Questo fu uno degli ultimi
articoli scritti da Marcello Cini, scienziato e compagno di valore, per “il
manifesto”: un interrogativo, in forma di recensione, sulla condizione umana
nel nostro tempo, un messaggio etico-civile tutt'altro che rassicurante, ma capace
di scuotere coscienze. (S.L.L.)
Il libro di Giuliano Cannata Si spegne, signori, si chiude, XL
edizioni è un libro controcorrente, originale e persino inquietante. L'autore
parte da una estrapolazione dei dati sulla diminuzione del tasso di aumento
della popolazione in tutti i paesi del mondo che contrasta ormai con la
previsione allarmista assai diffusa di una crescita catastrofica ancora per
qualche decennio. La realtà non sembra lasciare dubbi. L'autore calcola che tra
una ventina d'anni gli esseri umani che nasceranno sulla Terra saranno meno dei
morti a regime: la popolazione del mondo dovrebbe cominciare a diminuire. Già
oggi i numeri della cosiddetta «crescita zero», che siamo abituati ad
attribuire all'Italia o all'Europa, si estendono a tutto il resto del mondo: il
boom demografico, quei dieci o più miliardi di bocche temuti e minacciati che
ha segnato in modo drammatico il nostro recente passato, si è rovesciato in
soli vent'anni.
La rivoluzione demografica -
spiega l'autore - madre di tutte le statistiche, appare straordinariamente
rapida, travolgente. Nelle ragioni del rinvio o del rifiuto a generare che essa
richiama, insieme alle difficoltà economiche e alla carenza di servizi sociali,
insieme alla esigenza di affermazione sociale, politica, professionale della
donna incredibilmente impedita sino ad oggi, affiora anche una componente-guida
antropologico-culturale, psicologica come una volontà inconscia di sottrarsi al
richiamo della procreazione, della vita trasmessa. In poche parole - prosegue -
fra le ragioni che spingono a non generare c'è il dubbio sulla
"bontà" della donazione dell'esistenza, paragonata con la vita e con
la morte che essa prepara.
Se c'è questo dubbio inconscio e
se si somma e si scambia con il desiderio inconscio di non essere nato, ecco
che quella diminuzione si colora di rifiuto, una negazione quale il mondo,
l'evoluzione, la scienza non credeva possibile.
La grande e antica questione -
quale è il senso della vita? - diventa ineludibile. Finché non era possibile
decidere di non dare la vita, alla domanda si poteva anche non rispondere. Ogni
individuo, ogni comunità, ogni cultura poteva dare la propria risposta. Ma oggi
la possibilità di controllare lo sviluppo futuro della specie si diffonde
sempre di più in tutto il mondo. E un numero crescente di uomini e donne lo sta
già facendo. Vale la pena scegliere di dare la vita a un nuovo nato, e con
essa, un'esistenza per molti segnata da eventi drammatici, privazioni, dolori
fisici e morali e coronata da una morte spesso prematura ma in ogni caso
inevitabile? Non è meglio non essere mai nato che nascere con il fardello di
vivere una vita ai limiti della pura sopravvivenza «finché morte non
sopravvenga»?
Queste domande si accompagnano a
quelle sulla nostra responsabilità come collettività umana nei confronti di
quelle future. In primo luogo quella sulla responsabilità di lasciare dopo di
noi un ambiente vivibile. Ma cosa significa in termini concreti? Con quali
criteri giudicheranno i nostri posteri la bellezza e la felicità?
Il libro affronta questi temi e
altri ancora con grande ricchezza di riferimenti filosofici e culturali e di
considerazioni che pongono interrogativi profondi. È indubbiamente destinato a
suscitare polemiche e vivaci dibattiti. Vale la pena meditarci sopra, in questa
epoca.
“il manifesto”, 21 febbraio 2009
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