Una grande catasta, come un enorme covone di paglia alto come due esseri umani. Ma non era paglia quella che è stata cosparsa di kerosene e incendiata ieri nel Parco nazionale Tsavo, in Kenya. Erano zanne di elefante: cinque tonnellate di zanne impilate per bene dal personale del Kenya Wildlife Service, l'ente statale per la flora e fauna selvatica, e dai funzionari della Lusaka Agreement Task Force.
A dare solennità all'evento, il falò è stato acceso con una torcia dal presidente Mwai Kibaki in persona. Si trattava di avorio sequestrato perché commerciato illegalmente: bruciarlo, dicono le autorità, serve a dare un segnale forte ai cacciatori di frodo di elefanti e ai contrabbandieri. L'elefante è infatti un animale protetto dalle leggi internazionali (è nella lista delle specie minacciate stilata dall'Unione internazionale per la conservazione della natura, Iucn) e dal 1989 il commercio di sue parti (le zanne) è vietatissimo dalla Cites, Convenzione sul commercio internazionale di specie minacciate, un trattato Onu. Il fatto è che il contrabbando di avorio è ormai un business su larga scala e ben organizzato, che coinvolge documenti falsificati, corruzione di funzionari e dogane, e spesso è legato ad altri aspetti del crimine organizzato come il traffico d'armi e il riciclaggio di denaro.
Gran parte del materiale andato ieri in fumo - in tutto 335 zanne e oltre 41.500 blocchi d'avorio usati per farne timbri e sigilli (sono molto ricercati in estremo oriente, si chiamano hanko) - erano stati sequestrati a Singapore nel giugno 2002. Le indagini (incluso l'analisi del dna delle zanne, cioè il loro patrimonio genetico) avevano permesso di stabilire che apparteneva a elefanti uccisi in Zambia, Malawi e Tanzania, e che era stato esportato da Lilongwe, capitale del Malawi.
Il trattato Cites, che ha forza di legge internazionale, stabilisce che il materiale illegalmente commerciato e sequestrato sia distrutto poiché non ha valore commerciale (in quanto appunto vietato). E così ha fatto la «Task Force» degli Accordi di Lusaka, un organismo di cooperazione regionale per la repressione del bracconaggio e del traffico illegale di specie protette a cui aderiscono sei paesi dell'Africa meridionale e orientale (Repubblica del Congo-Brazzaville, Kenya, Tanzania, Uganda, Zambia e Lesotho). L'insolito falò, celebrato ieri da molte organizzazioni per la conservazione della natura o la lotta al traffico illegale. Anche perché il contrabbando, che ha portato al massacro di circa 600mila elefanti africani negli anni '70 e '80, sta purtroppo riprendendo in tutta l'Africa.
Ovviamente dire che l'avorio non ha valore commerciale è una finzione. La realtà è che vale moltissimo, benché su un mercato illegale: sembra che oggi l'avorio ancora grezzo costi oltre 1.500 dollari al chilo. Così la decisione di bruciare quelle cinque tonnellate di zanne non era del tutto scontata. In passato la Cites ha autorizzato la vendita «controllata» di avorio sequestrato, in entrambi i casi in possesso delle autorità del Sudafrica: nel 1999 è stato autorizzato a vendere oltre 50 tonnellate al Giappone (per 60 dollari al chilo) e più di recente oltre 100 tonnellate complessive (a 150 dollari al chilo) e Giappone e Cina. L'argomento del governo sudafricano quando ha chiesto l'autorizzazione suonava grossomodo così: quegli elefanti ormai sono stati uccisi; il ricavato di quella vendita però può aiutare il governo - che ha gravi difficoltà finanziarie - a gestire i parchi naturali e il servizio di controllo e repressione della caccia illegale. Il controargomento era che autorizzare la vendita, seppure controllata, equivale a condonare la caccia illegale. Ora i paesi dell'accordo di Lusaka decidono per la linea dura: nessuna tolleranza per il contrabbando di zanne.
Da “il manifesto” del 21 luglio 2011
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