5.8.11

Agosto 1945. Ricordi di un fisico italiano (di Edoardo Amaldi)

All’inchiesta della rivista “Giano. Ricerche per la pace” sugli intellettuali italiani e la condizione nucleare, Edoardo Amaldi, scienziato italiano tra i più prestigiosi, uno dei fisici del gruppo di Via Panisperna guidato da Fermi, rispose con alcune pagine di ricordi relativi all’inizio dell’era atomica, a partire da Hiroshima e Nagasaki, pubblicate nel n.1 del 1989. Amaldi morì in quello stesso anno e quelle pagine sono tra le ultime che ha scritto. Ne riprendo l’inizio, anche in coincidenza dell’anniversario della bomba su Hiroshima (6 agosto 1945), una data e un evento da non dimenticare e su cui continuare a riflettere. (S.L.L.) 
Il fisico Edoardo Amaldi da giovane
Agosto 1945
La guerra in Europa era finita il 7 maggio 1945 ma ancora per mesi le via di comunicazione fra l’Italia centrale e quella settentrionale erano in condizioni tali da scoraggiare chiunque abitasse a Roma dall’idea di andare a trascorrere le vacanze “Guglielmo Marconi” dell’Università di Roma, alcuni di noi decisero di portare la famiglia a passare agosto a Rocca di Mezzo negli Abruzzi. Ci trovammo così, ai primi del mese, in quel estive in una valle alpina come aveva sempre fatto in tempi normali.
Fu così che, parlando fra amici e colleghe all’Istituto di Fisica bellissimo paesaggio appenninico e in quel gradevole ambiente abruzzese, con Gilberto Bernardini, professore all’Università di Bologna, ma che ancora teneva la famiglia a Roma, Gian Carlo Wick, che nell’autunno 1939 era succeduto a Fermi sulla cattedra di Fisica Teorica di Roma, Bruno Ferretti, già assistente di Fermi e suo supplente durante il primo anno di insegnamento di Fermi alla Columbia University (1938-39), Gabriella Tabacchi in Muntoni, chimica, con le figlie, e l’ing. Giovanni Ferro-Luzzi, direttore delle Cartiere Tiburtine, tutti nostri amici, oltre a mia sorella Gisina con il marito e i figli.
Ricordo benissimo che, quando, la mattina del 7 agosto venimmo a sapere dalla radio e dalla stampa quotidiana, che il giorno prima una bomba atomica era stata sganciata da un aereo statunitense sulla città giapponese di Hiroshima e che questa era stata preticamente annientata, fummo tutti profondamente colpiti e rattristati ma non meravigliati. I commenti con Wick, Ferretti, Bernardini e altri erano più o meno del tipo: “E’ accaduto ciò che in fondo ci aspettavamo. Si vede che i valori dei parametri relativi al fenomeno della fissione dell’uranio erano tali da rendere possibile l’utilizzazione dell’energia nucleare non solo a scopi civili, ma anche militari”.
Non ci meravigliammo affatto in quanto, una volta che la nuova bomba è stata realizzata, era quasi inevitabile che le autorità politiche e militari la impiegassero. Questo era, per lo meno, quello che ci avevano insegnato i cinque o sei recenti anni di guerra.
La notizia della seconda bomba atomica, sganciata sulla città giapponese di Nagasaki, tre giorni dopo, cioè il nove agosto, confermava la drammaticità e metteva in risalto la irreversibilità della nuova situazione nel mondo. Tale notizia giungeva all’Italia contemporaneamente all’altra che in quello stesso giorno l’URSS e che le truppe sovietiche avevano cominciato ad entrare in Manciuria.
La stampa e la radio italiane riportavano queste notizie con grandissimo rilievo, insieme alle giustificazioni e ai commenti di questi tragici eventi, forniti ufficialmente e ufficiosamente dalle autorità degli Stati Uniti e dalla stampa d’oltremare. L autorità militari statunitensi avevano valutato che per avere la resa incondizionata del Giappone senza far uso della nuova arma, sarebbero stati necessari altri sei mesi di guerra nel Pacifico, il che, sulla base dei dati statistici raccolti fino ad allora, avrebbe significato una perdita di vite umane globale, cioè da parte delle forze armate alleate, giapponesi e delle popolazioni della zona di guerra, superiore a quella provocata dalle due bombe di Hiroshima e Nagasaki.
La stampa italiana esprimeva sorpresa e  in qualche modo ammirazione per il livello tecnologico raggiunto dagli Stati Uniti. Non mancavano tuttavia gli scettici. Vi era in particolare un giornale che scriveva espressamente che la bomba atomica era un tipico bluff all’americana perché una bomba che sfruttava l’energia atomica era impossibile.
La cosa che mi colpì è che anche persone di alto livello culturale fossero di tale opinione. Per esempio tale era l’opinione del matematico Francesco Severi (1879-1971) che al mio ritorno a Roma, alla fine di agosto o ai primi di settembre incontrai casualmente alla banca o all’ufficio postale della Città Universitaria. Secondo lui le bombe sganciate ad Hiroshima e Nagasaki erano bombe molto grosse, ma sostanzialmente di tipo normale e gli Stati Uniti non avevano sviluppato in alcun modo una nuova tecnologia.
Ricordo anche che fu in quei giorni che mi convinsi dell’opportunità di cominciare a tenere un diario, anche molto sommario, ma in cui venissero segnate le persone incontrate e gli argomenti trattati, per lo meno ogni volta che le circostanze fossero tali da avere qualche interesse non solo scientifico e personale. In pratica però cominciai a fare questo solo a partire dall’autunno 1949.

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