Sfogliando vecchie copie
di “micropolis”, in cerca di articoli di Maurizio Mori, trovo
questa scheda, da me stesso compilata, nella rubrica dei “libri ricevuti” di un numero
del 2003. Ne approfitto per rileggere le sue poesie che tanto mi
avevano colpito e il giudizio non muta, siamo di fronte a una voce
alta, a un pensiero poetante. Cerco di Clarissa notizie fresche sul
web e trovo, a malapena, la conferma di una cosa che vagamente avevo
saputo (non so dire come, quando e dove) che cioè si era cimentata
con la pittura, precisamente con una forma originale e rinnovata di
op-art, di cui si trova un'icona cercando con Google. Ma il sito a
Clarissa intitolato che dovrebbe contenere ben gli esiti delle sue
ricerche non c'è. La pagina non esiste più e non c'è il modo di
recuperarla. Voglio comunque pubblicare questa mia vecchia scheda
anche come messaggio nella bottiglia, nella speranza che Clarissa
legga, si faccia viva e mi renda partecipe delle sue nuove produzioni
d'artista da cui molto mi attendo. In questo stesso blog, in altri
post, pubblicherò alcune sue poesie. (S.L.L.)
Clarissa Verducci, Diario
di realtà, Caltanissetta, Libroitaliano World, 2002.
L’autrice di questa
raccolta di poesie è nata e cresciuta e si è diplomata in Umbria, a
Bastia Umbra,ma vive dal 1991 a Copenaghen, dove si è laureata in
Lettere Italiane e Storia delle Religioni e tuttora risiede. Da
queste scarne indicazioni della copertina non si desume l'’età
esatta della poetessa, che comunque dovrebbe avere meno di
quarant’anni. I testi, disposti in ordine cronologico, coprono un
arco temporale che va dall’autunno del 1993 all’estate del 2001.
Le prove più antiche
appartengono al genere classico della “lirica” e il loro tema è
una “situazione” cioè la dialettica che si realizza tra un
“sito” (luogo e momento) e uno stato d’animo e l’avventura
che ne consegue. Prevalgono i paesaggi nordici, statici e brumosi,
ove le nebbie celano cose e persone, e lasciano intravedere “un
niente misterioso e buio,/ un interrogativo sospeso a mezz’aria, /
un ovattato buco fumoso” e determinano una “soffice, appannata
densità”, ove i pensieri possono “fare il loro nido”. Il sole
quando c’è “si tiene accucciato” e invecchia l’immagine
della città al punto “che Copenaghen sembra Roma”. In queste
poesie sempre sorprendono gli incipit, letterarissimi eppure nuovi
(“Stasera sotto la nebbia / s’è nascosta la città”, “Se il
sole splende arancio sopra i giorni”, il leopardiano “Tarda è
l’alba e serena”; “E mi auguro piogge/ e ognimodo di
tempesta”). Le poesie successive parlano d’amore e d’assenza ed
alcune immagini per potenza rammentano l’antica Saffo, peraltro
quasi esplicitamente citata. Si i può leggere infatti “Così
adesso l’animo è battuto come la quercia al vento” e
dall’assenza di eros (o, se si vuole, dall’eros dell’assenza)
veder ergersi versi semplici e duri: “Quanto è amaro il pane
dell’esilio. /Senza te non c’è più Patria, / senza te non ho
più fame”.
Dentro questi temi e
luoghi si fa strada una ricerca - moderna più che postmoderna - di
tipo filosofico: la parola poetica cerca un inafferrabile senso
dell’essere e dell’esserci, un dio “che forse, magari, chissà
/ esiste davvero”, ma che è stato negato dalla religiosità e
ritualità, cerca comunque una “nicchia di conscio”, una
“felicità che ci scovi e ci espugni”.
Strana poetessa Clarissa. Si comincia a leggere il suo libello incuriositi dalla storia di una giovane ragioniera bastiola, che va a Copenaghen a studiare letteratura e scienza della religione e lo si chiude pieni di immagini, concetti, dubbi. Una voce alta che meriterebbe ben altro che l’autoedizione.
Strana poetessa Clarissa. Si comincia a leggere il suo libello incuriositi dalla storia di una giovane ragioniera bastiola, che va a Copenaghen a studiare letteratura e scienza della religione e lo si chiude pieni di immagini, concetti, dubbi. Una voce alta che meriterebbe ben altro che l’autoedizione.
micropolis marzo 2003
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