Da un’intervista rilasciata a Michela Tamburrino e pubblicata su “La Stampa” del 30 luglio 2011 riprendo questo romantico racconto.(S.L.L.)
«Certi contesti cambiano, sole e mare, è un'illusione che restino inalterati. Si trasformano nel nostro ricordo. Io ho vissuto la mia infanzia a Pegli, una perla della riviera Ligure all'opposto di Nervi. Ci si lavorava su e giù con il treno. Le macchine erano poche. Da Milano si gravitava su Voghera, da Torino su Alassio. Noi di Genova si andava lì».
«Le ragazze allora non erano generose. Averne una era un'utopia, farci sesso poi, impensabile. Chi aveva queste capacità erano le bagnanti che arrivavano da fuori, a mucchi in luglio e agosto. Duravano un'estate. Le amavi senza un futuro con la certezza della precarietà. Particolare romantico. Un mese e mai più visti. Al massimo l'anno dopo».
«Io mi ero innamorato di una ragazza di Torino. Si chiamava Gina. Ci eravamo giurati eterno amore. Poi finì l'estate».
«Ero disperato. Dopo un mese raccattai tutti si soldi che potevo, feci di tutto per raccogliere la cifra che mi serviva. Poi comprai una rosa, una di quelle belle con il gambo lungo e un colore pazzesco. E andai alla stazione. Con la mia rosa in mano che non si doveva sciupare arrivai a Torino. Ma i soldi erano finiti e lei abitava non vicinissimo alla stazione: Corso Francia 1350. Sono andato a piedi, quasi di corsa, sempre con la rosa».
«Dicevo, sempre con la rosa in mano bussai tutto agitato alla porta di casa sua. Mi aprì la madre. Mi accolse con estremo calore. Mi rifocillò, prese la povera rosa che aveva risentito del viaggio e la mise in acqua. Poi con un sorriso disarmante mi disse: ''Vai nella camera di Gina, sarà contenta di vederti. Così ti presenta il suo nuovo fidanzato''».
«Scornacchiato me ne tornai a Genova. Fortunatamente avevo già fatto il biglietto di ritorno. In quello ero stato previdente».
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