Su “la Repubblica” del 26 giugno 2011, Valentina De Salvo parte dalle informazioni contenute nel libro di Mario Filippo Pini, Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro, arricchite con quelle di un volume di 50 anni fa, di Anita Galliussi Seniga, per raccontare una storia del tempo di Stalin. L’articolo riassume la vicenda di una istituzione che, se da un lato mostra le ambizioni totalitarie del comunismo staliniano, dall’altro evidenzia i valori ancora forti di solidarietà internazionale e di egualitarismo, che animano il movimento.
Sono gli anni Trenta e la Russia si presenta come la patria e il solo paese del socialismo. Il movimento comunista internazionale è però diffuso in tutto il mondo e in molti paesi dispone di dirigenti popolari o addirittura dei leader intorno a cui l’imitazione dell’Urss tende a costruire una miniculto della personalità.
Non pochi di essi, rivoluzionari di professione, tuttavia vivono in clandestinità, in esilio o comunque in pericolo di vita: è anche il tempo della reazione fascista. E a rischio sono anche i loro figli, spesso bambini o ragazzi. Il Soccorso rosso internazionale (MOPR) progetta pertanto di costruire in Russia una sorta di collegio in cui raccogliere, proteggere ed educare i successori della causa rivoluzionaria. Dopo molti tentativi a vuoto si trova il Soviet di una città in cui l’industria tessile è in grande sviluppo, Ivanovo, in grado di finanziare l’impresa: nasce così la Città dei bambini e dei ragazzi, che ambisce ad allevare e formare la nuova élite rivoluzionaria.
La struttura è abissalmente diversa dai piccoli Eden del totalitarismo razzistico pagano in cui Hitler e i suoi genetisti sognano di formare i progenitori della purissima razza ariana. Nel collegio i ragazzi dispongono di laboratori, biblioteche e di un cinema, ma ne escono tutte le mattine frequentano le stesse scuole dei ragazzi russi della zona. L’articolo, di cui riprendo un ampio stralcio, dà molto (forse anche troppo) risalto alle vicende tragiche o ai disturbi psichici di alcuni di quei ragazzi una volta cresciuti (i figli di Mao, per esempio), ma non tace il legame affettivo che con la città conservarono a lungo tanti altri che nella vita hanno trovato una strada diversa da quella del rivoluzionario di professione. (S.L.L.)
Zarko, il figlio maggiore di Tito |
Compagni di Classe
di Valentina De Salvo
La sveglia era alle sei e mezza, annunciata dalla tromba rivoluzionaria. Poi ginnastica, colazione, studio. Ma anche falegnameria, fotografia, elettronica, cucito, teatro, cinema. Lezioni di materialismo storico e ore di slittino. Lingua unica, il russo. Siamo ad Ivanovo, trecento chilometri a nordest di Mosca, non solo una scuola, ma il laboratorio della pedagogia comunista: perché se è vero che la rivoluzione divora i suoi figli qui sognò di educarli. Mettendo insieme piccoli compagni di banco dai cognomi celebri.
C'erano tre dei figli Mao, quello di Tito e quello di Togliatti, i figli di Longo, la figlia di Dolores Ibarruri. Ma anche la futura moglie di Markus Wolf, l' uomo senza volto, capo dei servizi segreti della Germania Est, i figli del presidente della Repubblica popolare cinese Liu Shaoqi e quello del segretario del Partito comunista americano.
Il progetto era ambizioso e più volte fallito in altre piccole località: raccogliere i figli dei rivoluzionari comunisti sparsi per il mondo, salvarli dalle persecuzioni fasciste e dalle oppressioni di classe facendoli crescere e studiare in un centro d' eccellenza, dai 6 ai 17 anni, per costruire la futura umanità. Per il Soccorso Rosso era fondamentale sorvegliare e proteggere: costruire una scuola quadri per minorenni di tutti i paesi significava prendersi cura dei figli e assicurarsi, così, fedeltà future. Ivanovo diventa un simbolo.
Qui i ragazzini devono stare in guardia dalle spie trotzkiste e dai nemici del popolo, ma hanno il tempo per vedere i film di Chaplin, leggere Dumas e Balzac, giocare e divertirsi, persino quando la Germania nazista assedia Mosca. A raccontare un pezzetto di questa storia è un libro appena uscito (Italia e Cina, 60 anni tra passato e futuro). Prima, c' era stato il diario di Anita Galliussi Seniga (I figli del partito, uscito nel 1966 con una prefazione di Ignazio Silone), ma a fornire le immagini e i dettagli oggi sono gli archivi russi e cinesi fin qui inediti in Italia. Che fanno rivivere facce e quotidianità dei bambini più e meno famosi.
Nel corso degli anni, a Ivanovo si arriva spesso con nomi falsi, che restano addosso come una seconda pelle, e passando per avventure incredibili: molti cinesi vengono avvolti in tappeti e imbarcati su aerei improbabili fino a Mosca mentre i genitori sono impegnati nella Lunga Marcia. Tanti, dalla Francia, dalla Spagna, si muovono in treno, viaggiando, piccolissimi, soli per l' Europa. Scelti e assistiti dal Mopr che deve portarli nella casa voluta dalla presidentessa Elena Stassowa, all'epoca compagna esemplare che aveva lavorato con Clara Zetkin, poi caduta in disgrazia, rimossa persino dalla facciata della scuola per l' epurazione del 1938 (basta una frase per far capire che il suo tempo è finito: «La zia è stata male»).
Così la vita s'intreccia e si annoda: fuori ci sono le purghe di Stalin, Hitler invade la Polonia, la Francia viene occupata, l' Italia fascista entra in guerra, parte l'operazione Barbarossa; dentro i ragazzi ricevono lettere dai loro genitori, esuli, clandestini o combattenti, leggono i giornali del Partito e studiano per accendere il sol dell'avvenire. L'edificio è modernissimo: due piani, uno per i maschi e l' altro per le femmine, sessi separati perché per le promiscuità non si è pronti nemmeno qui. La mensa sembra una sala da pranzo di un rifugio, tra credenze da salotto, piante e tovaglie senza tempo. Nelle camerate si dorme in otto. Al massimo. Ognuno ha un comodino, con scorte di prima necessità (zucchero, soprattutto). Ovviamente la nazionalità non può essere un vincolo per chi si sente cittadino del mondo socialista, dunque la divisione è sempre per classi d'età. Il russo viene insegnato a tutti con corsi intensivi e collettivi senza passare per la lingua d'origine. Nel 1942, ad esempio, l' Internazionale dei bambini ne raccoglie 180 da 29 paesi diversi: ci sono persino un senegalese, un iraniano, un giapponese. Moltissimi i tedeschi. La maggioranza però è cinese, tra cui i figli di Mao. Due maschi, avuti dalla prima moglie, e una femmina, più piccola, dalla seconda. Sono le «pigne» del collegio, come vengono chiamati gli eredi delle celebrità rivoluzionarie. Il figlio di Tito, Zàrko, è più vecchio e ha studiato qui dalla metà degli anni Trenta. Parte volontario contro i tedeschi nel ' 42 e Ivanovo, credendolo morto in un' azione di guerra, lo celebra da eroe. Molta retorica e molta disciplina, nell'educazione dei ragazzi. Pochissime le punizioni, e mai corporali, quando si manifestano (raramente) «i residui del capitalismo»: non dividere con gli altri i cioccolatini, ad esempio, o diventare prepotenti. Come spiega una testimonianza di allora: «Ci veniva inculcata la vigilanza rivoluzionaria, era inconcepibile per noi non regalare anche agli altri i pacchi che ci mandavano i nostri genitori». Ci sono un super-io collettivista e una sorta di democrazia dal basso ma verticistica, ispirata alle strutture dei Pionieri: i piccoli si riuniscono in assemblee per eleggere i capireparto, gli stati maggiori fino agli «organizzatori di massa», specializzati nel gestire le varie attività. I vestiti, invece, vengono dati dal collegio, grazie al Partito e a donazioni popolari. Per questo c' è chi indossa maglioncini a collo alto, chi ha il gilè, tanti hanno giacche un po' fuori misura e camicie con colli adulti. Le ragazzine, dopo restrizioni iniziali, possono avere capelli più lunghi, mettono le mollette, le gonne corte a quadretti.
A Ivanovo c' è un direttore, ci sono maestre, cuochi, insegnanti. Ma la mattina si va a lezione con i ragazzi sovietici, facendo matematica, storia, geografia, nelle scuole pubbliche della città. Poi si torna alla "Casa dei bambini". Dove ci sono i laboratori, dalla fotografia alla falegnameria, almeno due volte a settimana. Si può imparare a costruire un piccolo mulino o un apparecchio radio, sotto lo sguardo di Stalin che vigila senza fine dalle foto alle pareti. C'è, facoltativa, l' ora pratica: il cucito, spazio tradizionalmente femminile, che però l' uguaglianza rivoluzionaria ha difficoltà ad imporre solo alle ragazze. Ci sono campi sportivi, molte proiezioni di film (dai classici di Eisenstein ai musical americani, ma senza saltare la vita di Lenin) e la possibilità di imparare a cantare o a recitare. I ragazzi puliscono, sparecchiano, servono in tavola, regolati da turni interni. È un collegio d' élite e il cibo non manca: solo negli anni della guerra (prima nel ' 40, poi dal ' 41 al ' 44) le cose si fanno difficili. Per l' Urss, per tutti: l' assedio, la fame e pane nero. Eppure Ivanovo va avanti. La biblioteca è uno dei gioielli del centro. Dai libri di storia spesso vengono strappate delle pagine: sono i manuali del partito bolscevico che, sciaguratamente, danno spazio a personaggi che all'improvviso si rivelano «traditori del popolo». Ma ci sono anche i classici dell' Ottocento (Il Conte di Montecristo, tra i più letti) e non solo quelli di Marx o la Costituzione dell' Urss. Si cresce sapendo che la domenica si chiama «giorno libero» e che le feste sono quelle sovietiche, dall' 8 marzo al Primo maggio. C' è chi resta fino a 17 anni, chiudendo il ciclo di studi, qualcuno rientra prima nel suo paese, quando la situazione migliora. Altri, invece, continuano ad andarci. Perché Ivanovo esiste ancora. Nel tempo la proprietà è passata alla Croce Rossa, oggi gli studenti sono quasi tutti russi, ma gli ex, quelli che sono passati di qua, si incontrano per gli anniversari. Hanno seguito carriere diverse, medici, biologi, attori, avvocati. Nell' ex Ddr, in Bulgaria, in Brasile, in Italia. Qualcuno, come Liu Yubin, figlio del presidente del Partito comunista, noto fisico nucleare, si suicidò, misteriosamente, in Cina. Dovevano essere i rivoluzionari di professione del domani. Quasi nessuno lo è diventato.
Nessun commento:
Posta un commento