L’Armata Rossa non teme la fatica di una lunga marcia;
per loro mille montagne, diecimila fiumi, sono nulla;
per loro le Cinque Montagne non sono che piccole onde
e i picchi montani del Wumeng soltanto palle di fango.
Calde sono le rupi immense bagnate dal Fiume Sabbia d’Oro,
fredde le ferree catene che il fiume Tatu attraversano.
Le eterne nevi del Minshan li rendono più felici:
l’Armata le ha valicate, ed ogni viso sorride.
Nota
La “Lunga Marcia”, cui questa poesia è dedicata, fu in origine una ritirata. Nell’ottobre 1934 l’Armata Rossa del Soviet del Kiangsi, oramai soccombente di fronte alla quinta “campagna di accerchiamento e di annientamento” del Kuomintang, fu condotta da Chu Teh e da Mao Tse-tung a sfondare il fronte degli assedianti e a percorrere con armamenti leggeri una improba via di fuga per alti monti e impervie vallate. Raggiunse nell’ottobre del 1935, dopo più di 10 mila chilometri percorsi a piedi, lo Shensi meridionale, ove era in atto la resistenza contro l’invasione giapponese. La marcia, svoltasi con le sole armi leggere e nella difficoltà di rifornimenti alimentari e militari, acquistò subito il fascino della leggenda non solo per la forza d’animo dei marciatori, ma per i rapporti egualitari nell’esercito e la capacità di attrarre nuove forze. I morti per stenti o per gli attacchi nemici erano via via sostituiti dai volontari nuovi arruolati, contadini e intellettuali soprattutto. Nel corso della marcia Mao assunse la piena direzione del Pcc: era stata infatti all’inizio una sua forzatura (contrastata nel gruppo dirigente, specie tra i quadri più legati a Stalin) la “follia” di imporre ai combattenti dell’Armata Rossa un sì periglioso tragitto piuttosto che le regioni confinanti con l’Urss, verosimilmente più accoglienti. I fatti avevano dimostrato che la marcia aveva una grande forza di comunicazione e rivelava a tutto il paese come i comunisti fossero la forza più intransigentemente impegnata nella difesa della patria contro l’invasore giapponese. (S.L.L.)
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