Sylvia Plath (1932-1963) |
L'autrice, la saggista e
poetessa americana Elizabeth Winder, mette subito le mani avanti:
«Questo libro è un tentativo di smontare il cliché della Plath
artista maledetta». Per lei, la giovane Sylvia Plath, di cui vuole
fare il ritratto, era «una persona vulnerabile e giocosa, che amava
lo shopping quanto la lettura», una ragazza pazza per
l’abbronzatura, i tubini neri e le scarpe décolleté di tutti i
colori. Ma il suo interessante racconto-inchiesta La grande
estate. Sylvia Plath a New York, 1953 raggiunge davvero questo
obiettivo? Era proprio così giocosa quella ragazza con i capelli
biondi alla June Allyson e il rossetto Revlon Cherries on th snow,
cioè ciliegie sulla neve?
Tornare a indagare, dopo
fiumi di pagine scritte, sull’icona della poetessa americana
suicida a 31 anni in un buio appartamento londinese, con due figli
piccoli nella stanza accanto, consegnata al mito da questo gesto
forse ancora di più che dai suoi meravigliosi versi, non è
un’impresa facile. Winder però ha trovato una strada inedita e
interessante: è andata a ripescare le ragazze che hanno condiviso
con Sylvia l’avventura newyorkese che fu sicuramente uno degli
eventi memorabili della sua vita e alla quale otto anni dopo consacrò
buona parte del suo unico romanzo, La campana di vetro,
pubblicato all’inizio del 1963, solo un mese prima della sua morte
volontaria. Le ha intervistate, ha frugato nei loro ricordi, li ha
collegati alle lettere familiari di Sylvia, (ora Guanda ripubblica
quelle destinate alla madre: Quanto lontano siamo giunti) e ai
suoi diari, poi ha miscelato questo materiale con l’atmosfera, la
cultura, la vita materiale del periodo e ha realizzato una sorta di
backstage, un appassionato dietro le quinte del romanzo, ma
soprattutto un affresco interessante e animato della New York al
femminile degli anni Cinquanta, quegli anni in cui tutto stava
cambiando ma ancora non cambiava. Tutto sarebbe successo un attimo
dopo, nei Sessanta: il movimento per i diritti civili, il femminismo,
la pubblicazione di quel rivoluzionario saggio di Betty Friedan, La
mistica della femminilità, che spiegava alle casalinghe
disperate dell’epoca le ragioni della loro disperazione e offriva
un’arma per una vita migliore alle ragazze che si affacciavano alla
società.
Il cambiamento dunque è
nell’aria, ma non c’è ancora quando comincia per la ragazza
Plath l’avventura o il sogno (tale lo considerava lei stessa : «Ho
sognato New York e sto per andarci») dell’estate newyorkese. La
mattina del primo giugno 1953 Sylvia e le altre diciannove ragazze
presero alloggio nell’elegante hotel Barbizon, all’angolo tra
Lexington Avenue e la Sessantatreesesima Strada, il cuore della city
che conta. Erano state scelte per tre settimane di praticantato dalla
rivista «Mademoiselle» che ogni anno ad agosto dedicava un numero
alla vita nel college. «Mademoiselle non era una rivista come le
altre e Winder» lo spiega molto bene: ammirata per il suo stile e
famosa per aver pubblicato inediti di Truman Capote, William
Faulkner, Tennessy Williams e Flannery O’Connor, era rivolta a una
lettrice «perfettamente adatta al college, alla carriera o ai
cocktail» - anche se quanto alla carriera, racconta una delle ex
praticanti di quel ’53, per una ragazza che volesse lavorare a quel
tempo la strada era ancora soprattutto quella della segretaria o
della stenografa. «Mademoiselle» aveva un taglio diverso dal
rigoroso e raffinato «Vogue» o dal sofisticato e filoparigino
«Harper’s Bazaar»: sulle sue pagine si vedevano ragazze che
rispondevano al telefono, andavano in bicicletta, consultavano libri,
non solo bellezze in posa. Anzi, le modelle erano di due tipi, le
inarrivabili statuarie professioniste delle passerelle e qualche
indossatrice per caso, la tipica ragazza carina della porta accanto,
un nuovo tipo di beauty che un’intellettuale come Mary
McCarthy si affrettò a definire “immatura in modo quasi doloroso”.
Le praticanti selezionate
dovevano attenersi auna disciplina mondano-professionale molto
rigida: dovevano sempre «portare guanti, orecchini accettabili,
cappello elegante e, mai e poi mai, scarpe bianche». Quanto alla
loro giornata, era una frenetica alternanza di sfilate, interviste ad
autori (Sylvia sperava in Dylan Thomas, le capitò Elizabeth Bowen),
sessioni fotografiche, giri in città, lavoro redazionale, e parties,
un mare di parties (il titolo originale del libro è: Pain,
Parties, Work), oltre, naturalmente, molti corteggiamenti
invariabilmente inconcludenti. Proprio in quell’inizio dei
Cinquanta a New York c’era un fenomeno nuovo: la città si stava
riempiendo di ragazze giovani che sognavano una vita diversa da
quella della casalinga. Diversa? Fino a un certo punto. Dichiara
all’epoca una praticante della rivista: «Come gruppo ci auguriamo
di conciliare il matrimonio (e almeno tre bambini) con la carriera».
E Sylvia, come se la
cavava Sylvia in quella euforica estate? Malgrado la passione per lo
shopping e per i rossetti scarlatti non troppo bene, si direbbe
proprio a leggere il libro di Winder, e non solo perché poco tempo
dopo il ritorno a casa da New York, il 24 agosto di quello stesso
1953, tentò il suicidio. In quel giugno lei, che fin da piccola non
aveva mai tralasciato di tenere un accurato diario, scrisse solo una
nota, e la dedicò non alla vivace vita sociale della città ma alla
esecuzione dei coniugi Rosenberg considerati spie comuniste: «Nessun
grido, nessun orrore, nessuna grande rivolta. (...) Il massimo di
reazione emotiva degli Stati Uniti sarà un ampio sbadiglio
democratico, superannoiato, noncurante e soddisfatto». Le sue
colleghe di «Mademoiselle» hanno confessato a Winder che all’epoca
non sapevano neppure chi fossero i Rosenberg. A sua madre Plath aveva
scritto: «La vita si svolge così intensamente e in fretta che
qualche volta mi domando chi sono io». Ma lo sapeva benissimo: lei
era una poetessa, e benché fosse giovane e seducente e amasse le
gonne aderenti e i tacchi a spillo, i parties e tutto il
glamour di New York non potevano allontanarla dalla sua
strada, con tutto il suo fulgore e il suo dolore.
"Il Sole 24 ore - Domenica", 22 marzo 2015
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