’intervento nazista e fascista e di quella
che fu, poi, una terribile guerra civile.
Robert Capa, Morte di un miliziano |
Nella stratificazione dei
simboli, dei miti, del cinema, della letteratura, della poesia, dei
manifesti, delle canzoni e della musica popolare, Guernica ha accanto
soltanto la celeberrima fotografia di Robert Capa, quella tanto
discussa del miliziano colpito a morte mentre scatta all’attacco.
Vera, falsa, frutto di una specie di «recita» messa in piedi da
quel comunista ed ebreo ungherese che era il fotografo di guerra
passato alla storia come il più grande di tutti sui fronti di
guerra? Forse non lo sapremo mai. Lui, morì in Vietnam, saltando su
una mina. In Spagna, era a due passi di distanza quando la sua donna,
Gerda Taro, fotografa tedesca, rimase schiacciata da un carro armato
repubblicano che stava facendo manovra. Dunque, probabilmente una
messa in scena quella straordinaria fotografia. L’ucciso sarebbe
(secondo le ricerche dello storico Mario Brotons) un tal Federico
Borrel Garcia. Ma il nostro ricercatore Luca Pagni dice che non è
così. Ma che importa: quel miliziano che muore ripreso da Capa, «è
la guerra di Spagna» e se non lo era davvero, con il passare degli
anni, lo è diventato. Amen. È nella storia e nel mito, nella
memoria del popolo di sinistra di tutta Europa e dell’America. Ieri
come oggi.
Dolores Ibarruri |
Nella
memoria e nel comune sentire, come la leggendaria figura di Dolores
Ibarruri, la «Pasionaria» con quel suo «No pasarán». Lei, con i
capelli lisci, la crocchia, i lunghi orecchini e lo sguardo fiero è
sempre apparsa come una splendida figura venuta fuori da un qualche
quadro di Goya. Una specie di straordinaria vedova della nazione
spagnola e della Repubblica, attaccata e distrutta da Franco e dai
suoi generali, con l’aiuto fondamentale di Hitler e di Mussolini.
Ma anche Dolores, piaccia o no, era una grande donna, ma con un
cuore. Aveva un amante giovane che, prigioniero, era stato salvato
dalla prigionia nazista, pare per l’intervento di Stalin.
Accanto a
lei, gli altri grandi personaggi e i fatti di una terribile e
angosciosa tragedia collettiva dell’Europa: la fucilazione di
Garçia Lorca, l’emigrazione, verso la fine della Repubblica, in
altri paesi, di tutti i grandi della cultura iberica e le battaglie,
sulle sierre e nelle grandi città, per la Spagna repubblicana, di
tantissimi italiani, francesi, tedeschi, polacchi, cecoslovacchi,
inglesi, americani , sovietici, messicani, cubani, olandesi, danesi e
i giovanissimi di cento altri paesi, tutti antifascisti Ed ecco poi
la presenza di Hemingway, London, Malraux, Aragon e di altre
centinaia di grandi e carismatici intellettuali europei. Quindi le
lotte in sostegno della Repubblica, attaccata dai fascisti, dai
nazisti e dai generali felloni, di Roman Rolland, George Bernard
Shaw, Neruda, Gide, Dos Passos, Bernanos, Pearl Buck, Steinbeck,
Sinclair, Faulkner, Caldwell, Einstein, Jolit Curie, Matisse, Orozco
e Paul Robenson, il grande cantante nero poi perseguitato dal
maccartismo. Tutti scrittori, poeti e scienziati di fama che non
mancarono mai di dare una mano nel creare il mito dell’orrore
franchista e la giustezza della guerra antifascista e antinazista,
per una Spagna libera e giusta. Così fu tutto un fiorire di
racconti, di leggende, di canti e poesie, di crudeli verità, di
fatti, di detti e scritti in prima persona o sulla base dei racconti
di chi, in Spagna, stava battendosi davvero, armi in pugno, per la
verità e la giustizia e contro la barbarie.
Nenni in Spagna, volontario delle Brigate Internazionali |
E i
politici? Arrivarono da tutto il mondo con in cuore la speranza della
vittoria, ma spesso, con la consapevolezza che sarebbe stata una
sconfitta, nonostante gli aiuti dell’Unione sovietica. I nostri,
gli italiani, furono davvero tanti e ne venne fuori il successivo e
grande fronte per la lotta antifascista e cioè la Resistenza. In
Spagna andarono Togliatti, Longo, i Pajetta, i fratelli Rosselli
(«Oggi in Spagna, domani in Italia» avevano detto e scritto sul Non
mollare), Nenni, Di Vittorio, Picelli, Nino
Nannetti, Randolfo Pacciardi, Vittorio Vidali che diventerà, con il
nome di Carlos Contreras, il comadante del celeberrimo 5 Reggimento
delle Brigate Internazionali. E saranno in Spagna anche il gappista
Giovanni Pesce, la grande fotografa Tina Modotti, Antonio Roasio,
altri dirigenti socialisti, comunisti, anarchici e «giellisti» che
arrivavano dall’emigrazione antifascista in Francia. Nacquero così
la «centuria Sozzi» e le brigate garibaldine. Tutto questo rafforzò
la verità dei fatti, ma anche le leggende e i miti. Quelle leggende
e quei miti che, nella guerra di Spagna, furono sempre necessari come
i fucili e le mitragliatrici.
E come dimenticare il
cinema dalla parte della Spagna giusta e libera? Da noi, solo
nell’immediato dopoguerra potemmo vedere il notissimo Per chi
suona la campana (1943) il film di Sam Wood, con due grandissimi
e credibilissimi interpreti: Gary Cooper e Ingrid Bergman. Il lavoro
era tratto dal romanzo di Ernest Hemingway ed ebbe un incredibile
successo. I personaggi erano tratteggiati con vigore e con passione
come in tanti altri racconti e romanzi. La figura di Cooper,
l’americano andato a combattere dalla parte giusta contro il
fascismo, il nazismo e Franco, era, in realtà, quella dello stesso
Hemingway . Dunque, da Per chi suona la campana a Terra e
libertà di Ken Loach.
Buenaventura Durruti |
E le canzoni
di lotta e di battaglia, unite a quelle della tradizione operaia,
anarchica e contadina della Spagna? Tante e bellissime.
Indimenticabile Los cuatros generales
e l’inno del Quinto
Reggimento. Molto belli anche i manifesti
per l’arruolamento nella milizia, stampati dagli anarchici. Forti e
fieri quelli dedicati al Fai e al grande Durruti. Lo stile di tutti
fu, comunque, quello sovietico del periodo rivoluzionario e quello
parafuturista. Grande mobilitazione propagandistica da tutte e due le
parti in lotta, anche per la storica e incredibile vicenda della
battaglia di Guadalajara, vinta dagli antifascisti delle Brigate
internazionali. Per la prima volta nella guerra civile spagnola, tra
le montagne e i fiumi, si scontrano i volontari antifascisti italiani
e i volontari fascisti spediti a Franco da Mussolini. Insomma, ci si
combattè tra italiani interra spagnola. È il marzo del 1937 e tra
le trincee vengono lanciati manifestini da «italiani a italiani» e
gli altoparlanti e i megafoni, trasmettono appelli dall’una parte e
dall’altra, con l’invito a disertare e a mettersi «nella guerra
giusta». Stessa situazione anche tra i prigionieri dei due
schieramenti.
E dall’altra parte?
Dalla parte franchista, nazista e fascista, come procedette la
costruzione dei miti e delle leggendo in sostegno all’appello per
la lotta contro il bolscevismo internazionale? L’Italia produce un
filmone dedicato all’assedio dell’Alcazar del generale Moscardo
da parte delle truppe repubblicane. È un fumettone di poco peso,
interpretato da quel bravissimo attore che era Fosco Giachetti,
abbastanza amato dal regime. Mussolini riceve anche, a Palazzo
Venezia, il volontario italiano più giovane che ha combattuto i
comunisti: è un certo Licio Gelli di Pistoia. Dal punto di vista
della propaganda, però, l’imbarazzo è generale anche in Germania.
Non è semplice né facile spiegare la situazione. Il tema di fondo,
ovviamente, è la difesa dal comunismo e dal bolscevismo anche se in
Spagna, come tutti sanno, i comunisti , per la verità, non avevano
mai contato molto. Al musicista del fascismo, il maestro Ruccione,
viene chiesta qualche canzonetta a favore dei volontari italiani in
terra iberica. Le poche prodotte non riusciranno mai a sfondare.
In Spagna,
le forze reazionarie, puntano tutta la propaganda sull’anticomunismo
e sull’antireligiosità dei repubblicani. È vero: gli anarchici,
in particolare, fucilano preti e violentano suore, oltre a
distruggere chiese e conventi. Ma la chiesa, dal canto suo, è da
sempre schierata con i grandi proprietari terrieri e contro le poche
riforme della Repubblica. I vescovi spediscono al fronte, per
benedire i combattenti franchisti, persino la Madonna di Loreto. La
propaganda dei golpisti, comunque, punta tutto su Francisco Franco
Bahamonte, o meglio Franco, il «generalissimo», il «caudillo»,
l’uomo nuovo della nazione. Un manifesto di grande successo è
quello che mostra una grande croce a forma di «uno» ( nel senso di
primo) che parla di una «cruzada» per poi aggiungere: «España
orientador espiritual del mundo».
Grande,
grandissimo successo tra i franchisti, riscuote il motto: «Arriba
España». Tutto é puntato sul nazionalismo estremo, sul
cattolicesimo, sulla religione, sulla lotta contro l’anarchismo, il
comunismo. Ovviamente Franco e i franchisti salutano a braccio levato
come i fascisti italiani e i nazisti. Così salutano anche i
cardinali Isidro Gomà e Play Deniel, vescovi, sacerdoti, frati e
suore. Alla vittoria di Franco, scatta la pittura di regime che
presenta il Caudillo in grandi quadri a olio, in divisa da
falangista, a cavallo, vestito da grande statista e con la scorta
«mora» che lo circonda e lo protegge, da combattente vittorioso e
in mille altre diverse pose. La cosiddetta «cultura nuova» della
Spagna franchista, isolata e di scarso peso dopo l’esilio e la
grande fuga dal paese da parte di migliaia di storici, scrittori,
filosofi, giuristi, pittori e cineasti, non trova di meglio che
rilanciare la «hispanidad» e il mito della «purezza morale della
nazionalità spagnola», una categoria superiore, universalista,
dello spirito imperiale che ha trasportato lo spirito missionario
della vera civiltà cristiana, in tutti i paesi latinoamericani. La
Spagna franchista continuò poi a fucilare, a «garotare», a
opprimere e comminare anni e anni di galera fino al crollo. Ai grandi
raduni di regime si cantava, ormai al culmine della popolarità, la
famosa Cara al sol, una specie di «Giovinezza, giovinezza».
La
propaganda continuava anche a parlare di pacificazione, citando, come
un esempio per tutta l’Europa, il grande cimitero detto della Valle
de los Caidos, poco distante da Madrid e con la grande croce alta
150 metri. Li sarebbero stati sepolti anche i corpi dei caduti
repubblicani. Era ancora una menzogna propagandistica. Non è vero
niente. Ancora oggi, purtroppo, è uno stereotipo franchista e
fascista, davvero duro a morire.
“l'Unità”,
17 luglio 2006
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