Il popolo comunista sotto la pioggia |
Commentando su fb un brano della celebre intervista rilasciata a “Repubblica” da Enrico Berlinguer sulla questione morale, “postata” come “Nota” da Rosa Casano del Puglia, tale Ipazia di Alessandra, con tutta evidenza un nome fittizio, tirava fuori la vecchia tiritera che il segreto per impedire tangenti, scandali e ruberie è separare la politica dall’economia, evitare che la politica metta le mani sugli affari. Mi sono permesso una lunga replica, forse un po’ didattica, ma tale da esprimere tutto il mio disagio rispetto ai ridicoli luoghi comuni della cosiddetta Seconda Repubblica. E’ quella che qui posto con qualche correzione e rimaneggiamento puramente formale.
La tentazione, tagliando le cose con l'accetta, è di replicare ad Ipazia che non è la politica ad aver messo le mani sugli affari, ma sono che gli affari hanno messo le mani sulla politica. Per i lavoratori, per il popolo comunista, al tempo di Berlinguer, per "politica" non s’intendeva certo certo "il ceto dei politici di mestiere", ma un'attività sociale cui si partecipa in massa, il più delle volte senza guadagnarci in maniera immediata. Si faceva politica per stare meglio, per avere più salario, ambienti di lavoro più salubri, case da abitare, scuole funzionali, la salute come diritto. Ci si guadagnava, e come, anche quattrini in qualche caso, ma tutti insieme come popolo lavoratore. Ladroni nelle istituzioni ce n'erano stati sempre, ma la denuncia di Berlinguer segnalava un salto di qualità. Non si trattava più di "mele marce", con il CAF (il patto Craxi-Andreotti-Forlani) era entrato in azione un sistema scientifico di spartizione, in cui i partiti avevano cambiato ruolo, non erano più luogo e strumento della politica democratica di massa, ma dei politicanti in carriera e dei comitati d'affari. Craxi soleva dire ch'era quella la politica "moderna", non il "moralismo". Pezzi importanti di Pci la pensavano allo stesso modo. Quando Diego Novelli, al tempo sindaco di Torino, denunciò i ladri socialisti della sua stessa giunta e Berlinguer in Comitato Centrale propose solidarietà piena con lui, Napolitano, Jotti, Chiaromonte e gli altri miglioristi fecero il diavolo a quattro e la relazione del segretario non fu messa ai voti per evitare la bocciatura. Qualche anno più tardi, morto Berlinguer e accentuatasi la deriva tangentizia, Occhetto proclamò: "I comunisti usciranno da tutti i comitati di gestione delle Usl". Lo fecero in due, uno a Treviso e una a Catanzaro. Tornare alla politica come attività sociale, ridare ai partiti un ruolo democratico, favorire il controllo della base, attuare misure di trasparenza: questa è la via per affrontare la cosiddetta “questione morale”. La separazione dell'amministrazione dalla politica è invece spesso il trucco che consente ai comitati d'affaristi e ai politicanti di fare tutto quello che vogliono con controlli scarsi o inesistenti (si guardino le società miste o partecipate, per legge gestite privatisticamente e guidate da non politici, in mano al peggiore affarismo). Il più grosso colpaccio che fu tentato dalla coppia Berlusconi-Bertolaso era quello, andato poi a vuoto per colpa delle inchieste, di trasformare la Protezione Civile in Spa. E' molto meglio l'acquedotto Comunale gestito dal Comune, con bilanci e procedure accessibili e con la partecipazione dei cittadini, che la società mista che in teoria non ha nulla a che vedere con la politica e che è invece piena di amministratori e consulenti che sono politicanti trombati. E' meglio fare come un tempo le assemblee di partito alla base sui piani regolatori, assemblee di crescita politica e culturale per molti cittadini, e smetterla invece con "l'urbanistica contrattata", gli accordi con proprietari di aree e costruttori realizzati in forma privatistica. Ma l'ondata mistificatoria del "privato è onesto - politico fa schifo" non ha ancora cessato di produrre i suoi effetti nefasti. E invece no: è la politica la salvezza e l'antipolitica è quella che oggi si pratica.
A un successivo intervento di Ipazia che chiedeva agli interlocutori di rinunciare ad ogni prospettiva salvifica e spiegava che compito della politica è soltanto il governo, ho così replicato:
Nessuna prospettiva salvifica, Ipazia. Neanche la partecipazione di massa al governo della polis risolve ogni problema, ma una “politica” distinta dal resto della comunità, cioè un ceto separato di politici, una élite più o meno illuminata che ascolta o che parla, che interpreta, ricostruisce e governa le vite altrui - perdonami - mi fa quasi schifo. Sono fermo al programma degli Uguali, non a caso ripreso da Gramsci: "Cessate alfine odiose differenze tra oppressori ed oppressi, tra sfruttatori e sfruttati, tra governanti e governati". Lo so - non sono moderno - non assecondo i tempi nuovi, quelli della governance, della managerialità, della progettualità eccetera; mi piace l'autogoverno individuale e collettivo. Che ci posso fare? Forse sono troppo vecchio per adeguarmi a questo che chiamano progresso (e mi tornano in mente le parole di Leopardi sul "secol superbo e sciocco" che si vantava del tornare indietro e lo chiamava "procedere").
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