Sebastiano Vassalli |
L'epigrafe della fine è
la stessa dell'inizio, un verso di Cecco Angiolieri: «Io nacqui come
fungo a' tuoni e venti». La doppia citazione accompagna, assurge a
morale e compendia il racconto che Sebastiano Vassalli fa di se
stesso nella lunga conversazione avuta con il critico Giovanni Tesio,
all'origine del libro Un nulla pieno di storie. Ricordi e
considerazioni di un viaggiatore nel tempo (Interlinea).
Strappatagli dopo tante richieste da Roberto Cicala e dagli amici
della casa editrice di Novara, la città presente in molta parte
della sua vita, l'autobiografia di questo scrittore, tra i maggiori e
anche tra i più riservati, ne conferma la ricchezza umana e
letteraria, la libertà intellettuale, la coerenza. Giunto alla
vigilia dei settant'anni, Vassalli ripercorre la sua esistenza, senza
mai nascondersi o mascherarsi, a cominciare dalla travagliata e
dolorosa infanzia in cui fu abbandonato dai genitori. Il padre
ricomparirà nel suo bel romanzo L'oro del mondo: «Mio padre,
che per dargli un nome chiamerò il Merda, era un uomo di trentatré
anni, senza né arte né parte. (...) Non avrebbe voluto sposare la
ragazza che aveva messo incinta, ma i fratelli di lei lo minacciarono
e, in pratica, lo costrinsero. Alla fine i due scombinati si
sposarono e mia madre, finché visse, mi attribuì la colpa e la
responsabilità di quel matrimonio sbagliato. Se non fosse stato per
me, e se io non mi fossi ostinato a rimanere dentro alla sua pancia,
lei non avrebbe sposato il Merda!». Fascista di Salò, «il Merda»,
dopo la guerra, si separò dalla moglie, facendola passare per «una
donna di malaffare, una puttana», e ottenne la tutela di Sebastiano,
sistemato da due sue sorelle che lo tenevano come «in deposito»,
«perché altrimenti avrebbe dovuto pagare il mio mantenimento. Lui,
invece, non voleva pagare niente». La mamma ne fu contenta, «credo
che sia stata ben lieta di liberarsi in un solo colpo del suo
matrimonio sbagliato e di chi era stata la causa, cioè di me». Il
racconto prosegue con la guerra, l'amore, il dramma della prima
moglie; e continua declinandosi nel suo rapporto con Dio, con il
paesaggio, la politica e con l'avanguardia, in particolare quella
rappresentata dal Gruppo 63, che lo scrittore, memore della giovanile
adesione, definisce «una non-avanguardia, un non-gruppo, un
non-tutto-e-ilcontrario-di-tutto». Molto meglio, allora, con il
classico senno del poi, «la posizione di Giorgio Manganelli: che
qualche anno dopo l'incontro di Fano (del Gruppo 63, ndr ), nel
teatro di Orvieto gridò a un gruppo di contestatori “la
letteratura è merda, lo so, ma a me la merda piace!”». Vassalli
si sofferma sulla riscoperta della parola e ragiona del carattere
degli italiani, della mafia, dell'emergere prepotente del Paese
sommerso illegale; fino all'inevitabile «signor B.», Silvio
Berlusconi ovviamente, «italiano vero», nei difetti, come nella
canzone di Toto Cutugno: «Se non ci fosse stato lui, sarebbe
arrivato un altro con un'altra iniziale, o forse addirittura con la
stessa iniziale». Amarezze, disincanti, s'addensano, insieme ad
altri ricordi a volte felici e al desiderio, non spento, di
raccontare ancora delle storie. Proprio alla letteratura affida la
speranza: «Sì, io credo nella letteratura. L'arte del racconto,
come la grande poesia, non può morire. Omero non può morire».
Vassalli, invece, vorrebbe che le sue ceneri «venissero sparse
davanti alla casa dove ho vissuto i miei ultimi anni, nel piccolo
bosco che ho piantato io stesso».
“la Repubblica”, 23
settembre 2010
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