23.8.11

Il titolo sbagliato. De Sanctis, la Gelmini e la scienza in Italia (di Piero Bianucci)

Con un titolo sbagliato, Ma Galileo oggi dovrebbe migrare, il supplemento “Tuttolibri” de La Stampa,15 gennaio 2011, pubblica una recensione di Pietro Bianucci al saggio Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia di Lucio Russo ed Emanuela Santoni edito da Feltrinelli. Si tratta di un'utile sintesi del libro con dentro alcune significative “curiosità”, come quelle relative al ministro Francesco De Sanctis. Il titolo mi pare fuorviante perché lascia credere che la migrazione degli scienziati dall’Italia verso luoghi più accoglienti sia caratteristica dell’oggi. E invece già gli scienziati toscani della scuola galileiana dovettero emigrare in Francia e allo stesso Galileo la Controriforma italiana non riservò una sorte propizia. Riprendo qui una parte dell’articolo (S.L.L.)
Galileo Galilei
Nel 1861 Francesco De Sanctis, ministro della Pubblica istruzione dell’Italia appena unita, si guardò intorno e per sprovincializzare la nostra Università chiamò a Torino l’olandese Jacob Moleschott. Con un atto autoritario, liberò la cattedra di fisiologia mettendo a riposo Secondo Berruti e gliela affidò. Moleschott si era laureato in Germania a Heidelberg e, dopo un breve rientro a Utrecht, aveva insegnato in Svizzera all’Università di Zurigo. Qui De Sanctis lo aveva conosciuto quando era professore di letteratura italiana al Politecnico di quella città. Già, perché De Sanctis, scrittore e geniale critico letterario, nato nella depressa Irpinia, dopo aver partecipato ai moti libertari del 1848 ed essere stato rifiutato dall’ateneo sabaudo (troppo sovversivo!), nel 1856 aveva preso la via della Svizzera. A Torino tornerà da ministro su invito del premier Cavour.
Questa vicenda non è eccezionale. Nel 1862 il ministro Carlo Matteucci convinse il fisiologo tedesco Moritz Schiff, celebre per i suoi studi sulla tiroide, ad assumere un incarico direttivo al Museo di fisica e Storia naturale di Firenze, dove nel 1876 lasciò il posto al russo Herzen, che era stato suo allievo a Berna.
Oggi abbiamo un ministro, Maria Stella Gelmini, laureata fuoricorso con 100 su 110, dopo un trasferimento a Catanzaro per superare l’esame di Stato di procuratore, firma la riforma dell’Università italiana, con l’attenuante che il premier non è Cavour. E in quella riforma è scritto che le borse di studio ai meritevoli si assegnano secondo un criterio di appartenenza territoriale.
[…] È interessante leggere Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia di Lucio Russo ed Emanuela Santoni con un occhio al presente. Si capiscono molte cose, perché, come chiarì Benedetto Croce, la Storia è sempre storia contemporanea. Lucio Russo, nato a Venezia, laurea in fisica e professore all’Università di Tor Vergata a Roma, è noto per aver fatto riemergere dall’antica scienza greca teorie rimosse che anticipano conquiste scientifiche ritenute esclusivamente moderne come il moto della Terra intorno al Sole e la spiegazione delle maree per effetto dell’attrazione lunare. Questi trascorsi conferiscono al suo libro una prospettiva temporale ampia e una forte attenzione alla scienza come impresa collettiva, idea ben condivisa da Emanuela Santoni, docente di matematica con interessi per la didattica.
Si spiega così il titolo insolito, Ingegni minuti, mutuato da Giambattista Vico. Gli scienziati sono tali non solo perché il loro contributo in Italia è stato sempre ai margini della cultura dominante, ma anche perché la scienza si fa in tanti e non tutti geni, servono anche i gregari. Succede, oggi, con cooperazioni internazionali che coinvolgono centinaia di ricercatori. Ma avveniva anche nel passato, quando gli scienziati erano più solitari, ma mai isolati né nello spazio (quanto si scrivevano, prima che arrivassero le e-mail!) e tanto meno nel tempo (si pensi alla staffetta Aristotele - Tolomeo - astronomi arabi - Copernico - Keplero - Galileo - Newton).
I grandi innovatori esistono, naturalmente. Ma Lucio Russo ci ricorda che «i miti di fondazione, tendendo a nascondere la continuità dello sviluppo storico, generano la sistematica sottovalutazione dell’importanza della tradizione». E di Kristeller, studioso del Rinascimento, cita una frase che sembra tolta dall’Estetica del nostro filosofo Luigi Pareyson: «L’eccellenza delle opere d’arte, e in generale delle imprese umane, non dipende dalla sola creatività ma dall’incontro di originalità e tradizione».
Sono dunque molti e «minuti» gli ingegni che con la loro comunità costituiscono il tessuto storico della scienza italiana. Con alti e bassi. C’è l’età dell’oro, dal Rinascimento al Barocco, con l’affermarsi del metodo sperimentale e la comparsa di strumenti come il microscopio e il telescopio che estendono i sensi umani. È la rivoluzione astronomica di Galileo, la rivoluzione biologica di Redi e Malpighi, che dimostrano l’inesistenza della generazione spontanea. Un tempo nel quale c’era una grande mobilità degli scienziati italiani a livello europeo e viceversa, mentre il latino, svolgendo il ruolo che ora è dell’inglese, favoriva l’affermarsi dei nostri studiosi. Tra la fine del Seicento e l’inizio dell’Ottocento la scienza italiana «diviene periferica», e tuttavia si difende con Galvani nella fisiologia, Volta nella fisica, Avogadro nella chimica-fisica. La conquista dell’unità segna una ripresa caratterizzata dall’immersione del nostro Paese nella corrente internazionale della scienza positivista. Poi ci sono ancora gli episodi eccellenti dei «ragazzi di via Panisperna» cresciuti intorno a Fermi e di Giulio Natta, unico nostro Nobel per la chimica, padre di quelle materie plastiche che nel bene e nel male sono un simbolo del nostro tempo. Il resto è scienza, ma si confonde con la storia dell’emigrazione […]

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