11.8.11

La monumentalizzazione del vuoto. L’Eur del Duce e di Piacentini e quella, alternativa, di Terragni.

Eur. Palazzo della civiltà.
Su Tuttolibri de “La Stampa” del 30 agosto 2008, un articolo di Giovanni De Luna, EUR, la pedante città del Duce,  nella rubrica “L’occhio e l’orecchio” commenta un volume coeva della Fondazione Bruno Zevi, nato a sua volta da una mostra svoltasi nel 2006, sull’Eur, sul concorso che precedette negli anni Trenta le scelte architettoniche relative al quartiere della grande Esposizione Universale, sul ruolo di Piacentini. Ne risulta ribaltato qualche luogo comune recente sul nesso tra fascismo e modernità. Lo ripropongo con un altro titolo.  (S.L.L.)
Uno schizzo dal progetto di Terragni per l'Eur
Prima sedotti, poi abbandonati. Gli intellettuali italiani si innamorarono del fascismo; il loro coinvolgimento nella diffusione dei mezzi di comunicazione di massa fece balenare per la prima volta la possibilità di forzare le angustie delle chiusure accademiche in cui erano stati rinchiusi da sempre. Per i tecnici funzionò la prospettiva di partecipare direttamente alla gestione dell'economia e della produzione. Queste promesse non furono mantenute.
Nella seconda metà degli anni Trenta tutto sfociò in una gigantesca burocratizzazione della cultura, tutto fu ricondotto alla dimensione ministeriale del Min.cul.pop. E il fascismo regalò all'antifascismo le energie migliori delle giovani generazioni.
A gettare una luce inedita e significativa su questa vicenda è ora Una guida all'architettura moderna dell' Eur pubblicata a cura della Fondazione Bruno Zevi (pp. 166, s. p.). Tra il 1937 e il 1938 il fascismo avviò un gigantesco progetto per realizzare il nuovo quartiere dell'Eur in previsione della grande Esposizione Universale che avrebbe dovuto tenersi nel 1942. Si trattava di immaginare una piccola città ex novo, edifici pubblici e privati, spazi e vie, parchi e giardini. Per i giovani architetti italiani era un'occasione irripetibile: la modernità e il razionalismo potevano battere l'accademia e la retorica.
Per esaminare i vari progetti fu varata una commissione che comprendeva, accanto all'architetto di regime, Piacentini, quattro esponenti delle correnti più innovative (Picconato, Rossi, Vietti e Pagano). E fu subito scontro. Nel 1938 Piacentini riuscì a estromettere gli altri quattro e si adoperò per bocciare i progetti più creativi e audaci (tra gli altri, quelli di Terragni, Lingeri, Cattaneo, Albini, dello studio B.B.P.R. di Ludovico di Belgiojoso).
Come scrisse nel 1941 Pagano in un articolo su Casabella costruzioni, fu la vittoria di una concezione dell'arte come «oggetto di commercio e patrimonio assoluto della maggioranza o addirittura prodotto di un calcolo di ragioniere o di un decreto di stato». Da un lato i giovani che puntavano «sull'onestà e la semplicità delle forme, la ritmata cadenza degli elementi, il rispetto delle proporzioni umane, la festevole varietà delle trovate»; dall'altro «le difficili digestioni piacentiniane, le sue scolastiche simmetrie, le sue povere e pedanti rimasticature culturali»: vinse Piacentini e «sulla piallata Acropoli delle Tre Fontane fu monumentalizzato il vuoto».
La guida della Fondazione Zevi ci propone ora le opere di quelli che furono scartati al concorso, presentandoci un'Eur «come sarebbe stata se Terragni avesse vinto» e ridimensionando drasticamente quel nesso tra modernità e fascismo tanto caro alla storiografia revisionista.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Zevi non ha affatto un rapporto equilibrato con l'architettura del ventennio Fascista per due motivi: il primo è che lui è un cultore dell'architettura organica che ha avuto come massimo rappresentate Wright, il secondo è che il dott. Zevi è ebreo, e ha giustamente in odio il Fascismo. B. Zevi però non fa mai riferimento all'apporto che diedero all'architettura fascista e non solo gli architetti ebrei, ben inseriti nella società dell'epoca. Non dimentichiamo che uno dei più importanti architetti che lavoro nell'espansione coloniale in Libia fu Umberto di Segni.

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