In principio furono le
cravatte a poche lire vendute per le strade di Milano da immigrati
cinesi provenienti dalla Francia agli inizi del '900. Poi, molti anni
dopo, a cominciare dagli '80, i ristoranti. Dal punto di vista
economico la comunità cinese non somiglia a nessuna delle grandi
comunità immigrate in Italia: la sua principale caratteristica è
l’imprenditorialità. Su poco più di 300 mila cittadini cinesi
regolarmente residenti al gennaio 2013 (la terza comunità
nazionale), infatti, ben 39 mila erano commercianti, il 13 per cento.
Un numero davvero cospicuo se si tiene conto del fatto che più di un
quarto sono minorenni e che non tutti lavorano. L’analisi per
settori occupazionale conferma poi un altro aspetto determinante,
quello di una comunità che produce lavoro e occupa prevalentemente,
se non esclusivamente, connazionali. Il 65% dei cinesi, che conoscono
tassi di disoccupazione più bassi della media della popolazione
immigrata, lavora nei servizi e di questi, il 60% è impiegato nel
commercio e nella ristorazione. Negozi, bar, ristoranti a conduzione
familiare che impiegano parenti e non e laboratori industriali,
soprattutto di tessile, come a Prato, che costituiscono il secondo
ambito di impiego con il 34,2%. Il ristorante cinese, la prima forma
di presenza molto visibile negli anni ’90, non è figlio di una
vocazione, ma è considerato il primo gradino. Se e quando il
ristorante funziona e consente di fare un investimento, si punta al
negozio.
Quella cinese è
percepita come una immigrazione separata dalle altre e in parte lo è:
se c'è una comunità mondale che si può definire diaspora è quella
cinese. Sia per storia antica, in tutto il sudest asiatico (6 milioni
in Malesia, 7 in Thailandia, uno e mezzo in Vietnam), che per storia
più recente in diverse città europee (Parigi, Londra, Milano,
Roma). I legami con la madrepatria, le relazioni familiari come
calamita dell’emigrazione e dell’integrazione nei Paesi, quelle
con altre comunità del continente di emigrazione sono
caratteristiche speciali delle comunità cinesi che le fanno
percepire come più chiuse e distanti dal contesto in cui si trovano.
Nel Sudest asiatico i cinesi si trovano spesso a essere oggetto di
forme di aggressione in tempi di crisi proprio perché sono una
presenza costante nel tempo, ma percepita come separata.
Anche in Italia vale il
meccanismo familiare: gli immigrati cinesi vengono quasi tutti dalle
regioni del Zejihang, Fujian e Guandong, ovvero la fascia costiera
tra Hong Kong e Shanghai, culla del grande balzo in avanti cinese
degli ultimi venti anni.
Per quanto riguarda i
luoghi di insediamento, la Lombardia, il Lazio e la Toscana sono le
regioni con più presenze. Quest’ultima è un caso a parte: tra
Firenze e Prato vive il 17,5% dei cinesi d’Italia, mentre la media
degli stranieri in quelle province è del 2,7% e 1,6%. Enorme anche
il flusso di rimesse, che negli anni passati, assieme a fiumi di
soldi simili provenienti da altri Paesi, ha contribuito a finanziare
la crescita della Cina. Nel 2012 2 miliardi e 674 milioni di euro
sono tornati a casa. Si tratta del 39% del totale delle rimesse, il
che significa che i cinesi hanno una capacità di risparmio
enormemente più alta di altri gruppi e che tendono ad avere un
rapporto con la madre patria molto stretto.
"Pagina 99 we", 13 dicembre 2014
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