Ho visto stasera, su Rai Premium, i Viceré televisivi con
Lando Buzzanca, una replica. Non ho con me il volume e non posso controllare, ma sospetto che
la banalizzazione caratteristica di questi adattamenti sia stata per il romanzo
di Federico De Roberto maggiore del solito.
E tuttavia, anche in un contesto melò come quello del film televisivo,
colpiscono frasi come quella messa in bocca al vecchio, terribile Uzeda: “L’Italia
è fatta, adesso pensiamo ai fatti nostri”. E anche il comizio elettorale del
suo figliolo Consalvo, erede della stirpe dei viceré, per quanto spettacolarizzato, ci
parla del nostro eterno presente di italiani: una serie di “ma anche”
che rammentano Veltroni (per esempio “vogliamo le riforme, ma anche la
tradizione”) e soprattutto la chiusa da larghe intese trasformistiche: “Viva il
Re, viva la Rivoluzione, viva Sua Santità”.
Guardando m’è venuta in mente la strana
diceria che, a Napoli e non solo a Napoli, circolava sull’attuale Presidente della
Repubblica. Basandosi su una certa somiglianza fisica, davano per certo
che Giorgio Napolitano fosse figlio naturale di quell’Umberto di Savoia che fu
luogotenente del Regno d’Italia e re per un mese.
La storia è certamente inventata:
tanti particolari non tornano; e tuttavia anche nell’invenzione c’è spesso una qualche
verità interna. Una discendenza dai Savoia dell’attuale capo dello
stato - politica e culturale, se non genetica – non è affatto da escludere e la stretta parentela con gli Uzeda di Francalancia è molto probabile.
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