Una pagina di calendario benedettino |
Regolare il tempo non è
soltanto uno degli aspetti più significativi della nostra vita
sociale; è anche una caratteristica essenziale della cultura
contemporanea, in quanto fondata su un concetto di razionalità che
evoca di per sè il calcolo, la precisione, la puntualità, la
standardizzazione. Ma l'istituzione della regolarità temporale è
un'idea piuttosto antica.
Duemila anni fa, i
rabbini già tendevano a disciplinare la vita individuale, come pure
quella collettiva, attraverso un rigido orario giornaliero dei
servizi religiosi. Furono tuttavia i monaci benedettini a introdurre
in epoca medievale il primo modello organico di misurazione e
strutturazione convenzionale del tempo (non solo su base mensile o
giornaliera, ma anche oraria) da cui sarebbero derivati in seguito -
pur con alcune varianti - sia gli elementi costitutivi sia gli
strumenti essenziali usati in Occidente per stabilire e per mantenere
la regolarità temporale nella vita quotidiana.
La "Tavola delle
ore" che San Benedetto impose ai suoi seguaci, fissava non
soltanto la sequenza degli "uffici divini" e di altre
funzioni liturgiche, ma anche le scansioni temporali delle varie
pratiche di routine. Ed era quanto mai severa con chi, per qualsiasi
ragione, non si fosse attenuto strettamente all'osservanza di tali
norme: l'arrivare tardi veniva considerato un peccato grave e perciò
punito con la penitenza se non addirittura con l'allontanamento dalla
comunità. Le deroghe ammesse erano poche: nella vita del monastero
ogni cosa doveva procedere puntualmente e senza margini di ambiguità.
Il rispetto di un programma così rigido e complesso richiedeva sia
una standardizzazione della lunghezza delle ore, secondo criteri
uniformi di durata, sia una loro precisa collocazione temporale nel
ciclo giornaliero, indipendentemente dal variare delle stagioni e
dalle condizioni di luce. Si spiega così il contributo dell'Ordine
Benedettino all'introduzione in Europa dell'orologio meccanico.
D' altra parte, nella
concezione cristiana, la vita terrena non era che una fase di
transizione verso quella eterna: i benedettini trattavano pertanto il
tempo come una risorsa limitata e irrecuperabile che avrebbe dovuto
essere utilizzata al meglio. San Benedetto raccomandava ai suoi
seguaci di spenderlo bene, se essi volevano guadagnarsi il paradiso e
scongiurare le pene dell' inferno, non solo attraverso le preghiere e
le devozioni religiose, ma anche attraverso lo studio e le opere
buone, in modo da evitare l' ozio che egli condannava come "nemico
dell' anima". Legittimando l'esigenza di un uso ottimale del
tempo, sia pur su un terreno morale, il monachesimo benedettino finì
così per trasmettere alla civiltà occidentale una filosofia
utilitaristica del tempo che, ripresa e sviluppata dalla Riforma
Protestante, sarebbe divenuta più tardi il caposaldo dell'"etica"
del capitalismo.
Anche in questo contesto
ci si aspetta infatti che gli individui aumentino al massimo il loro
tempo "attivo" e, di conseguenze, riducano al minimo ogni
tempo "vuoto", perchè "ingiustificato". E' il
concetto che Benjamin Franklin diffonderà con una massima divenuta
classica: "Ricordatevi che il tempo è denaro" e che
entrerà nell' uso popolare: si pensi a termini come "risparmiare",
"investire", "sprecare" il tempo. Si giunse così
a considerare il tempo come una merce, come una entità che può
essere comprata e venduta: ciò che l'industrializzazione tradusse
sia nell' istituzione del salario a tempo (secondo unità quali
l'ora, il giorno, la settimana, il mese) e non più secondo la
quantità del lavoro svolto, sia nell'adozione di particolari metodi
per accelerare il processo di produzione, riducendo la durata
dell'attività.
Sorta in origine per
rispondere a un'esigenza spirituale, la regolarità temporale divenne
così il principale parametro di una civiltà materiale tutta
efficienza e rapidità. Ma questo non è che uno dei tanti fili
conduttori dell'analisi del tempo, considerato non solo come un'
entità fisico-matematica, ma anche come un'entità investita di
tanti altri significati, che il sociologo americano Eviatar Zerubavel
ci propone nel suo libro Ritmi nascosti. Orari e calendari nella
vita sociale (Il Mulino).
Vi sono altri percorsi
che appartengono alla sfera del politico e dell'ideologia, o che
svelano certi aspetti più intimi dell'identità sociale e religiosa.
Il calendario ebraico, per esempio, distinto da ogni altro quadro
cronologico delle date, è stato il più importante fattore di unità
del popolo d'Israele. Non solo perchè esso ha tramandato delle
tradizioni e memorie collettive che probabilmente sarebbero andate
perdute, ma perché - con i suoi "comandamenti discriminanti",
a cominciare dall'osservanza del Sabbath, del riposo al sabato - ha
rafforzato negli ebrei vissuti per secoli nel mondo cristiano (che
considerava la domenica il giorno del Signore) e in quello musulmano
(per cui il venerdì era il giorno santo), il loro senso di
appartenenza, la loro unicità come gruppo ed entità distinta.
D'altra parte la centralità del Sabbath nella vita degli ebrei
rivela un'altra dimensione del tempo: quella sacrale. Il tempo può
agire infatti - come afferma Durkheim - come il più efficace
principio di differenziazione totale fra il terreno del sacro e
quello del profano.
In effetti, in vari
popoli e civiltà, l'uomo ha imparato a impiegare tanto le dimensioni
del tempo, quanto quelle dei luoghi, per codificare e tenere
nettamente distinte le categorie del sacro e del profano concepite
come generi separati che si escludono a vicenda e di cui va quindi
evitata qualsiasi simultaneità e contaminazione. L'azione di un
proprio calendario ha avuto una funzione fondamentale anche per la
cristianità e per l'Islam. Maometto, volendo dissociare
completamente le feste della religione islamica da quelle arabe
pagane, stabilì un ciclo annuale di 354 giorni, sostituendo il
calendario lunisolare tradizionale con un calendario lunare
completamente differente. La stessa motivazione, cioè quella di
creare una cesura netta col passato, fu all'origine dell'istituzione
dell'"era cristiana" (come Anno ab incarnatione, poi Anno
Domini); a sua volta la standardizzazione dell'inizio del ciclo
annuale (fissato da Papa Gregorio XIII nel 1582, nella data del 1
gennaio) agì quale ulteriore elemento discriminante, per più di un
secolo, fra il mondo cattolico e quello protestante: solo più tardi,
quando venne adottato un po' in tutto il mondo, in seguito alla
colonizzazione europea, il calendario gregoriano perse i suoi
caratteri distintivi di istituzione cristiana.
La tendenza, affermatasi
negli ultimi due secoli, a passare dal particolarismo
all'universalismo ha prodotto, quindi, quella "laicizzazione
della regolarità temporale che invano la Rivoluzione francese aveva
cercato di imporre in forma dirompente e in funzione
decristianizzante con l'introduzione del "Calendario
Repubblicano" del 1793, scaturito dal totale ripudio dell'
ordine esistente in nome del progresso e della modernità. Oggi che
l'evoluzione dell'orario in Occidente è sempre più fondata su una
filosofia spiccatamente economica del tempo, anche la nostra vita
privata e le più minute manifestazioni di quella sociale, risultano
influenzate da questo orientamento. L'arte di "ammazzare il
tempo", di servirsene nel modo più efficace e veloce, e la
connotazione negativa attribuita a qualsiasi genere "vuoto"
di attesa o di intervallo, hanno accentuato la visione quantitativa
del tempo e introdotto nuove pratiche basate sul principio del
consumo simultaneo: dalle "colazioni di lavoro" in cui ci
si occupa d'affari mentre si mangia, al cocktail party, al banchetto
dedicato agli incontri sociali; dall'ascolto della musica mentre si
guida, allo spettacolo televisivo mentre si cena, e così via.
Tuttavia, la crescente divisione del lavoro e la risultante
differenziazione delle diverse fasi della vita quotidiana nella
società moderna, hanno anche favorito la separazione della sfera del
pubblico e del privato.
In passato, il tempo
privato era essenzialmente definito come una categoria residuale, non
più di un avanzo nei confronti del tempo impiegato nel lavoro. Oggi
la rigidità temporale dei nostri impegni professionali, lungi
dall'essere un fenomeno alienante di irreggimentazione, fornisce
all'individuo una protezione maggiore del suo tempo privato e quindi
agisce da elemento liberatorio. Attraverso la creazione di una
nicchia di "inaccessibilità" temporalmente definita, il
tempo è diventato di fatto uno dei più importanti principi
organizzativi del nostro diritto al riposo e alla privacy.
“la Repubblica”, 29
agosto 1985
Nessun commento:
Posta un commento