Torna in libreria, con nuovi attualizzanti interventi di presentazione, un libro di Lorenzo Barbera sulle lotte dei terremotati nella valle del Belice. La prima edizione risale a quasi 40 anni fa, ma può insegnare tuttora molte cose. Qui “posto” la recensione di Andrea Inzerillo, dal “manifesto” del 10 agosto 2011. (S.L.L.)
Il grande affaire del terremoto
Il Belice tra speculazioni e repressione
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un terremoto sconquassa i paesi della valle del Belice, nel trapanese. Le lotte degli abitanti di quella zona e il tentativo di una ricostruzione partecipata sono al centro del bel libro di Lorenzo Barbera, I ministri dal cielo, opportunamente riedito dall'editore :duepunti di Palermo, e che ci riguarda ancora molto da vicino per diversi motivi. Il primo, se si vuole, è di strettissima attualità, e riguarda le ragioni, le modalità, le caratteristiche di una lotta come quella portata avanti dal movimento No Tav in Val di Susa. Goffredo Fofi ne parla nella sua prefazione; lo stesso Barbera ha insistito sulle analogie che legano questi due movimenti popolari distanti nel tempo ma compagni nella volontà di partecipazione democratica per la gestione del proprio territorio e delle sue sorti. E la vicinanza riguarda anche da un punto di vista più generale le strategie statali di disinnesco delle cariche sovversive dei movimenti, che rimangono - proverbiale mancanza di fantasia degli apparati repressivi - identiche a quarant'anni di distanza: manganelli, arresti, provocazioni, infiltrazioni.
I black block di oggi sono i «maoisti» tramite cui la Dc di ieri giustificava le cariche della polizia sui manifestanti inermi. Le gesta di quei contadini e di quelle lotte, prosieguo diretto delle battaglie cominciate negli anni '50 da Danilo Dolci per la costruzione della diga dello Jato, hanno dunque un interesse che eccede il semplice dato storico e assume un carattere atemporale. Da questo punto di vista il libro di Barbera è un manuale di educazione alla democrazia e di propedeutica della resistenza. Il fatto poi che sia ambientato in una terra che storicamente di resistenza ne ha conosciuta poca rende la lotta di quei protagonisti particolarmente epica: ma l'epopea non deve far dimenticare che è sulla pelle di quelle persone, attraverso la loro diretta esposizione, che le battaglie si sono potute vincere. Il tutto nell'Italia degli anni '70, quella in cui il legame tra mafia e istituzioni sembrava pressoché invincibile e in cui si sperimentavano alleanze politiche che mettevano freni anche a quelle forze più progressiste che invece di prendere le parti dei più deboli preferivano tacere prudentemente.
Ancora una volta, ogni eco contemporanea è dimostrazione della forza del libro e di quella vicenda: le cariche dei terremotati dell'Aquila davanti a Montecitorio non sono altro che la ripetizione di un identico scenario avvenuto anni prima qualche centinaio di chilometri più a sud. (E più in generale una politica ricondotta a reazione alle emergenze, più interessata a gestirle che a prevenirle: anche questo ci dice molto, dall'immondizia alla proliferazione dei commissari straordinari fino al business della protezione civile).
I ministri che sbarcano con gli elicotteri a stringere mani e a promettere benefici sono lo stesso terreno di coltura dei presidenti del consiglio che sbarcano nelle isole, acquistano ville e promettono casinò. I ministri dal cielo è dunque attualissimo per tutte queste ragioni, e insieme inattuale perché racconta una storia che fin dalla nascita della repubblica caratterizza la società italiana e che probabilmente avrà molto ancora da insegnare di qui in futuro. Il libro vale anche come possente e duraturo promemoria, insomma. C'è tuttavia una differenza preoccupante: quei contadini, quei terremotati, si ribellavano più di quanto la nostra contemporaneità sia abituata a vedere. E i meccanismi di criminalizzazione dei dissenzienti, meccanismi che quei manifestanti erano capacissimi di identificare e bravissimi a rispedire al mittente, sembravano molto più chiari allora di quanto non appaiano oggi agli occhi della popolazione. Forse bisogna guardare a quelle lotte per recuperare una capacità di analisi delle situazioni e reinventare modalità di azione collettiva.
Un ultimo punto, tra i tanti: l'emigrazione. Possiamo credere che le cifre presenti nel libro riguardino il passato, chiudendo gli occhi su una drastica e crescente emigrazione in un'unica direzione, come se i biglietti gratuiti di sola andata dal sud verso il mondo intero non fossero mai finiti. Possiamo credere, come il ministro Donat-Cattin voleva dare a intendere ai contadini del Belice, che si tratti di una scelta di libertà («Volete forse impedire alla gente di emigrare dove vuole? Oggi abbiamo la democrazia e la libertà»). Ma è evidente a tutti, come dice Ciccio Giovenco in preda a furorica esaltazione, che si tratta della libertà del lupo contro la pecora. Che la drammatica attualità di una perenne questione meridionale sia una delle urgenze più improcrastinabili della vita politica di tutti gli italiani, al di là di ogni anniversario patriottico, è cosa talmente evidente da non meritare neanche un'eccessiva discussione. Ciò che invece merita di essere discusso è la modalità di azione per invertire immediatamente questo lento salasso delle risorse della nazione. Il libro di Lorenzo Barbera ha il grande merito di rimettere sotto gli occhi di tutti l'urgenza di questa necessità.
Nessun commento:
Posta un commento