Nella rubrica Parole in corso su “Tuttolibri”, il supplemento letterario de “La Stampa” del 18 luglio 2008, il professore Gian Luigi Beccaria ragiona del nesso tra parole e fatti, tra scienza e letteratura, con una grazia, una serenità e una moralità fuori dall’ordinario. Leggere per credere. (S.L.L.)
A parole u i porta al veintr, le parole le porta il vento (proverbio monferrino). Nel Meridione usano quel bel verbo, espressivo, 'mpapucchiá , raggirare con le parole. All'eloquio si è sempre guardato con sospetto. «Acqua e chiacchiere non fanno frittelle», appunto. Oppure, «Mei in ben fac che in ben dic», meglio un ben fatto che un ben detto (proverbo alessandrino). Contano i fatti, che hanno la concretezza del «naturale» opposto all'«innaturale» delle parole. Letterati filosofi e predicatori sarebbero in sostanza fumo e vento.
È diventato quasi un luogo comune opporre la concretezza della scienza, della tecnica, tutta cose e realtà, alla vaghezza delle discipline umanistiche. Ed è stato anche un concetto sviluppato a fondo nel Settecento, da Diderot per esempio. I fatti contano, la parola è falsa, inutile, l'uomo che si perde nelle dispute perde la sensazione della realtà. .
Sulle parole come inganno c'è tutta una letteratura. Penso all'eufemismo, al presentare una realtà negativa, o terribile, coi vezzi verbali che la mascherano. Primo Levi ci parlò con efficacia degli eufemismi nazisti: «soluzione finale» anziché sterminio, «trattamento speciale» per camere a gas, «unità di pronto impiego» per plotone di esecuzione... Alle parole si può far dire quello che si vuole. I fatti stanno lì davanti agli occhi, non li puoi cambiare, negare, le parole invece sono sfuggenti, contemplano più significati, addirittura le puoi svuotare, ridurre a guscio senza sostanza. Si pensi ai discorsi di tanti uomini potenti quando pronunciano parole come «giustizia», «democrazia», «libertà» ...
Ma non occorre scomodare i potenti. «Vera»o «falsa» può essere tanto la comunicazione esplicita, trasparente, quella che informa con obiettiva chiarezza, quanto la comunicazione perplessa, dubbiosa, «che non sa». A volte è proprio questa a svegliare concretamente come dal letargo le cose che stanno dentro alle parole.
Non dobbiamo credere che solo lo scientifico ti spieghi senza infingimenti la concretezza del mondo. Ennio Cavalli, in un bel libro dal titolo Il poeta è un camionista, (Milano 2003) diceva che, anche se la scienza te lo sa dire per filo e per segno, in fondo una rosa fiorisce senza un perché. Il vero perché sta nel senso che diamo noi ai suoi mille petali, alla sua fragranza.
gianluigi.beccaria@unito.it
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