Su "Le Reti di Dedalus" Marco Palladini ha pubblicato in luglio quel che viene definito "diario d'autore", una sorta di journal pubblico a ridosso della cronica, animato da una forte indignazione civile. Riprendo qui un frammento sui tubi romani, assurti a simbolo di un modo di governare. (S.L.L.)
Da "Le reti di Dedalus" - Ph. di Marco Palladini |
Vedo ancora spuntare sui marciapiedi di Roma-Calcutta dei cilindrici tubi di gomma di colore verde, blu, giallo o rosso spento che traforano l’asfalto rasente i muri oppure bucano i riquadri sterrati attorno ad alberi stenterelli e fanno capolino secondo acefali tuberi di grinzosa plastica, come celibi oggetti abbandonati a se stessi: pure teratofanie metropolitane.
Stanno lì da oltre un decennio, da quando fu varato un progetto di cablatura in fibra ottica dell’Urbe che non è mai stato portato a termine. Altro, ennesimo esempio di pessima programmazione tecnico-amministrativa, di iattante spreco di denaro pubblico. Forse è giusto che i tubi postumi del cablaggio perduto continuino a fare triste mostra di sé, in mezzo alla sporcizia che abitualmente costeggia le strade capitoline.
Sono i perenni, muti testimoni d’accusa della inettitudine (per non dire peggio) del ceto politico (trasversale) che (s)governa le nostre città.
Sono i perenni, muti testimoni d’accusa della inettitudine (per non dire peggio) del ceto politico (trasversale) che (s)governa le nostre città.
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