Il gesuita Riccardo Lombardi, detto il microfono di Dio (1908 - 1979) |
Il brano, del 1946, è tratto dal numero 31-32 del “Politecnico”, la rivista che Elio Vittorini fondò e diresse nell’immediato dopoguerra, è stato inserito dall’autore nel suo Diario in pubblico, il libro del 1957 (Bompiani) che ne costituisce una sorta di autobiografia intellettuale. Vittorini mostra qui una capacità di visione e di previsione assai maggiore di quella del grande Togliatti che divenne, qualche tempo dopo, il negatore dell’autonomia della ricerca intellettuale e il “mazziere” del “Politecnico” vittoriniano, in nome delle esigenze prevalenti della “politica”.
Nel 46 la Dc aveva scelto la Repubblica, collaborava con i socialcomunisti nella stesura della Costituzione e non era ancora approdata alle sponde del conservatorismo economico e sociale; e intanto la borghesia industriale e agraria (“il quarto partito” – si diceva) sembrava tornata al liberalismo conservatore prefascista. Togliatti puntava (quasi) tutto sull’accordo con la Chiesa cattolica e con la Democrazia cristiana con cui sognava una partnership competitiva sia nella stesura della Costituzione che nel governo.
Vittorini s’avvede come, sotto le apparenze liberali, intorno alle gerarchie ecclesiastiche vada riorganizzandosi quel mondo borghese che aveva scelto il fascismo e come – dal canto suo - il mondo ecclesiastico accetti senza obiezioni la sua profanizzazione e un ruolo sempre meno religioso; ancora più s’avvede di come il regime politico-culturale che si prepara, il regime democristiano abbia tratti controriformistici anche per le sue capacità mediatiche. Il gesuita cui Vittorini allude, quel “microfono di Dio” che arringava le folle nei teatri e nelle piazze, omonimo di un popolare dirigente antifascista (Riccardo Lombardi), cominciando con le parole Cristo mi ha detto, usava l’eredità dei grandi predicatori secenteschi per svolgere lo stesso ruolo di Mussolini. (S.L.L.)
Nel 46 la Dc aveva scelto la Repubblica, collaborava con i socialcomunisti nella stesura della Costituzione e non era ancora approdata alle sponde del conservatorismo economico e sociale; e intanto la borghesia industriale e agraria (“il quarto partito” – si diceva) sembrava tornata al liberalismo conservatore prefascista. Togliatti puntava (quasi) tutto sull’accordo con la Chiesa cattolica e con la Democrazia cristiana con cui sognava una partnership competitiva sia nella stesura della Costituzione che nel governo.
Vittorini s’avvede come, sotto le apparenze liberali, intorno alle gerarchie ecclesiastiche vada riorganizzandosi quel mondo borghese che aveva scelto il fascismo e come – dal canto suo - il mondo ecclesiastico accetti senza obiezioni la sua profanizzazione e un ruolo sempre meno religioso; ancora più s’avvede di come il regime politico-culturale che si prepara, il regime democristiano abbia tratti controriformistici anche per le sue capacità mediatiche. Il gesuita cui Vittorini allude, quel “microfono di Dio” che arringava le folle nei teatri e nelle piazze, omonimo di un popolare dirigente antifascista (Riccardo Lombardi), cominciando con le parole Cristo mi ha detto, usava l’eredità dei grandi predicatori secenteschi per svolgere lo stesso ruolo di Mussolini. (S.L.L.)
Elio Vittorini |
I ritorni di religione che non sono religione
di Elio Vittorini
Malaparte non scherzava affatto il giorno in cui sostenne che il fascismo era controriforma e si conveniva all’Italia come controriforma. In effetti non era che la controriforma si convenisse all’Italia; essa si conveniva alla borghesia italiana (…).
Torna, oggi, la borghesia all’ovile-sepolcro che aveva abbandonato. Vi torna dalle Chiese riformate, e vi torna dal laicismo, dall’ateismo, dal teismo, dalla massoneria, vi torna dalla filosofia e dalla scienza, vi torna dal diritto, dalla politica e dalle arti. Vi torna da tutte le maniere di esistere per le quali l’aveva abbandonato e nelle quali è stata viva, e delle quali non ha più bisogno perché non le servono o non le bastano a garantirsi contro la vita. Si converta alla Messa o all’Immacolata Concezione o semplicemente dia il suo voto alla Democrazia Cristiana essa non vede nella Chiesa Cattolica che un totem d’eternità, e vi torna per averne a sua volta, come già l’aristocrazia feudale, eternità, vi torna per far passare il proprio ordine economico all’eternità. Che cosa importa di perdere e di rinnegare la propria religione, la propria filosofia, la propria arte e ogni propria forma di vita a chi, non più vivo, può avere un ovile-sepolcro tutto in proprio? Un ovile-sepolcro val bene una Messa. Noi possiamo capirlo. Ma non devono dirci che un ritorno simile è “alla religione”. C’è in Italia un padre gesuita che parla in teatri e velodromi a folle di gente che lui chiama i “lontani”, intendendo dire i “non credenti”. Suscita entusiasmo, e lui ne trae motivo di definirli meglio “gli assetati di Cristo”. Non sa che esse sono invece solo gli “assetati di Mussolini”, e che corrono da lui e lo applaudono perché lui dà loro, parlando loro, rassicurazioni analoghe a quelle che dava loro Mussolini? Il ritorno alla Chiesa Cattolica di tanta borghesia significa proprio il contrario di una sete di Cristo. Sarebbe sete di vite se fosse sete di Cristo e dovrebbe portare a un Cristianesimo ancora più nuovo del Secondo, a un Cristianesimo Terzo (…). Non esistono ritorni di religione che non siano nuove religioni.
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