“La gloria della
nazione britannica”
A un osservatore sagace
come Voltaire non era di certo sfuggita l’ostentata devozione con
cui gli inglesi avevano dato l’ultimo saluto a Isaac Newton, «la
gloria della nazione britannica», come lo definì una gazzetta
nell’annunciarne la morte il 20 marzo 1727. Nell’abbazia di
Westminster, dove otto giorni dopo furono celebrati i funerali, il
philosophe vide sfilare davanti ai suoi occhi il Lord
Cancelliere, due duchi e tre conti che reggevano il feretro, con al
seguito un lungo corteo che, oltre ai familiari, comprendeva numerose
personalità di alto rango. Un funerale di stato in piena regola, che
si concluse con la sepoltura di Newton in «una posizione eminente»
della navata centrale, alla stregua «di un re che avesse fatto del
bene ai suoi sudditi», come con un po’ di sarcasmo annotò
Voltaire.
Ovviamente, quei funerali
così solenni rendevano omaggio all’uomo pubblico che nella sua
carriera aveva ricoperto cariche prestigiose, al Newton cioè
consigliere di fiducia del governo, direttore della Zecca, presidente
della Royal Society e insignito del titolo di cavaliere dalla regina
d’Inghilterra. Ma a essere celebrato era soprattutto il Newton
scienziato, l’autore di capolavori come i Philosophiae naturalis
principia mathematica (1687) e l'Opticks (1704), destinati
a segnare per sempre la storia della scienza.
Nessuno o quasi sapeva
che l’uomo seppellito con tutti gli onori a Westminster sul letto
di morte avesse rifiutato i sacramenti della Chiesa anglicana, di cui
deplorava il trinitarismo, che giudicava una forma di idolatria. Ed
erano davvero in pochissimi a sospettare che Newton avesse dedicato
un tempo incomparabilmente maggiore all’esegesi biblica,
all’alchimia e alla cronologia universale che non a tutte le altre
discipline da noi oggi considerate, in senso proprio, scientifiche.
Ma nel 1728, la pubblicazione postuma della sua Chronology of
Ancient Kingdoms Amended (La cronologia degli antichi regni
emendata) avrebbe fornito ai contemporanei un primo saggio di
questi interessi, e scatenato subito un grande dibattito. Attraverso
un estenuante sfoggio di fonti antiche, non privo di ardite
speculazioni filologiche, Newton presentava infatti una drastica
revisione della cronologia tradizionale, contraendo la storia greca
di cinquecento anni e quella egizia di un millennio. Sulle vere
ragioni però che lo avevano spinto a una simile impresa il silenzio
era pressoché assoluto. Ed è proprio su di esse che getta nuova
luce il magistrale lavoro di Jed Buchwald e Mordechai Feingold, che
ricostruisce il coinvolgimento di Newton nello studio della
cronologia (Jed Z. Buchwald-Mordechai Feingold, Newton and the
Origin of Civilization, Princeton University Press, Princeton,
2013).
Storia sacra e
storia pagana
Newton iniziò a
occuparsi di cronologia intorno al 1700, al culmine di approfondite
indagini storiche che lo vedevano ormai impegnato da parecchio tempo.
Aveva passato al setaccio una quantità enorme di fonti classiche,
tra cui Erodoto, Clemente di Alessandria, Diodoro Siculo, Eusebio di
Cesarea, insieme ad altri Padri della Chiesa e alle Sacre Scritture.
Ma non si trattava di erudizione fine a se stessa. Quelle letture,
come mostrano Buchwald e Feingold, scaturivano da esigenze teologiche
ben precise: ripristinare nientemeno l’originaria e vera religione,
per capire come e perché si fosse corrotta. E in questo contesto
risultava fondamentale spiegare le discrepanze tra la cronologia
degli storici pagani e quella dell’Antico Testamento,
l’unica che Newton considerasse attendibile.
Dopo lunghi anni di
ricerche bibliche, Newton si era convinto che l’originaria
religione monoteistica, quella cioè che Dio aveva insegnato ad Adamo
ed Eva, fosse stata ripetutamente corrotta in una forma di adorazione
di falsi dei. Restaurato da Noè, l’autentico culto di Dio fu di
nuovo ristabilito da Mosè e poi da Gesù, cadendo però, a causa del
trinitarismo introdotto dalla Chiesa cattolica, ancora una volta
nell’idolatria. Newton credeva inoltre che le verità ricevute
dagli ebrei non riguardassero soltanto il culto originario di Dio, ma
anche l’universo che Egli aveva creato. A Noè e alla sua progenie
Dio aveva infatti rivelato che la struttura del mondo è
eliocentrica; una sapienza antica che si era smarrita con il sorgere
di false religioni, a tutto vantaggio dell’erronea cosmologia
geocentrica.
Fu sulla base di queste
convinzioni che Newton scrisse La cronologia degli antichi regni
emendata. Intendeva dimostrare che la civiltà ebraica, a
dispetto dell’opinione prevalente, veniva senz’altro prima di
quella egizia. Erano stati Noè, i suoi figli e nipoti che, dopo il
diluvio, avevano portato in Egitto l’antica sapienza ricevuta da
Dio, e che dagli egizi era stata poi trasmessa ai greci. Come era
possibile dunque conciliare la storia sacra con quella pagana? Newton
non aveva dubbi: occorreva riformare la cronologia tradizionale degli
antichi regni e correggerla attenendosi alle solide basi della
Bibbia. Un’operazione tutt’altro che semplice poiché, a suo
avviso, tutte le nazioni, a eccezione di quella ebraica, per
accrescere la loro antichità si erano falsamente attribuite
centinaia di anni in più. Ma che Newton intraprese con un metodo
originale e complesso, dove per l’interpretazione delle fonti
antiche diventava indispensabile l’uso della matematica e
dell’astronomia. E che Buchwald e Feingold ci aiutano a seguire fin
nei minimi dettagli, rivelandosi delle guide scrupolose ed
eccellenti.
La matematica e
l'astronomia applicate alla storia antica
Si scopre così che un
aspetto importante del metodo di Newton consisteva nel confutare,
attraverso rigorosi calcoli matematici, il criterio di datazione
degli antichi cronologisti. E che pertanto le loro cronologie
dovevano essere significativamente ridimensionate rispetto alle loro
pretese lunghezze. Ma a colpire ancor di più è il modo in cui
Newton impiegava gli strumenti dell’astronomia per collocare la
spedizione degli Argonauti, dietro il cui mito pensava si nascondesse
un evento storico reale, 45 anni dopo la morte di Salomone. Un
risultato, a suo avviso, della massima rilevanza, poiché gli
consentiva di stabilire una nuova datazione della guerra di Troia, la
cui distruzione sarebbe dunque avvenuta dopo la costruzione del
Tempio di Salomone.
Newton, come ci ricordano
Buchwald e Feingol «lavorò su questi problemi fino a pochi giorni
prima di morire», determinato a dare alla sua riforma della
cronologia quel "rigore matematico" che tutti gli
riconoscevano. Ma altrettanto determinato a occultare che tale
riforma fosse strettamente legata al suo schema genealogico dei
discendenti di Noè e al suo tentativo di restaurare l’autentica
religione monoteistica. Gli esiti di queste ricerche preferì
mantenerli segreti, disseminandoli in una massa impressionante di
manoscritti. La ragione era quanto mai comprensibile: la negazione
della Trinità, nell’Inghilterra dell'epoca, costituiva un reato
perseguibile per legge. E Newton lo sapeva molto bene: nel 1710, il
suo discepolo William Whiston, che aveva scelto come suo successore
sulla cattedra di matematica a Cambridge, fu bandito su due piedi
dall’università proprio per aver pubblicamente sostenuto
l’antitrinitarismo.
L'unicità del
metodo
Sarebbe tuttavia
riduttivo considerare il libro di Buchwald e Feingold come una
semplice, per quanto apprezzabile, ricostruzione degli studi
cronologici di Newton. Il loro obiettivo è decisamente più
ambizioso: dimostrare che il Newton dedito alla teologia, alla
cronologia, airalchimia e alla prisca sapientia non avesse
niente di diverso dallo scienziato che aveva svelato la natura
composita della luce solare, inventato il calcolo infinitesimale ed
enunciato la legge di gravitazione universale. Una tesi, possiamo
dire con un po’ di orgoglio, sostenuta già da un grande studioso
italiano di Newton scomparso circa dieci anni fa, Maurizio Mamiani,
cui dobbiamo la prima edizione mondiale del Trattato
sull’Apocalisse (Bollati Boringhieri, 1994), ma che gli autori
purtroppo non citano. In ogni caso, Buchwald e Feingold hanno il
merito di aver analizzato tutti quei manoscritti che, soprattutto a
partire dagli anni Settanta del secolo scorso, rappresentano una
sfida costante per chiunque si occupi di cose newtoniane, sollevando
questioni di estremo rilievo. Che legame c’è tra gli interessi
documentati dai manoscritti e le ricerche di Newton nel campo
dell’ottica, della meccanica e della matematica? Il Newton nel suo
laboratorio alchemico, alle prese con crogioli e fornaci, era lo
stesso che analizzava il passaggio della luce attraverso il prisma o
che misurava la caduta dei gravi nei diversi mezzi? Cosa ha a che
fare il Newton interprete dell’Apocalisse con l’uomo che scrisse
i Principia mathematica? E come è possibile conciliare il
Newton immerso nello studio della prisca sapientia con l’autore
dell’Opticks?
È a queste domande che
cerca di dare risposta l’imponente lavoro di Buchwald e Feingold,
che documenta come l’approccio di Newton ai diversi campi del
sapere si basasse su un "metodo unico”, dove a contare erano
sempre i numeri e i dati empirici, fossero essi i fenomeni
osservativi piuttosto che le Sacre Scritture o le testimonianze dei
classici. Un Newton insomma tutto d’un pezzo, destinato a far
discutere gli specialisti, ma che rappresenta indubbiamente uno dei
contributi più innovativi degli ultimi anni nella prolifica
Newtonian industry.
“Il Sole 24 ore
Domenica”, 19 gennaio 2014
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